Da giorni gli occhi dell’opinione pubblica sono puntati al governo Draghi e a come gestirà il denaro del Recovery Fund, perché l’emergenza Covid, da sanitaria che era, si è fatta da mesi anche economica e sociale e sta compromettendo la vita di tutti. Se voleste fare un colpo di mano e far passare un’azione legislativa molto problematica che non c’entra niente con il Covid, quando mai vi capiterebbe un momento migliore di questo, con tutti distratti a guardare altrove? Devono averlo pensato le giunte regionali dell’Umbria e delle Marche, guidate entrambe dalla Lega e da Fratelli d’Italia, che insieme stanno concependo – è il verbo giusto – una serie di normative regionali che di fatto aggirano le leggi nazionali sulla libertà di scelta delle donne e rendono impossibile interrompere le gravidanze non volute.
L’Umbria ci aveva già provato l’estate scorsa e ne avevamo dato conto proprio dalle pagine di Donna Moderna (sul n. 36 del 2020, ndr). Allora la presidente della regione Donatella Tesei, interpretando in senso restrittivo le linee guida ministeriali sulla somministrazione della pillola RU486, aveva cercato di imporre alle donne un ricovero ospedaliero forzato, ma il ministro della Salute Roberto Speranza, su indicazione delle associazioni nazionali di ginecologia e ostetricia, era intervenuto per modificare le direttive e consentire anche l’aborto farmacologico a domicilio.
Le giunte conservatrici non si sono però date per vinte e in questi mesi hanno steso un disegno di legge regionale che ricalca per intero lo spirito di quello (bocciato dal Parlamento) del senatore Pillon, che non a caso proprio in Umbria ha il suo collegio elettivo. Le donne umbre e marchigiane, che a causa degli altissimi tassi di obiezione medica stanno già andando in Lazio e in Toscana a interrompere le gravidanze non volute, hanno colto chiaramente il pericolo per la loro libertà di scelta e sono scese in piazza, eppure il caso è stato trattato da quasi tutta la stampa nazionale come se fosse un problema locale.
Invece il tentativo delle giunte di Umbria e Marche tocca uno degli snodi più delicati dell’equilibrio costituzionale e pone una domanda importante: può una Regione stabilire che per le proprie cittadine valgano meno diritti di quelli garantiti nel resto del Paese? E cosa succederebbe alla legge 194 se domani tutte le Regioni adottassero normative simili? Le giunte si difendono dicendo che si tratta di provvedimenti “per la famiglia”, ma fare o non fare famiglia è una scelta delle donne, non dei politici.
E che le donne e la famiglia c’entrino poco in questi provvedimenti è apparso chiaro dalle parole del capogruppo marchigiano dei Fratelli d’Italia, che difendendo quelle proposte ha parlato del pericolo di “sostituzione etnica” collegandolo alla bassa natalità. Sarebbe un errore madornale lasciare sole le donne umbre e marchigiane in questa battaglia civile, perché, se dovessero perderla, la piccola Polonia del Centro Italia rischia di diventare la culla oscurantista del Paese che verrà.