Ci scrive in redazione Rosanna Casagranda, la signora in queste foto, che sta seguendo i nostri approfondimenti sulla fibromialgia, disturbo di cui in Italia soffrono quasi due milioni di persone (9 su 10 rappresentati da donne). Lo chiamiamo disturbo anche noi, eppure è una vera malattia, che stenta ancora ad essere riconosciuta come tale. D’altra parte, chi ne soffre non porta segni visibili sul corpo: per questo spesso si definisce “malattia invisibile”, che gli altri – i sani – non capiscono, come ci raccontate incessantemente nelle vostre storie di sofferenza.
Anche le foto di Rosanna, in fondo, alimentano questo equivoco: direste che questa donna bellissima è ammalata? Che il suo corpo urla? Eppure ci sta lanciando un messaggio importante: si sta curando con la cannabis terapeutica, che in Italia è legale dal 2013 (per esempio, si usa all’ospedale di Pisa, dove siamo andati a incontrare i pazienti). «L’uso terapeutico della cannabis nel nostro paese è legale dal 2013 e sono 11 per ora le regioni che ne hanno regolamentato l’utilizzo. Fino al 2016 si usava la cannabis di produzione olandese. Dal gennaio 2017 è stata legalizzata la produzione di Stato della cannabis terapeutica (Fm2) da parte dell’Istituto chimico e farmaceutico militare di Firenze» spiega la dottoressa Eleonora Bonacci, medico specialista in Reumatologia presso l’Unità operativa di riabilitazione del Policlinico San Marco di Zingonia (Bergamo).
Non è così semplice, però, farsela prescrivere. Secondo la legge ogni medico di base può prescrivere la cannabis come ogni altro medicinale, tuttavia l’impreparazione o a volte l’avversione di molti medici verso le proprietà terapeutiche della cannabis, trasforma ciò che dovrebbe essere normale, cioè andare dal dottore e ottenere la ricetta del medicinale di cui si ha bisogno, in una vera e propria odissea. «Senza contare che, tranne qualche eccezione a livello regionale, anche con la ricetta la spesa resta a carico del paziente, a meno che le cure non si svolgano in ospedale» prosegue la reumatologa. Insomma, in Italia curarsi con la cannabis terapeutica resta un tabù culturale.
Ma c’è un altro aspetto che ne rende difficile l’accesso anche a chi ne avrebbe bisogno. L’unica materia prima ammessa, quindi legale, è appunto quella prodotta dall’Istituto chimico e farmaceutico militare di Firenze, una quantità insufficiente a curare tutti- come lamentano molti pazienti. Alcuni di voi poi ci scrivono che si sta purtroppo creando un mercato parallelo, che obbliga gli ammalati a rifornirsi di cannabis in modo illegale. Eppure, le proprietà terapeutiche della cannabis sono riconosciute sia nell’ambito della terapia del dolore in pazienti oncologici, che in patologie più specifiche come il glaucoma, l’epilessia, diverse patologie neurologiche, alcune patologie psichiatriche, stress post-traumatico, emicrania, depressione, traumi cerebrali, ictus e alcune malattie croniche intestinali (come il morbo di Crohn e la colite ulcerosa).
«La cannabis terapeutica però non è stata ancora inserita nelle linee guida dell’Eular (European League Against Rheumatism): è il documento pilota europeo per curare le malattie reumatiche, frutto del lavoro di un gruppo di esperti di 12 Paesi» dice la reumatologa. «Gli specialisti hanno elaborato le linee guida per affrontare e curare la fibromialgia sulla base degli studi clinici più recenti. Purtroppo in questo documento non si parla di cannabis perché, come sottolineano gli autori stessi nel lavoro, mancano ancora studi. Ma i pochi che sono in corso sembrano molto promettenti».
Finora, le malattie per le quali è ammessa la terapia a base di cannabis sono sei. E la fibromialgia non è tra queste. In ogni caso, va detto che, come ogni terapia, anche la cannabis può essere efficace su alcune persone e meno su altre. «Per molti, potrebbe rappresentare un primo strumento di svolta. Sentire meno dolore dà la possibilità ai pazienti di ricominciare a muoversi e di ritrovare un nuovo slancio verso quel cambiamento di abitudini che altrimenti sarebbe, per tanti aspetti, quasi impensabile» aggiunge Paolo Valli, coach del dolore, fisioterapista e osteopata. «Per molti, insomma, la cannabis potrebbe diventare uno strumento di cambiamento, e non una semplice terapia». Rosanna, grazie alla cannabis, ha trovato la cura giusta. Per lei è diventata la soluzione, per molti può essere un’opportunità.
