Lo smart working, o lavoro flessibile, è finalmente legge: se il capo è d’accordo, chi lavora a un computer può farlo da remoto, a parità di stipendio e di diritti. Il vincolo non è più l’orario ma il risultato, con lo scopo di motivare i dipendenti e permettere la conciliazione vita lavoro. Secondo l’Osservatorio Smart Working, le aziende italiane favorevoli a questa “rivoluzione” sono già il 30%. «Certo, la strada perché un dipendente a tempo pieno possa lavorare fuori da un ufficio e magari in giro per il mondo è ancora lunga.
Chi sono i nomadi digitali?
Oggi a farlo sono soprattutto freelance e imprenditori del web» spiega Francesco Menghini, ideatore di MadreinItaly.info, servizio di consulenza per gli expat italiani. «Ma è un grande passo avanti verso il riconoscimento dei digital nomad. Si tratta di persone stanche di essere imbrigliate nella giornata lavorativa 9-17 e dotate di quel coraggio che permette di dire basta, abbandonare un’attività legata a luoghi e orari fissi e infilare il computer nello zaino». Vorresti farlo anche tu? Ispirati a queste storie.
Elisa Rosa, 43 anni, ideatrice di kidsarttourism.com
«Ho lasciato l’Italia nel 2002 per Parigi dove lavoravo per uno studio di architettura. Mentre aspettavo il primo bambino hanno proposto a mio marito, ingegnere, un lavoro in India. Ho deciso di seguirlo perché avevo voglia di viaggiare ma ho dovuto inventarmi un altro lavoro visto che non potevo fare l’architetto da remoto. Così ho puntato sulle mie competenze tecniche, fatto tesoro dei viaggi con i figli e creato un portale web che promuove percorsi turistici e museali per i bambini. Da lì un’altra idea: inventare la Giornata nazionale della famiglie al museo, che organizzo ogni anno via mail e skype tra Asia, Polonia e Francia e coinvolge 800 realtà in tutta Italia».
Il problema e la soluzione Per una mamma sempre in viaggio, non avere una sede e degli orari fissi può essere uno svantaggio: il lavoro si mescola con la vita personale. «Il segreto è creare in casa dei confini lavorativi, sia di spazio sia di orari, proprio come se fossi in ufficio, ma sono io che scelgo quando non ci sono per nessuno».
Cecilia Sardeo, 33 anni, Ceo di MindValley Italy, multinazionale nel settore della crescita personale
«Lavoravo come addetta all’assistenza clienti per il call center della sede malese di MindValley. Però mi affascinava il mondo Seo, l’arte di posizionare i siti web nei motori di ricerca. Così ho studiato e mi sono candidata per quella posizione nella mia azienda. Nello stesso tempo ho aperto un blog sulle tecniche Seo che è stato da subito molto seguito. Quando ha cominciato anche a fruttare, grazie ai corsi di formazione online che vendevo, ho avuto quel margine economico che mi ha dato il coraggio di lasciare il posto fisso. Il primo consiglio che do a chi vuole fare il nomade digitale è di prepararsi prima il terreno per evitare un salto nel buio. Nel mio caso, è andato tutto così bene che la precedente azienda, con la quale non ho mai reciso i rapporti (altro consiglio da seguire) ha inglobato il mio progetto e così sono diventata Ceo di MindValley Italia, lanciato altre iniziative e creato una squadra di otto persone sparse in varie parti del mondo. Io attualmente mi divido tra Bali, Malesia, Spagna e Italia».
Il problema e la soluzione All’inizio Cecilia aveva paura di non riuscire a sostenere la spesa di viaggi e affitti e così diceva sì a ogni tipo di lavoro frelance e collaborazioni. Finiva per stressarsi e non godersi nulla: «Poi ho capito che dovevo avere più fiducia nei miei progetti e fare solo le cose che mi piacevano, una scelta che alla fine paga».
Simona Camporesi, 42 anni, libera professionista come ghost writer, editor e SEO copywriter
«Ho avuto diversi lavori come dipendente, presso editori, dai quali mi sono sempre licenziata per avere la possibilità di fare dei viaggi molto lunghi, la mia vera grande passione. L’ultima volta che l’ho fatto, 4 anni fa, è stata la più difficile: l’età avanzava, la crisi imperava e sapevo che al rientro sarebbe stato improbabile ottenere l’ennesimo contratto. Ma soffrivo troppo la routine dell’ufficio e volevo cambiare stile di vita: la mia attività, del resto, mi permette di poter lavorare da remoto perché non è necessario incontrare i clienti. Quasi sempre sono in contatto con committenti che non ho mai visto, se non su Skype. Questo è il presupposto fondamentale per progettare una vita da nomade digitale. Ho visitato gran parte dell’Asia e scelgo sempre le mie destinazioni in base a ciò che voglio scoprire del mondo e, ovviamente, alla possibilità di avere una connessione Internet stabile che mi permette di lavorare bene».
Il problema e la soluzione Prima o poi arriva la necessità di fermarsi in un posto, pur non volendo rinunciare allo stile di vita alternativo che è la caratteristica dei nomadi digitali. «Io ho deciso di fare base alle isole Canarie e continuare, anche se con meno frequenza, a spostarmi in giro per il mondo da qui: il costo della vita è basso, i servizi efficienti, il clima bello in tutte le stagioni e l’Italia a poche ore di volo».
I consigli per cominciare
Vai negli hub Ci sono città con grosse comunità di nomadi digitali che si incontrano, scambiano esperienze e fanno rete. Gli hub forti al momento sono Bali in Indonesia (hubud.org) e Chiang Mai in Thailandia (punspace.com).
Studia il percorso Sfoglia nomadlist.com, women digitalnomads.com e digitalnomadgirls.com: sono portali curati dai nomadi digitali che catalogano i luoghi secondo criteri come la connessione Internet, i visti, il costo della vita, il clima.
Stai in contatto con gli altri Se cerchi delle collaborazioni come freelance, entra nella community facebook.com/ groups/nomadi digitaliitaliani: questo passaggio ti permetterà di avere più opportunità.
Il libro da leggere È appena uscito Mobile Working, Lavorare ovunque in modo semplice e produttivo di Cristiano Carriero (Hoepli). L’autore ti consiglia come sfruttare la tecnologia per diventare un nomade digitale, per esempio project manager o storyteller.