In Italia, sono 2 milioni le persone che soffrono di fibromialgia, in 9 casi su 10 donne. Di quella che fino a oggi si chiamava la “malattia invisibile”, si comincia a parlare sempre di più. Noi di Donna Moderna lo facciamo da tempo, raccogliendo le vostre storie, cercando di capire insieme a voi come convivere con questa condizione, e soprattutto mettendovi sempre al corrente delle ultime novità. Come quelle emerse dall’incontro che si è svolto a Bergamo, dove un gruppo di esperti si è riunito per fare il punto sulle ricerche più recenti, capire se e quando la fibromialgia sarà riconosciuta come malattia, e soprattutto aiutare chi ne soffre a trovare la strada giusta per curarsi.
Noi c’eravamo e abbiamo chiesto alla dottoressa Eleonora Bonacci, medico specialista in Reumatologia presso l’Unità operativa di riabilitazione del Policlinico San Marco di Zingonia (Bergamo), di spiegarci cosa si sa oggi sulla fibromialgia (alla luce degli ultimi studi), come avviene la diagnosi, qual è il medico di riferimento, come ci si cura. Ecco cosa ci ha risposto.
Cos’è esattamente la fibromialgia?
È una condizione caratterizzata da dolore cronico diffuso associato a dolorabilità, cioè la sensazione di dolore localizzato, che diventa acuto in alcune situazioni, per esempio un abbraccio o un contatto accidentale e inaspettato. A questo si aggiunge una serie di manifestazioni apparentemente non correlate tra loro, ma comuni nei pazienti fibromialgici, tra cui stanchezza, disturbi del sonno, disturbi del sistema nervoso centrale e vegetativo.
Quindi non è una malattia?
In Italia per adesso no. Il Ministero della Salute non l’ha ancora inserita nel Lea (i Livelli essenziali di assistenza, ovvero la lista delle prestazioni che il Servizio Sanitario Nazionale garantisce ai pazienti). Eppure, nel 2010 la fibromialgia è stata ufficialmente codificata come malattia nell’International Classification of Diseases (ICD-10) dell’Organizzazione mondiale della Sanità, e in altri paesi del mondo da tempo ha già avuto la legittimazione di patologia autonoma. Però c’è una buona notizia: manca poco al suo riconoscimento ufficiale come malattia. Gli esperti ormai anche da noi concordano nel considerarla una patologia a tutti gli effetti. Da anni è in corso una vera battaglia, che vede in prima linea alcune associazioni: la più attiva è il Comitato Fibromialgici Uniti italia, che ha appena avuto un incontro positivo al Ministero della Salute, dove ha presentato ricerche e studi sulla patologia.
I medici di base conoscono la fibromialgia?
C’è poca informazione sulla fibromialgia, a volte anche tra gli specialisti (reumatologi compresi). L’educazione e la conoscenza della malattia giocano un ruolo importante nella diagnosi e nella terapia, quindi nella qualità di vita dei malati. Il paziente, la famiglia e i medici devono sapere che è una causa reale di dolore cronico e di stanchezza, e quindi deve essere affrontata come ogni altra malattia cronica. Fortunatamente non è una patologia mortale e non causa deformità. Il fatto di sapere che non è progressiva né deformante può permettere alle persone di evitare di continuare a sottoporsi a esami costosi e inutili.
Si conoscono le cause della fibromialgia?
Sono in corso vari studi. Ciò che si sa finora, è che le cause sono molteplici. Innanzitutto potrebbe esserci una predisposizione genetica: i dati oggi ci dicono che i familiari dei pazienti affetti da questa malattia hanno maggior probabilità di avere la fibromialgia. E probabilmente non si tratta di un singolo gene che la trasmette, ma di parti di geni diversi, coinvolti nel meccanismo di percezione del dolore. Poi sul fattore genetico andrebbero a incidere altri elementi ambientali: traumi fisici (per esempio un incidente) o psichici (un lutto, un divorzio); infezioni, come la malattia di Lyme o l’epatite C; forti stress e infine altre malattie croniche e degenerative, come l’artrite reumatoide, il lupus eritematoso sistemico, l’ipotiroidismo, che “si portano dietro” spesso la fibromialgia.