Diamo voce volentieri a Rosanna, perché tutti possano conoscere la possibilità di curarsi con la cannabis terapeutica. Ecco il suo appello.
«Sono molto legata a queste foto, che risalgono a un anno fa: si tratta di un servizio fotografico. Sì, facevo la modella e lo faccio anche oggi, nonostante tutto. Voglio che le usiate perché, dopo averle postate sul mio profilo Facebook, ho notato che le persone “mi leggono” di più. La bellezza di un viso femminile, lo sappiamo, cattura l’attenzione. Il mio obiettivo, però, va ben oltre. Sono ammalata di fibromialgia, una malattia sempre più comune, un male che ti annienta e ti toglie la vita piano piano. Sono cinque anni che vivo con dolori fortissimi in ogni parte del corpo, ma da qualche settimana sono rinata. Ho cominciato una nuova vita. Ho cominciato una nuova cura.
Ho iniziato ad usare la cannabis a scopo terapeutico. Non si tratta di “farsi le canne”, che sono tutt’altra cosa, ma di assumere dei preparati galenici con i principi attivi che la cannabis contiene. Se ci pensate, tutti gli antidolorifici più in voga sono oppiacei, e il loro uso è ampiamente ammesso e diffuso. La cannabis ad uso terapeutico, in confronto, è acqua fresca, quanto a concentrazione di principi attivi. Gli oppiacei danno dipendenza, la cannabis cura. E non solo la mia malattia, ma si usa per la sclerosi multipla, per i dolori neuropatici e per i dolori oncologici. Ho letto tanti studi sull’efficacia di questa pianta e ora in Italia i farmaci a base di cannabis sono legali. Legali, ma non si trovano, i medici non li prescrivono, le farmacie non li preparano e quando si trovano sono a carico del paziente. Perché?
Tornando a me, a parte i primi giorni, il dolore è praticamente scomparso! Sì, sto bene. E sto usando semplicemente un olio, dosato dal mio specialista, che non ha nemmeno tutti i principi della cannabis: cioè non ha la parte psicoattiva, quella che agisce sul sistema nervoso (e che si trova per esempio nelle sigarette). Dopo aver provato su di me, ho deciso di lottare perché tutti vengano a conoscenza di queste terapie. Non sto cercando pubblicità. Sto solo combattendo una battaglia. Mi aiuta Stefano Balbo, ammalato di sclerosi multipla e anche lui “rinato” dopo aver iniziato la terapia a base di cannabis. Insieme, vorremmo fare in modo che queste terapie vengano passate dal Sistema sanitario nazionale. Io ora sto bene e vi giuro che vivere senza dolore è meraviglioso! Non mi sembra vero. Ora ho bisogno dell’aiuto di tutti. Voglio donare la mia esperienza agli altri. Per me non è stato facile uscire allo scoperto, vuol dire esporsi a critiche e soprattutto ammettere di avere un problema. In fondo, la mia (la nostra) malattia è “invisibile”, quindi avrei potuto continuare a restare nell’ombra. Invece voglio che si parli di fibromialgia e della cura a base di cannabis terapeutica, lo voglio per chi soffre e non sa, per chi non conosce e sopravvive disperato.
Per la mia fibromialgia ho provato di tutto, sono stata dappertutto ma senza nessun risultato. Antidolorifici sempre più forti, a volte sono stata presa per psicopatica e liquidata con le solite medicine. E ogni volta ne uscivo devastata. L’anno scorso sono perfino andata da un anestesista e ogni sera mi spruzzavo in bocca con una siringa una dose di anestetico per poter dormire. Ma avevo solo allucinazioni e il male mi triturava l’anima. Ho pensato di farla finita, ma poi guardavo Pantuff, il mio cane, e mi fermavo. A chi l’avrei lasciato? Ho un’invalidità del 50 per cento e ho dovuto smettere di lavorare. Non percepisco niente perché sono, ero una libera professionista. Da tempo, da anni studiavo un rimedio, la medicina è il mio lavoro, ma non riuscivo a trovare la via, una strada che potesse essere quella giusta. Adesso l’ho trovata e dovete saperlo anche voi, perché chiediate al vostro medico di curarvi in questo modo. Spesso i dottori sono impreparati o diffidenti. Occorre invece un cambio radicale di prospettiva: solo così daremo una serenità di cura a chi ne ha davvero bisogno».