La parità di genere è una priorità per le ragazze italiane, a differenza dei ragazzi, ma soprattutto resta una chimera, a partire dalla mancanza di libertà nelle decisioni di tutti i giorni: a che ora spostarsi, come spostarsi, come vestirsi, come tornare a casa. Ma la mancanza di libertà emerge anche nell’approccio all’altro sesso e nel modo di vivere una serata nei luoghi della movida.

L’indagine di Telefono Donna su ragazze e ragazzi

La fotografia di come giovani donne e giovani uomini leggono la realtà – e la vivono – in modo molto diverso emerge da un’indagine di Eumetra, istituto di ricerche sociali e di marketing, su un target di ragazze e ragazzi tra i 16 e i 25 anni, realizzata per conto di Telefono Donna Italia, centro Antiviolenza attivo a livello nazionale che da oltre 30 anni sostiene le donne vittime di maltrattamenti. L’indagine è stata realizzata per poter orientare al meglio gli interventi di prevenzione della violenza di genere: ha infatti indagato gli atteggiamenti e gli orientamenti dei giovani verso le questioni legate ai rapporti di genere, l’esperienza diretta di forme di abusi (personali o tra i propri conoscenti) e l’approccio verso il tema della denuncia.

Molto diverso il vissuto di ragazze e ragazzi

A emergere è un divario importante nella percezione e nelle esperienze personali vissute da ragazze e ragazzi: resiste il «te la sei cercata» nel caso di consumo di droghe o alcol come per un certo tipo di abbigliamento, resiste ancora la paura di essere giudicate, ma emerge con forza anche la certezza che un partner geloso è una minaccia (lo dice il 35 per cento delle ragazze, contro il 15 dei ragazzi) e il desiderio di un’informazione corretta sull’educazione affettiva e sessuale: l’83 per cento delle ragazze è molto interessato a partecipare a eventuali corsi, contro il 68 per cento dei ragazzi.

Le paure delle ragazze

Il dato più scioccante, perché impatta sulla vita concreta delle ragazze, è che il 66 per cento delle giovani ha paura di subire aggressioni o molestie (il 18 per cento tra i ragazzi), e quando torna a casa usa accorgimenti particolari – come stare al telefono o cambiare percorso in funzione di punti d’appoggio sicuri (il 22 per cento tra i maschi). A una certa ora il 62 per cento delle ragazze evita di prendere i mezzi pubblici (i ragazzi sono il 17 per cento), il 61 per cento sceglie un abbigliamento che non metta in mostra certe parti del corpo (contro il 14 per cento tra i ragazzi). Il 48 per cento si sente giudicata per come si approccia all’altro sesso (il 32 tra i ragazzi) e il 40 per cento si sente responsabile delle azioni sbagliate di qualcuno («lui è geloso ma è colpa mia») e fa rinunce per accontentarlo.

6 ragazze su 10 vittima di molestie

Grosse differenze tra i due sessi anche sul tema della responsabilità di comportamenti sbagliati: 3 ragazzi su 10, infatti, dichiarano che vestirsi “in un certo modo” attira comportamenti offensivi, mentre 6 ragazze su 10 affermano di aver ricevuto atteggiamenti sgraditi a prescindere dall’abbigliamento. Anche l’assunzione di alcol o droghe è, secondo i ragazzi, un fattore che aumenta il rischio di aggressioni, mentre le ragazze dichiarano che uno stato di alterazione non può essere considerato causa né giustificazione di un’aggressione a sfondo sessuale.

6 ragazze su 10 temono un partner geloso

I timori vissuti dalle ragazze hanno ripercussioni anche nei rapporti con l’altro sesso: il 56% delle ragazze afferma di aver paura di un partner geloso perché è una potenziale minaccia (sentimento assente da parte dei ragazzi nei confronti delle ragazze) e quasi 3 su 10 hanno fatto delle rinunce, ad esempio, sul tipo di abbigliamento e sulla vita sociale, per “accontentare” il proprio partner.

Per la metà dei ragazzi la donna è colpevole se resta con un uomo violento

Parlando di denuncia e reazione alle violenze, a fronte di un’idea condivisa che le donne scelgano talvolta di tacere per timore di ritorsioni, emerge che circa la metà del campione maschile ritiene la donna colpevole se rimane con un uomo violento senza denunciare, suggerendo implicitamente una sua diretta responsabilità nelle violenze subite.