Perché chi soffre di fibromialgia sente dolore dappertutto?
Perché in queste persone la catena della trasmissione del dolore non funziona come dovrebbe. In pratica va in tilt il passaggio dalla percezione dello stimolo doloroso all’elaborazione del dolore a livello cerebrale. In questi pazienti (l’80-90 per cento rappresentato da donne) si è riscontrato un aumento del rilascio di alcuni neurotrasmettitori del dolore, oltre a un’attivazione di aree del cervello molto più ampie rispetto a chi non è fibromialgico. Chi soffre di fibromialgia, insomma, ha una soglia del dolore molto bassa.
Oltre al dolore cronico diffuso, quali sono i sintomi?
Circa il 90 per cento dei pazienti prova una stanchezza generale sempre presente, che in alcuni casi diventa molto più fastidiosa dei dolori ai muscoli. Questa stanchezza può essere simile a quella che si riscontra nelle persone che soffrono da Sindrome da affaticamento cronico, ma le due sindromi spesso si sovrappongono e può essere difficile distinguerle: alcuni pazienti fibromialgici hanno sintomi da sindrome da affaticamento e viceversa.
I disturbi del sonno sono legati alla fibromialgia?
Nella maggior parte dei casi sì. La malattia influisce sulla qualità del sonno, la cui mancanza, a sua volta, peggiora le condizioni delle persone. Infatti questo accentua il senso di stanchezza: al risveglio, ci si sente più affaticati di prima. E si diventa più sensibili al dolore. Gli ultimi studi hanno evidenziato che l’interruzione della fase profonda del sonno può alterare la percezione del dolore. Il sonno diventa leggero, con continui risvegli, e spesso è accompagnato dalla “sindrome delle gambe senza riposo”.
Cos’è la fibro-fog?
È un’alterazione tipica della fibromialgia, che provoca difficoltà di concentrazione e di memoria, o nell’eseguire semplici elaborazioni mentali. Questo disagio può essere persistente, con ripercussioni sulle normali attività quotidiane, ma anche sul lavoro. Questi sintomi però possono capitare anche a persone affette da malattie croniche, non solo di natura fibromialgica, e possono associarsi alla depressione.
La depressione è causa o conseguenza della fibromialgia?
Sulle cause si stanno ancora eseguendo studi. Comunque le due patologie vanno a braccetto. Ad oggi, solo il 25 per cento dei pazienti sono realmente depressi o hanno disturbi d’ansia, mentre in genere la fibromialgia provoca cambiamenti del tono dell’umore a causa della difficoltà delle persone a gestirne i sintomi. Moltissimi pazienti mi dicono di amare la vita, di essere stati sempre positivi, e che solo dalla comparsa dei sintomi il loro umore è cambiato. Quindi si potrebbe dire che è più facile ammalarsi di depressione una volta scoperto di avere la fibromialgia, che non il contrario.
Il mal di testa e i disturbi al colon sono legati alla fibromialgia?
La cefalea muscolo tensiva, ma anche l’emicrania, sono sintomi della fibromialgia. Ma anche la rigidità mattutina (soprattutto al collo e alle mani), il colon irritabile, formicolii e sensazione di punture a mani e piedi, bruciore a urinare, bruciore intimo, dolore durante i rapporti sessuali, sensazione di gonfiore alle mani, dolori al torace.
Come si fa la diagnosi di fibromialgia?
Il medico di riferimento è il reumatologo che deve visitare fisicamente il paziente e farsi raccontare la sua storia clinica, con particolare attenzione se soffre di altre malattie (come l’artrite reumatoide o disturbi endocrini) o se ha subito traumi fisici e psichici particolari. Fino a poco tempo fa, lo specialista elaborava la diagnosi facendo riferimento ai 18 “tender points”, punti che provocano dolore se premuti con una pressione ben definita (sono stati mappati dall’American College of Reumathology, che per prima definì la malattia nel 1990). Quando ne riscontrava almeno 11, la diagnosi era chiara. In realtà, nel frattempo si è visto che questa condizione poteva avere alti e bassi: non tutti i giorni la persona presentava almeno 11 punti dolenti su 18. E poi si poteva avere dolore anche in altre parti del corpo e c’erano comunque altri sintomi da valutare. Proprio per la complessità della malattia, nel 2010 è stata proposta una revisione dei criteri diagnostici. Ora quindi ci si focalizza più sul dolore e la dolorabilità e sugli altri sintomi, piuttosto che sulla conta dei “tender points”.
