Mentre, poco più che cinquantenne, assisteva allo spegnimento del proprio corpo a causa di una malattia degenerativa, la scrittrice e traduttrice Pia Pera si accorse che c’era qualcosa di stridente nella pubblicità dell’eutanasia possibile in altri Paesi vicini al nostro. Il rischio era che tu iniziassi a guardarti con gli occhi degli altri e a far stabilire a quello sguardo esterno se la tua vita valeva la pena di essere vissuta, invece che continuare a guardare il mondo con i tuoi occhi e a desiderare di vivere finché una scintilla di curiosità li illuminava.
Pur rimanendo a favore della libertà di scelta su come e quando mettere fine alla propria vita, Pia Pera intravedeva il pericolo insito in questa comunicazione sull’eutanasia. E cioè che l’ammalato soccombesse alla paura della malattia quando le condizioni di salute non erano ancora intollerabili. Questa sua sottile osservazione contenuta nello struggente diario del suo fine vita, Al giardino ancora non l’ho detto, mi ha fatto riflettere su cosa succede quando un diritto non viene riconosciuto.
In Italia non è (ancora) possibile decidere sul proprio fine vita. In altri Paesi, sì. Questo porta alla nascita di un business del fine vita, a una comunicazione su di esso, all’arrivo di newsletter che, visto che hai mostrato interessamento, ti ricordano ogni giorno che appartieni a quella categoria di persone che dovrebbero pensarci.
Lì dove un diritto non è garantito, quel diritto diventa merce. E nel momento in cui diventa merce, non solo sei sottoposto agli effetti della pubblicità, capaci di indurre un bisogno lì dove non è ancora emerso, ma soprattutto dividi la società tra chi può permetterselo e chi no. I primi se lo andranno a comprare a caro prezzo, quel diritto. Gli altri se lo accaparreranno, in un modo o nell’altro, molto probabilmente con dolore e violenza. Come tutti i malati terminali che si tolgono la vita. Ecco perché è sacrosanto lottare per i diritti che ancora non abbiamo, come fa da anni l’associazione Luca Coscioni, che ha di gran lunga superato le 500.000 firme necessarie a indire un referendum per legalizzare l’eutanasia.
Ed ecco perché i diritti che abbiamo faticosamente conquistato dovremmo proteggerli invece di rimandarli indietro. Penso a ciò che è successo in Texas sull’aborto, che non è una licenza di uccidere o un’induzione a farlo, ma la garanzia che una donna possa scegliere liberamente e in sicurezza. Senza passare attraverso l’esperienza brutale vissuta dalla scrittrice Annie Ernaux nel 1963 e raccontata nel film che ha appena vinto il Leone d’oro alla Mostra di Venezia, L’Événement. Perché una cosa è certa: possedere un diritto non incentiva a farne uso. Non possederlo, invece, ci trasforma automaticamente in un target a cui potrebbe interessare acquistarlo.