Una donna su quattro durante la pandemia rivela di aver subito trattamenti irrispettosi: è la violenza ostetrica, di cui sarebbe stata vittima la mamma che a Roma ha denunciato l’ospedale dove è morto il suo piccolo. Qui una storia di violenza ostetrica raccontata in prima persona dalla nostra Nina Gigante e il nostro invito: se ne sei stata vittima anche tu, raccontacelo su Instagram
La storia del bimbo morto al Pertini di Roma è il tema dominante del momento. Sui social e non solo.
La vicenda del neonato morto a Roma
Una neomamma che si addormenta dopo aver allattato nel letto il neonato di tre giorni e qualche ora dopo, quando si sveglia, il suo piccolino non respira più, forse soffocato proprio da lei in quel letto d’ospedale.
Io, vittima di violenza ostetrica
Per tanti mesi dopo la nascita di mio figlio non ho potuto parlare del parto senza piangere. Poi il dolore è diventato rabbia. La stessa rabbia e lo stesso dolore che provo in questi giorni, dopo aver appreso la notizia del neonato morto a Roma. Io sono stata vittima di violenza ostetrica, durante e dopo il parto, e non riesco a smettere di pensare a quella mamma.
Se stata vittima anche tu di violenza ostetrica? Scrivi su Instagram, stiamo raccogliendo le storie delle mamme
Il diritto all’epidurale
Il primo ricordo che ho di quella notte del gennaio 2022 in cui è nato
Arturo, mio figlio, sono io, seduta su una sedia a rotelle nel pronto
soccorso dell’ospedale prima ancora di essere ammessa in reparto, con
le contrazioni così forti da non riuscire a camminare. Brandisco un
foglio accuratamente incorniciato in una cartelletta di plastica e lo
mostro a ogni ostetrica che si affacci per vedere come sto: è il
certificato con cui l’ospedale dichiara il suo assenso a procedere con la
partoanalgesia, assenso ottenuto dopo aver sostenuto e pagato una
visita con l’anestesista nei giorni precedenti al ricovero.
«L’epidurale, voglio l’epidurale, fatemi l’epidurale» continuo a ripetere
durante le ore di travaglio. «Non sei abbastanza dilatata», mi dice la
prima ostetrica, «ormai sei troppo dilatata», mi dirà un’altra molte ore
dopo. Nel mezzo, una terza ostetrica: «ancora con questa epidurale,
signora? È normale, deve fare male signora: si partorisce con dolore».
Il diritto a non ricevere l’episiotomia
Si partorisce con dolore. Tanto, tantissimo, nel mio caso, visto che ci
sono voluti molti punti interni ed esterni per ricucire il parto di un bimbo
di 4 chili e mezzo e 58 cm dato alla luce in posizione supina, senza la
possibilità di muovermi o scegliere una posizione che facilitasse
l’espulsione. Uno sforzo che ricordo titanico e verso cui provo ancora
adesso un senso di enorme inadeguatezza, una sensazione continua di
non farcela, di non essere in grado di mettere al mondo mio figlio.
Un travaglio lungo e difficile durante il quale ho anche dovuto schivare
un’episiotomia che stava per essermi praticata dal ginecologo di turno,
senza chiedermi alcun consenso come invece i protocolli e le linee
guida dell’OMS contro la violenza ostetrica suggeriscono. Tra spinte e
contrazioni, ho visto a un certo punto comparire un bisturi tra le mie
cosce: ho urlato al ginecologo che non mi venisse praticata alcuna
episiotomia e mi sono sentita rispondere di non fare storie, stavo
mettendo a repentaglio la vita del mio bambino.
L’episiotomia era inutile
Non so dove ho trovato la forza e la lucidità per imporre i miei diritti e affermare che non avevo dato il consenso per un intervento così invasivo sul mio corpo. Le ostetriche di turno sono intervenute, mi hanno aiutato a ritrovare calma e focus e dopo poco, con un’ultima spinta, Arturo è nato.
Il papà il sala parto non è potuto entrare
Erano le 8.42 del 31 gennaio 2022 e lui era sano, salvo e bellissimo.
