Nessuna limitazione all’installazione di nuove antenne per il 5G. I Sindaci non potranno opporsi. A stabilirlo è un recente decreto del Governo per la semplificazione e l’innovazione digitale. Ma dai Comuni sono arrivate immediate proteste, così come da alcuni comitati cittadini: «Ci sono 580 amministrazioni comunali, per un totale di circa 5 milioni di italiani, che avevano adottato il principio di precauzione che ora rischia di essere vanificato» spiega Maurizio Martucci, portavoce nazionale dell’Alleanza italiana Stop 5G. Gli studi condotti finora non sono unanimi nell’escludere possibili effetti negativi per la salute. Molti esperti, però, sottolineano come il decreto serva a evitare che dalle Amministrazioni comunali arrivi un “no” generalizzato. Intanto dall’Europa emergono indicazioni improntate alla cautela per i dubbi su eventuali “conseguenze biologiche non intenzionali”, con la Commissione Sanità e Sicurezza Alimentare del Parlamento UE che pochi giorni fa, per la prima volta, ha sottolineato l’esigenza di studi indipendenti.
A cosa serve lo stop alle ordinanze
A fermare le ordinanze emesse finora dai Sindaci contrari alla sperimentazione del 5G sui propri territori è il decreto semplificazione del 16 luglio (N.76) nel quale si stabilisce che i «Sindaci non potranno introdurre limitazioni alla localizzazione sul proprio territorio di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche di qualunque tipologia e non potranno fissare limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici diversi rispetto a quelli stabiliti dallo Stato». Il testo, che potrebbe essere modificato in Parlamento, al momento impedisce ai Comuni di bloccare l’installazione di antenne per la nuova tecnologia super veloce, in grado di diminuire i tempi di connessione, download e upload di contenuti, ma anche di permettere l’Internet delle Cose, cioè l’interconnessione di dispositivi differenti, come nell’ambito della domotica.
Non ci saranno Comuni No 5G a priori
A fermare le ordinanze emesse finora dai Sindaci contrari alla sperimentazione del 5G sui propri territori è il decreto semplificazione del 16 luglio (N.76) nel quale si stabilisce che i «Sindaci non potranno introdurre limitazioni alla localizzazione sul proprio territorio di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche di qualunque tipologia e non potranno fissare limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici diversi rispetto a quelli stabiliti dallo Stato». Il testo, che potrebbe essere modificato in Parlamento, al momento impedisce ai Comuni di bloccare l’installazione di antenne per la nuova tecnologia super veloce, in grado di diminuire i tempi di connessione, download e upload di contenuti, ma anche di permettere l’Internet delle Cose, cioè l’interconnessione di dispositivi differenti, come nell’ambito della domotica. «L’articolo 38 del Decreto Semplificazione in realtà evita che i Sindaci possano definire il proprio Comune No 5G a priori, impedendo l’installazione dei trasmettitori. Questo perché se tutti lo facessero, sarebbe impossibile sviluppare una rete 5G in Italia, con molti danni anche per i cittadini. Pensiamo, ad esempio, agli impieghi nella telemedicina che permette il monitoraggio da remoto di molti pazienti anziani o patologie come quelle cardiache. O ai Comuni a vocazione turistica, dove la realtà aumentata permette, ad esempio, di inquadrare un monumento e di ottenerne tutte le informazioni culturali e artistiche. Senza il 5G tutto ciò non sarebbe possibile» spiega Antonio Sassano, presidente della Fondazione Ugo Bordoni, che si occupa di comunicazione, informazione e sviluppo tecnologico.
«Piuttosto che opporsi, invece, i Sindaci possono collaborare con gli operatori del settore nell’individuare le aree più idonee alla collocazione dei trasmettitori, contando sul supporto degli esperti, per esempio delle Arpa (che sono poi responsabili della misurazione delle emissioni) o di enti di ricerca o dello stesso Ministero dello Sviluppo economico» aggiunge Sassano.
I sindaci non si arrendono
Il Sindaco di Vicenza Francesco Rucco, però, è stato uno dei primi a protestare di fronte al rischio di veder annullata la sua ordinanza dello scorso maggio che sospendeva l’attivazione di impianti 5G e dunque la sperimentazione, in attesa di dati certi sugli effetti sulla salute umana. Tra i 120 Comuni su cui si stanno già facendo i test sulla nuova tecnologia ce ne sono molti: San Lazzaro di Savena (Bologna), Cogne (Aosta) e molti comuni veneti e piemontesi, tra i quali Camponogara (Venezia), Longare (Vicenza), Caneva Prasco e Ricaldone (Alessandria), Saresana e Lozzolo (Vercelli), Marsaglia (Cuneo). Al sud hanno già detto “no” i primi cittadini di Scanzano ionico (Matera), Pugliano (Salerno), Castiglione cosentino e Delia (Caltanissetta). Tutti, in modo bipartisan, hanno sottolineato l’esigenza di attenersi al principio di precauzione dell’Unione Europea in attesa della nuova classificazione della cancerogenesi annunciata dall’ International Agency for Research on Cancer.
