Da 10 anni, c’è una scuola unica in Italia. È aperta solo alle donne: 40 ogni anno, selezionate tra oltre 600 candidature. Si chiama In the boardroom ed è stata creata da Valore D con l’obiettivo di trasmettere alle partecipanti tutto ciò che serve sapere per sedersi in un Consiglio di amministrazione e fare il proprio lavoro al meglio. Questa scuola è nata quando la legge del 2011 ha reso obbligatoria la presenza femminile nei Consigli di amministrazione delle società quotate in Borsa. Le donne non avevano confidenza con quel luogo, le sue liturgie, il suo linguaggio. Non avevano le posizioni in azienda per arrivarci o per avvicinarvisi. Rischiavano di occupare la sedia ma di rimanere silenti. E se c’è un antidoto al silenzio è la preparazione.
Così, in 10 anni, il 50% delle alumnae di In the boardroom hanno preso posto nei Cda e sono state tutt’altro che silenti. I dati ci dicono che la competenza nei Consigli di amministrazione è aumentata sensibilmente. Oggi questa scuola apre agli uomini. Io l’ho frequentata nella sua penultima edizione solo al femminile e la notizia ha scatenato un grande dibattito tra noi compagne di corso. «Almeno ci distinguevamo per competenza». «Finalmente avevamo un luogo per fare rete, il nostro golf club, il nostro spogliatoio». «Era pensata per noi, che ci consideravamo sempre delle impostore, per farci sentire forti, capaci, all’altezza». Tutto vero. Ma il motivo per cui questa scuola apre agli uomini è lo stesso motivo per cui l’intera battaglia per la parità di genere deve prendere un’altra strada.
Al momento, nelle società quotate, i Cda sono composti per il 43% da donne. Eppure le amministratrici delegate sono appena il 2%. Le politiche di valorizzazione e di supporto alle donne sono poche e inefficaci. I piani di successione non sono cambiati. Questi 10 anni sono la prova che da sole non andiamo da nessuna parte. Che possiamo sedere nei Cda, ma non riusciamo a cambiare il volto delle aziende. Perché ciò avvenga, è necessario che l’intero Cda o per lo meno una sua vigorosa maggioranza siano convinti della necessità di rimuovere gli ostacoli che impediscono alle donne di lavorare e fare carriera.
Ma come fa un uomo ad acquisire questa consapevolezza? Esattamente come fanno le donne. Vedete, non è scontato per nessuno di noi. Siamo immersi in una realtà che ci fa apparire “normale” tutto ciò che viviamo, il carico domestico sbilanciato sulle donne, così come una predominanza di giacche e cravatte ai tavoli decisionali. Io stessa, interrogata 10 anni fa sull’argomento, non riuscivo ad articolare un’opinione. «Non mi hanno mai discriminata» rispondevo, se interrogata. Quando è cambiato tutto? Quando ho iniziato a prendere parte alla conversazione sul tema, a leggere libri, ad ascoltare. La consapevolezza non si è sviluppata da sola, perché non ho mai subìto una vera e propria ingiustizia, ma nello scambio con gli altri. Ora, se questa conversazione continua a essere solo per donne, le cose non cambieranno mai veramente. Quando saremo tutti compagni di spogliatoio, lo stesso spogliatoio, quando al tavolo della cena il diverso trattamento di genere sarà un normale argomento di dibattito, quando tutti ci sentiremo coinvolti in questo discorso, forse allora le cose cambieranno davvero.