L’educazione sentimentale si impara su internet

Nell’indagine Eumetra, la diversità di punti di vista tra ragazze e ragazzi trova conferma affrontando i temi dell’educazione affettiva e sessuale. Le ragazze si mostrano più coinvolte e informate rispetto al tema dell’educazione affettiva, che consiste, secondo una loro definizione spontanea, nel “relazionarsi con rispetto alle persone ed imparare a gestire i sentimenti”. Le informazioni acquisite su questo tema derivano, in primo luogo, da internet ma, soprattutto tra le giovanissime (tra i 16 ed i 17 anni) ed i ragazzi, è presente anche la figura di insegnanti e genitori. Guardando, invece, al tema dell’educazione sessuale, gli adulti diventano un canale informativo decisamente meno prioritario: il passaparola e internet/social la fanno, in generale, da padroni e in particolare la pornografia viene considerata un canale d’informazione da ben 4 ragazzi su 10 (a fronte di sole 2 ragazze).

Social e trap amplificano la visione negativa della donna

Secondo 4 ragazze su 10, i social influenzano negativamente l’immagine della donna e oltre la metà di loro ritiene che favoriscano comportamenti offensivi. La pensa diversamente il campione maschile: sono 1 su 10 ragazzi ad attribuire ai social la responsabilità della creazione di una visione negativa della donna e solo 2 su 10 a ritenere che abbiano la loro parte nell’incoraggiare atteggiamenti sessisti.

Anche i testi delle canzoni trap, secondo il 40% delle ragazze, contribuiscono a veicolare un’immagine poco rispettosa delle donne, mentre sono solo 2 su 10 i ragazzi che la pensano allo stesso modo. Sembra quindi che i giovani uomini manifestino una sensibilità meno sviluppata sul tema e profonde differenze nella percezione e nell’esperienza nei confronti del tema della violenza.

La parità di genere resta molto lontana anche sul posto di lavoro ma, anche qui, il percepito delle ragazze è diverso da quello dei ragazzi: per il 69 per cento delle femmine non è raggiunta nei luoghi di lavoro, contro il 39 per cento dei ragazzi.

Alla ricerca delle responsabilità

L’unica domanda che manca nel sondaggio è proprio questa: di chi è la responsabilità? Manca perché la risposta è troppo complessa. Tutto il mondo degli adulti deve interrogarsi, da chi ha ruoli educativi, alla scuola, ai politici e amministratori e perfino le realtà del terzo settore. C’è chi, come Manuela Zaltieri, Presidente dell’Ordine Assistenti Sociali di Regione Lombardia, vede sui social e Internet una delle principali fonti d disagio. «I ragazzi vanno protetti dagli strumenti digitali, ci sono bambini che già a 9, 10 anni sono lasciati soli in balia di Internet. L’impatto con immagini violente e pornografiche è devastante. Ma poiché non possiamo demonizzare e porre dei veti, dobbiamo imparare a gestire il mezzo: tante famiglie ci chiedono aiuto e i servizi territoriali devono poter rispondere».

C’è poi chi, come Laura Parolin, Presidente dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia, si sofferma sulla musica rap e trap sottolineando come rifletta una polarizzazione estrema del maschile e del femminile, inducendo i ragazzi a vivere come normali atteggiamenti che invece sono estremi:«Nei testi, penso in particolare a Sferaebbasta, la donna è oggettificata al massimo e la sessualità presentata come estrema promiscuità. I ragazzi finiscono per pensare che tutto questo sia normale mentre un conto è la sessualità virtuale, un conto quella reale». Il problema è che i due piani si mischiano: «La musica trap presenta le donne come prostitute, ma questo codice si riproduce anche nella musica al femminile, basti pensare a come Elettra Lamborghini oggettifica il suo corpo».

Alla fine, prevenzione e formazione sono le uniche armi possibili: Regione Lombardia è molto attiva in questo senso. «Per esempio, dal 2017 sono stati finanziati 37 progetti, 20 dei quali sono diventati strutturali» spiega Elena Lucchini, Assessora alla Famiglia, Solidarietà sociale, Disabilità e Pari Opportunità di Regione Lombardia. «Esiste un protocollo che la prevede anche nelle università e in particolare per le psicologhe dei centri antiviolenza: l’obiettivo è creare linee guida anche per azioni di sensibilizzazione nelle scuole».