Terminato il parto, la degenza non è stata più semplice. Sono arrivata in
stanza stremata, sanguinante, lacerata, debilitata. E sola. Con un
neonato da accudire 24 ore su 24, senza un partner accanto la cui
presenza era ancora limitata dai protocolli Covid, poca assistenza da
parte di un personale sanitario oberato e sotto organico e con un corpo
a pezzi.
La ciliegina sulla torta è arrivata il giorno delle dimissioni dall’ospedale. «Signora, non può uscire in queste condizioni, ma non si
è accorta che non ha fatto pipì? Ha un blocco della vescica» mi sono
sentita dire all’ultimo controllo. Doveva essere una mattina di festa:
finalmente sarei andata a casa, avrei avuto il mio compagno accanto
oltre quell’oretta risicata in cui gli era concesso dai protocolli covid
venire a farci visita, mi sarei fatta una doccia, mangiato cibo decente.
Era luminosissima l’aria quella mattina. Dai finestroni della stanza
filtrava la luce dei primi giorni di febbraio gelidi e pieni di sole. Vedevo
le altre neo-mamme compagne di stanza prepararsi mentre io restavo lì,
in balia di una vescica che no, non mi ero accorta di non aver svuotato.
Semplicemente, non ne avevo avuto il tempo. Da sola, con un neonato a
cui badare 24 ore su 24 e una marea di punti per cui fare pipì non era la
cosa più semplice e veloce del mondo. E io, per tre giorni, non ero
andata in bagno. Mi hanno aiutata con un catetere e un dolorosissimo
svuotamento manuale: avrei fatto di tutto pur di andare a casa.
La violenza ostetrica: 1 donna su 4 in pandemia
Tutti in queste ore parlano di violenza ostetrica, di quell’insieme di pratiche ai limiti dell’abuso fisico e psicologico che sembra incredibile ma tante italiane hanno dovute vivere sulla loro pelle: una donna su cinque (un milione di casi in dieci anni, secondo l’indagine Doxa per OvoItalia – Osservatorio Violenza Ostetrica Italia) prima dell’emergenza Covid e addirittura una donna su quattro in questi ultimi tre anni di pandemia (fonte: Burlo di Trieste, 2022) dichiarano di aver subito trattamenti irrispettosi, procedure mediche imposte senza adeguate informazioni e senza essere interpellate, e di essere state trattate con maleducazione e mancanza di sensibilità al momento del parto in ospedale. “Pratiche lesive della dignità o della propria integrità psicofisica” spiega l’Osservatorio e non si intende solo quello che accade in sala parto. Violenza è anche il mancato accudimento e ascolto dei bisogni di una madre appena nata.
Molto ci sarà ancora da capire e da valutare su quello che è successo al Pertini ma il dato resta e magari anche tu, come me, hai dovuto affrontare un travaglio lungo e faticoso e sei arrivata in stanza stremata.
Raccontaci la tua storia di violenza ostetrica
Ed è per questo che a Donna Moderna abbiamo deciso di aprire uno spazio di ascolto per ogni storia di accudimento mancato. Come hai vissuto il tuo post partum? Ti sei sentita supportata, sostenuta, accudita? Pensi di aver avuto un post partum rispettato? Che cosa ti è mancato e quali conseguenze hanno avuto quei primi momenti?
Abbiamo deciso di raccogliere tutte le vostre storie e pubblicarle sui nostri canali social e sul giornale. Perché la mamma di quel neonato deceduto si senta meno sola: è accaduto a lei, ma poteva accadere ad ognuna di noi e potrà accadere ancora se non ci accorgiamo di avere un problema sistemico e non occasionale, legato al singolo fatto tragico di cronaca.
Leggo per abitare, scrivo per traslocare dice Chandra, una poetessa che amo molto. Scriveteci le vostre storie in DM sul nostro canale Instagram di Donna Moderna: sarà un modo per traslocare da un dolore privato a una presa di coscienza pubblica e collettiva. E, ci auguriamo, anche per far sentire quella mamma meno sola.