Il conto alla rovescia è iniziato da tempo e ormai tra meno di sei mesi il 5G sarà realtà. Di fatto, però, la sperimentazione della quinta generazione di comunicazione mobile, iperveloce, è già iniziata in 120 comuni italiani. Tra questi Milano (con Vodafone), Bari e Matera (Tim, Fastweb e Huawei), Prato e l’Aquila (OpEn Fiber e Wind Tre), così come Catanzaro, Salerno, Udine, Parma, Piacenza, Rieti, Genova, Pavia, Bergamo, Cuneo, Asti, Palermo, Pisa e molti altri.
Ma con l’avvicinarsi del 2020, quando è previsto il debutto su larga scala del 5G, aumentano le preoccupazioni per l’esposizione ai campi elettromagnetici. “L’interesse verso questa tecnologia è altissimo e si preme per attuarla il prima possibile. Il problema è che per il 5G non sono state richieste le pratiche che invece sono previste per chi produce, ad esempio, nel settore della chimica e che garantiscono che non ci siano conseguenze per la salute” spiega Livio Giuliani, dirigente di ricerca del Servizio Sanitario Nazionale e responsabile scientifico del Codacons. Proprio l’associazione dei consumatori ha presentato un esposto alla Procura di Milano.
Il 5G e i limiti di emissioni
“Occorre bloccare la diffusione del 5G e fare i dovuti controlli, con la salute non si scherza”. Così il Codacons, nel motivare l’esposto, con cui chiede che vengano compiute adeguate indagini e diffida la Regione Lombardia a “sospendere la diffusione e l’utilizzo del 5G finché non sarà escluso ogni pericolo per la salute dei cittadini”. Esistono infatti molti timori che le emissioni delle antenne destinate al 5G (più piccole e meno potenti, ma molto più numerose) possano avere effetti pericolosi. Al momento, infatti, non esiste letteratura scientifica sufficiente sul 5G: per poterlo fare sarebbero stati necessari studi sugli animali, non predisposti, o sulla popolazione umana, impossibili però da attuare prima di installare i ripetitori.
Finora, però, l’Italia rappresentava un’eccellenza nel panorama europeo, grazie a limiti di emissioni molto più bassi rispetto alla media. Il nostro Paese si era anche rifiutato di adottare gli standard dell’ICNIRP o dell’IEEE (Institute of Electrical and Electronics Engineers), già recepiti da altri partner, confermando i 6 volt al metro nelle 24 ore, contro i 60 già autorizzati in buon parte d’Europa, ossia da 10 fino a 100 volte inferiori rispetto alle linee guida dei due enti internazionali. Ma qualcosa nel frattempo è cambiato.
L’Italia e l’adeguamento europeo
A segnare una svolta è stata l’autorizzazione da parte dell’Agcom, l’Autorità garante per le comunicazioni, alla sperimentazione che apre la strada al 5G. “Il via libera è arrivato da un’autorità indipendente, ma che non ha la minima competenza sanitaria, perché si occupa di telecomunicazioni. L’Authority ha inviato un parere al Governo per un adeguamento dei limiti di esposizione ai parametri massimi previsti dall’UE” spiega l’esperto.
La questione è molto delicata e riguarda l’intreccio tra una moltitudine di leggi nazionali, decreti e regolamenti europei. Di fatto l’Italia ora si adegua a quanto previsto dalla raccomandazione 1999/519/CE, che è una normativa che fissa limiti fino a 100 volte più alti rispetto a quelli italiani. Si passa, dunque, da 0,1 watt per metro quadro (pari a 6 volt/metro) a 10 watt per metro quadro (61 volt/metro). “In questo modo ci si adegua a norme di paesi europei che sono più indietro rispetto a noi in materia” accusa Giuliani, che ricorda che anche negli Usa le esposizioni consentite sono inferiori.
Ma quanto è pericoloso il 5G?
“Non è il 5G in sé ad essere particolarmente nocivo, quanto il fatto che con la nuova tecnologia ci sarà una presenza maggiore di campi elettromagnetici e dunque un maggior inquinamento di questo tipo. Fino al 3G i limiti previsti dalla legge sono stati rispettati” spiega Giuliani. Già con il 4G le cose sono cambiate: “Con il governo Monti è stato modificato il modo di misurare l’esposizione: dal 2012 i 6 volt/metro non sono più calcolati nei 6 minuti, come previsto e indicato da tutti gli enti che si occupano di salute, come l’Organizzazione Mondiale della Sanità, bensì nell’arco delle 24 ore. Questo significa che l’esposizione è misurata in 240 periodi da 6 minuti e che quindi può superare fino a 240 volte il limite previsto in precedenza” spiega il direttore scientifico del Codacons.
Bruxelles dice “no” al 5G
Nella generale corsa al 5G, che permetterà di sviluppare domotica (elettrodomestici intelligenti, grazie a sensori e comandi a distanza), robotica e comunicazioni super veloci, c’è però chi dice “no”. Si tratta del ministro dell’Ambiente della regione di Bruxelles, Céline Fremault, che ha bloccato la quinta generazione della telefonia mobile, sulla base delle conclusioni di una commissione di esperti, del Consiglio economico e sociale (CESRBC), del governo della Federazione Vallonia-Bruxelles, del Consiglio di Stato e del parere del Consiglio dell’ambiente (CERBC). Anche lo stato dell’Oregon (Usa) ha seguito una linea di cautela, così come Mill Valley in California, che ha fermato il 5G per timore di pericoli per la salute dei cittadini.
Che fine ha fatto la raccomandazione del Tar?
Lo scorso gennaio il Tar del Lazio aveva condannato i ministeri dell’Ambiente, della Salute e dell’Istruzione, dando loro sei mesi di tempo per avviare campagne informative sui rischi connessi all’uso di telefoni cellulari. Allo scadere dei 180 giorni, però, non solo non sono state adottate le misure previste, ma i dicasteri hanno fatto ricorso, rinviando di fatto la conclusione del caso a un futuro pronunciamento del Consiglio di Stato.