La pandemia ha innescato un golpe?
L’obiettivo dell’Italia è la copertura di almeno l’80% delle case entro il 2022 che diventerebbe pressoché totale (99,4%) nel 2023. Ma l’improvvisa accelerata, oltre che facilitare questo traguardo, potrebbe avere a che fare con la pandemia? Durante il lockdown e con la necessità di attivare la Didattica a distanza sono infatti emerse le difficoltà di connessione per molti cittadini e studenti. Il 5G potrebbe aiutare la scuola? «Secondo noi siamo davanti a un golpe elettromagnetico. È stato recepito il Piano Colao, ma lo stesso capo della task force istituita dal Governo per affrontare la fase 2 dell’emergenza sanitaria è in conflitto di interessi, essendo stato a lungo manager Vodafone e facendo ancora parte del Consiglio di Amministrazione di Verizone» acccusa Martucci. Certo la pandemia ha fatto emergere tutti i problemi di copertura a livello nazionale. Il dottor Sassano quindi incalza: «È innegabile che ci sono zone d’Italia a limitata copertura, per questo occorre attuare un piano per la banda larga, portando la fibra nelle zone in cui c’è segnale. Ma se c’è una cosa che ci ha insegnato la pandemia è che lo smart working ormai è una realtà. Se prima si pensava all’esigenza di collegare le aree industriali, gli uffici e le scuole, oggi abbiamo capito che è importante che lo siano le case dei singoli cittadini, per rendere possibile il lavoro agile e la didattica a distanza, impedendo discriminazioni tra chi può contare sulla rete e chi no»,
I dubbi sulla salute
Il tema dei possibili effetti negativi sulla salute è il più dibattuto, insieme alla sicurezza dei dati sulle nuove reti interconnesse. Secondo Ernesto Burgio, esperto di epigenetica, membro dell’European Cancer and Environmental Research Institute (ECERI), il 5G rappresenta una novità assoluta perché non sono stati ancora condotti test sull’uomo, in vivo, prima dell’installazione dei primi trasmettitori. Questi sono di potenza inferiore ma più numerosi di quelli già esistenti per il 4G, a cui tra l’altro vanno ad aggiungersi. Per ora l’Italia ha mantenuto standard di maggiore prudenza rispetto a quelli dell’ICNIRP (International Commissione on Non-Ionizing Radiation Protect) o dell’IEEE (Institute of Electrical and Electronics Engineers), mantenendo il limite di 6 volt/metro nelle 24 ore rispetto ai 60 che sono previsti in altri paesi europei. «Innalzare le soglie italiane allineandole a quelle europee non mi sembra una buona idea dal momento che le nostre sono le più basse d’Europa e tra le più garantiste del mondo. Ma non lo chiedono neppure gli operatori di telefonia» commenta Sassano, che è anche esperto di Intelligenza Artificiale e docente presso la Facoltà di Ingegneria informatica, automatica e gestionale alla Sapienza di Roma, e che aggiunge: «I trasmettitori del 5G saranno antenne più vicine rispetto a quelle del 4G, magari a 100, 50 o 20 metri rispetto ai 500 o anche 1 km di quelle della vecchia tecnologia, ma con potenze inferiori. I Sindaci che si oppongono ai nuovi trasmettitori rischiano di tenersi quelli vecchi, con potenze maggiori».
L’Europa e le «possibili conseguenze biologiche»
Il Comitato Scientifico sui rischi sanitari ambientali ed emergenti della Commissione europea (SCHEER) aveva finora mantenuto la linea della prudenza, ricordando che l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro da un lato include l’esposizione da radiofrequenze nel gruppo dei «possibili cancerogeni», ma dall’altro lo fa sulla base di «un’evidenza tutt’altro che conclusiva che l’esposizione possa causare il cancro» e sul «debole supporto» degli studi. Secondo gli esperti europei se è vero che «le emittenti aumenteranno», «avranno potenze medie inferiori a quelle degli impianti attuali». Lo stesso Comitato, però, un anno e mezzo fa ha rivisto in modo restrittivo le proprie posizioni, scrivendo nella propria newsletter che il 5G «evidenzia criticità sconosciute sui problemi di salute e sicurezza». «Come l’esposizione ai campi elettromagnetici possa influenzare l’uomo rimane controverso, gli studi non hanno ancora fornito prove chiare dell’impatto su mammiferi, uccelli o insetti. La mancanza di prove chiare per uniformare lo sviluppo delle linee guida sull’esposizione alla tecnologia 5G lascia aperta la possibilità di conseguenze biologiche non intenzionali».