Questo però non significa che non sia importante visitare il paziente. Ciò che conta, è riuscire ad avere un quadro generale. Ho sentito di persone “visitate” via email. Non è possibile capire se si soffre di fibromialgia senza la visita vera e propria, anche perché la diagnosi di fibromialgia e la presenza di altre patologie dolorose, muscolo-scheletriche o di altra natura, non si escludono a vicenda e possono coesistere nella stessa persona. Insomma, la diagnosi è complessa e richiede tempo.
Esiste una terapia?
La terapia è multidisciplinare: lo ha appena stabilito ufficialmente un gruppo di esperti provenienti da 12 Paesi, riuniti sotto l’egida della European League Against Rheumatism (Eular). Gli specialisti hanno elaborato le linee guida per affrontare e curare la fibromialgia sulla base degli studi clinici che nell’ultimo decennio si sono aggiunti alle scarse evidenze disponibili all’epoca della prima versione (2007). La raccomandazione di base è che l’approccio non deve essere esclusivamente di tipo farmacologico. Al paziente va spiegato che esistono tante tecniche per stare meglio, tra le quali sicuramente scoprirà la migliore per sé. In cima alla lista il movimento, che nei primi tempi può essere rappresentato anche semplicemente dallo svolgere le normali attività di casa. E poi, piano piano, si possono e si devono aumentare i minuti di attività, fino a camminare anche mezz’ora, un’ora di seguito. Efficaci, quindi raccomandate dal panel di esperti, anche l’idroterapia, l’agopuntura e varie tecniche di rilassamento come yoga, qigong, tai chi e mindfulness. Non vi sono invece sufficienti evidenze, al momento, per l’ipnoterapia, il biofeedback e la chiropratica. Grande importanza possono avere invece il supporto psicologico (in genere una terapia cognitivo comportamentale) e la dieta. L’alimentazione non va assolutamente sottovalutata perché infuisce sul controllo del dolore e dell’infiammazione.
Quali sono i farmaci consigliati?
Insieme alle tecniche di rilassamento e al movimento, indicate sempre per tutti, dalle raccomandazioni emerge una lista di farmaci considerati utili per controllare il dolore, l’umore e la qualità del sonno: come quelli a base di amitriptilina, duloxetine, tramadolo, ciclobenzaprina.
Vi sono poi alcune sostanze su cui i ricercatori non sono pienamente d’accordo. La lista comprende i Fans (anti infiammatori non steroidei), gli antidepressivi SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina), l’S adenosil mietonina, la capsaicina (anti dolorifico). Pollice verso invece per l’ormone della crescita, gli oppioidi forti, i corticosteroidi, il sodio oxibato (indicato per la narcolessia) e l’omeopatia.
Si può convivere con questa malattia?
Più il paziente è informato e cerca di adattarsi alla malattia, migliore sarà la sua vita. A volte anche il fatto di arrivare alla diagnosi diventa liberatorio. Quante persone mi dicono: “Finalmente ora posso dire a tutti di non essere un malato immaginario!”. E me lo dicono con un senso di leggerezza. Perché la comprensione è la terapia migliore, da parte dei medici e dei familiari ma anche dei pazienti stessi. Ognuno poi è una storia a sé, e va trattato con rispetto e sensibilità. Da questa malattia non si guarisce, però si può tenere a bada con le terapie giuste e l’atteggiamento mentale migliore. Si tratta di accettare che ci sono alti e bassi, ma non bisogna lasciare che la fibromialgia si prenda la nostra vita. Più ci si abbandona al dolore, più il dolore si fa strada e diventa dominante.