Ada d’Adamo, 40 anni, e Francesca Pieri, 38, si sono conosciute per lavoro (Ada è studiosa di danza, Francesca segue l’ufficio stampa di una casa editrice di libri per bimbi). Le loro vite sono corse parallele fino alla gravidanza, fino a quando un’identica diagnosi, oloprosencefalia, ha stravolto le loro esistenze, le ha fatte girare al contrario, come se avessero imboccato un bivio che le ha portate in direzioni opposte, senza ritorno.
Due anni fa Ada ha partorito una bimba, Daria, che non vede, non parla, non cammina perché i lobi del suo cervello non si sono completamente separati. Ada non ha potuto scegliere se accettare Daria e la sua grave malformazione perché, per una diagnosi sbagliata, l’ecografia morfologica risultava nella norma. A Francesca Pieri, invece, l’oloprosencefalia della sua bimba è stata diagnosticata in tempo per decidere un aborto terapeutico. Così ha visto partorire l’amica quando lei aveva appena interrotto la gravidanza, alla fine senza capire più da che parte stessero fortuna e sfortuna, ragione e torto.
Ada e Francesca sono rimaste in contatto, unite, come fossero una lo specchio di quello che avrebbe potuto essere l’altra. Pronte a raccontare la loro storia per combattere opposti pregiudizi.
FRANCESCA: ho abortito e non sono più la stessa
“Quando decidi un aborto terapeutico, entri in un periodo di sospensione che non riesci a definire: hai dentro di te un bimbo che continua a crescere e che non ti sembra di aver sentito mai così vitale. Insieme ti devi preparare a un lutto che ogni giorno diventa una condanna sempre più pesante. Nessuna convinzione, nessuna ragione riesce ad alleggerire l’anima dal peso di questa scelta”.
Francesca Pieri ha interrotto la sua gravidanza due anni e mezzo fa, quando alla bimba che aveva in grembo era stata diagnosticata una grave malformazione cerebrale. Nel frattempo è diventata mamma di un bimbo (“per fortuna un maschio” dice) e, da poco, è in attesa di una secondo figlio. Ma gli eventi, il tempo non hanno alleviato il peso di quella scelta.
“Ho avuto pochi giorni per prenderla, ero alla 22esima settimana, stavano per scadere i termini di legge. Ho persino incontrato un medico obiettore, per cui ho dovuto aspettare qualche giorno in più, in un reparto di future mamme. Un’agonia”. Per questo Francesca si ribella con forza a chi non comprende il travaglio di un aborto terapeutico. Le chiedo se ha mai avuto dubbi sulla sua decisione. “Lì per lì non ne ho avuto il tempo, poi sono ritornata in maniera ossessiva sulla mia scelta. Mi sono domandata quale sarebbe stato il prezzo minore da pagare: la vita con una bimba disabile o il rimorso di quello che avrebbe potuto essere e non è stato? Ho solo una certezza: da allora non sono più la stessa”.
Francesca non è riuscita ad avere un parto naturale quando è nato il suo primo figlio. “Non ce l’ho fatta. Per abortire mi è stato indotto un parto naturale, ho vissuto un travaglio di due giorni che non portava a una nascita ma a un lutto. In quei momenti ho toccato il fondo della mia coscienza. Ho sofferto in modo sordo, isolato, senza compassione. Ancora oggi soffro ma è questo il punto: non è la mia coscienza che soffre, perché ho scelto quello che ritenevo più giusto. Soffro io”.
Dopo questa esperienza Francesca non si sente più forte, tutt’altro. “Quando è nato mio figlio ho avuto paura di sovrapporre a lui il desiderio dell’altra bimba che non c’era più”. Incontra spesso Ada e, in Daria, vede quello che sua figlia sarebbe diventata, visto che la malattia diagnosticata era la stessa. “Ada mi ha detto che sono stata più fortunata. Non so se è vero. So soltanto che ho avuto il privilegio di poter scegliere”.
Se tornasse indietro lo rifarebbe? “Non ho avuto la forza di chiedermelo”. Aspetta un altro bimbo: se l’amniocentesi desse brutte notizie, quale decisione prenderebbe? “È un pensiero che caccio via. Ho già saldato il mio conto con la vita, tanto che ora ho solo la forza di dire: speriamo che non accada. Non riesco a spingermi oltre”.
leggi anche la storia di ADA