In Italia interrompere una gravidanza tenendo insieme i 3 criteri di sicurezza, libertà e discrezione è sempre stata una faccenda complicata. Sicurezza significa infatti controllo medico, ma è difficile ottenerlo in un Paese dove l’obiezione di coscienza sull’aborto è praticata da una media di 7 dottori su 10. Chi riesce a dribblarli e accedere alle strutture ospedaliere deve poi spesso affrontare ulteriori percorsi di colpevolizzazione e anche violenze psicologiche, che vanno dal ricovero nelle stesse stanze dove ci sono le puerpere alla negazione degli antidolorifici dopo l’intervento.

Le denunce delle donne

Sono anni che le associazioni contro la violenza alle donne denunciano queste cose, che rappresentano una sistematica violazione della legge 194 – approvata nel 1978 e confermata da un referendum nel 1981 – e un’indebita limitazione della libertà di scelta, ma le forze politiche sono state trasversalmente sorde. L’aborto è infatti una questione ancora rovente e irrisolta, costantemente a rischio di revisione. In questo scenario la pillola RU486 – da non confondersi con la cosiddetta pillola del giorno dopo, che è un contraccettivo d’emergenza da assumere solo nelle 72 ore successive a un rapporto sessuale non protetto – ha rappresentato un passo avanti importante per le donne che scelgono di non diventare madri entro i primi 2 mesi di gravidanza.

Cos’è la RU486

Il farmaco è un abortivo chimico utilizzato in sicurezza in tutto il mondo occidentale e si assume con una prescrizione medica, ma a casa propria, in tranquillità e privacy, portando via agli obiettori di coscienza l’ingiustificato potere di rendere più complicata la scelta delle donne.

Il tempo utile diventa di 9 settimane

Per questo motivo alcune Regioni a guida conservatrice hanno in questi anni preteso che anche l’assunzione della RU486 avvenisse negli ospedali, con un ricovero obbligatorio di 3 giorni, in modo da riportare la scelta delle donne in mano agli obiettori. L’ultima Regione a tentare di farlo è stata l’Umbria, che 2 mesi fa ha affermato di applicare le linee guide dell’Istituto superiore di sanità e di imporre il ricovero solo per «proteggere la salute delle donne ».

L’ondata di protesta che si è levata è stata tale che il ministro della Salute Roberto Speranza ha deciso di aggiornare le linee guida, vecchie di 10 anni, escludendo il ricovero e allungando da 7 a 9 settimane il tempo in cui il farmaco può essere assunto. È una vittoria delle donne, e dimostra quel che sapevamo già: a ogni tentativo di sottrazione dei diritti bisogna rispondere subito, forte e insieme, perché sui nostri corpi esistono solo i diritti che siamo capaci di difendere.

La RU486 si usa dal 2009

La RU486 è la pillola per l’aborto farmacologico a base di mifepristone, un ormone che inibisce lo sviluppo dell’embrione, causando il distacco e l’eliminazione della mucosa uterina. Approvata in Francia a fine anni ’80 e negli Usa nel 2000, in Italia è utilizzata dal 2009. Finora le linee guida prevedevano la somministrazione entro la settima settimana di gravidanza e 3 giorni di ricovero ospedalieri. La circolare del ministero della Salute pubblicata la scorsa settimana, dopo il parere del Consiglio superiore di sanità, le aggiorna: ora la RU486 può essere assunta fino ai 63 giorni di gestazione, cioè la nona settimana, e in day hospital nelle strutture pubbliche e private convenzionate, in consultori e ambulatori. Le donne possono tornare a casa mezz’ora dopo l’assunzione ed entro 2 settimane è prevista la visita di controllo.