Ci sono troppi lati oscuri nell’omicidio di Martina Scialdone, l’avvocatessa 35enne uccisa dal compagno 61enne, Costantino Bonaiuti, davanti a un ristorante di Roma. Qualcuno poteva intervenire e non l’ha fatto? Questo ennesimo femminicidio, il secondo dall’inizio del 2023, poteva essere evitato?
La furiosa lite in un ristorante
La vita di Martina Scialdone è stata spezzata venerdì sera. Fra la donna, un’avvocatessa che si occupava di diritto di famiglia, è l’ex compagno, ingegnere sindacalista di Assivolo e dipendente dell’Enav, è scoppiata una violenta lite all’interno del ristorante “Brado”, nel quartiere Tuscolano, a Roma. Ad un certo punto la 35enne, terrorizzata, si è chiuso nel bagno del locale forse per sfuggire all’ira dell’uomo.
Martina Scialdone fatta uscire dal locale?
A questo punto le versioni dei fatti sono discordanti. Secondo alcune ricostruzioni, la coppia sarebbe stata invitata ad abbandonare il ristorante per non disturbare gli altri clienti. Un’ipotesi che i titolari del locale smentiscono seccamente: “Martina non è mai stata cacciata via dal bagno del nostro locale, – si legge in un post sulla pagina Facebook di ‘Brado’ – è uscita da sola e tutti eravamo ormai convinti che l’uomo si fosse dileguato, perché ormai aveva abbandonato il ristorante. Anzi, noi abbiamo tentato di proteggerla.”
Martina Scialdone uccisa a bruciapelo
Una volta fuori dal locale, il 61enne ha estratto la pistola e ha fatto fuoco a bruciapelo sulla donna. Non è chiaro quanti colpi abbia esploso, ma uno ha raggiunto la giovane donna al cuore. Martina Scialdone è riuscita a percorrere qualche decina di metri, arrivando vicino all’entrata del ristorante, dove si è accasciata. Inutili i tentativi di rianimare la 34enne da parte dei soccorritori del 118: la donna è morta sul posto.
Immagini al vaglio degli inquirenti
Saranno gli investigatori a chiarire l’esatta dinamica dei fatti, se qualcuno avrebbe potuto fare qualcosa in più per proteggere la 35enne dal suo carnefice, magari trattenendola all’interno del locale o chiamando prima le forze dell’ordine. A chiarire diversi dubbi sull’atteggiamento di clienti, titolari e dipendenti del ristorante, sarà l’esame delle immagini delle telecamere interne ed esterne al locale.
I reati a carico di Costantino Bonaiuti
Dopo aver ucciso Martina, Costantino Bonaiuti è fuggito in auto. La polizia lo ha rintracciato e arrestato a casa sua, nel quartiere Fidene, a nord della Capitale. Il 61enne aveva un porto d’armi per uso sportivo. Tra le accuse mosse dai pm di piazzale Clodio, oltre all’omicidio volontario aggravato, anche i motivi abietti e futili e di avere agito contro una persona a cui l’uomo era legato sentimentalmente. La Procura contesta anche il reato di premeditazione, essendo Bonaiuti entrato nel locale con la pistola in tasca.
Solito copione: lui non accettava la fine
Il copione di questo ennesimo femminicidio è purtroppo identico a quello che abbiamo letto altre mille volte. Pare che Bonaiuti non volesse accettare la fine della relazione con la 35enne. Martina Scialdone era un’avvocatessa, si occupava di divorzi e separazioni e aveva spesso affrontato il tema delle donne maltrattate. Ma la sua competenza professionale non è stata sufficiente ad allertarla sul fatto di essersi messa con una persona pericolosa. Martina, come molte altre vittime di femminicidio, si era imbarcata in una relazione tossica e forse troppo tardi ha avuto il coraggio di dire basta. Non è riuscita in tempo a mettersi al riparo da chi, come ormai siamo purtroppo abituate a sentire, l’ha trattata come una proprietà a cui poter porre fine con un colpo di pistola.
L’avvocato del killer: “Non c’è stata premeditazione”
“Le difficoltà psicologiche e psichiatriche del mio assisto sono certificate. Era seguito da un centro per una forma depressiva ma non è questa patologia che ha dato luogo all’evento perché era assolutamente controllata. Lui ha avuto sempre un rapporto cordiale con questa persona, tanto è vero c’è stata mai denunce o querele”, ha affermato l’avvocato Fabio Taglialatela, difensore di Costantino Bonaiuti. “C’è stato un ritardo generalizzato, pare che la ragazza si sia recata con le proprie forze a chiedere aiuto dopo l’aggressione ma pare non abbia ricevuto nessun sostegno. Non c’è stata nessuna premeditazione – aggiunge il difensore – era un rapporto consenziente tra due persone: non si tratta di omicidio volontario o preterintenzionale, è stato il tragico errore di un soggetto che forse voleva porre fine alla propria vita e che invece soffrirà per sempre”.