Quando il suo incubo è cominciato, Paola aveva appena 14 anni. Bionda, grintosa, nuotatrice promettente, coccolata dal suo allenatore. Forse un po’ troppo: allenamenti individuali, trasferte, lunghe sessioni di massaggi. Lui di anni, all’epoca, ne aveva 43 ed era uno dei coach più titolati d’Italia. Era, perché oggi la Federnuoto lo ha radiato dall’attività e la giustizia penale gli ha inflitto 3 anni di reclusione per atti sessuali con minori.
Tra lui e Paola (il nome è di fantasia, come tutti quelli contenuti in questo articolo), per quasi 18 mesi, è andata in scena quella che i giudici definiscono «una relazione abusante» fatta di umiliazioni, foto e messaggi hard a ogni ora, rapporti sessuali: una relazione dove per il maestro è stato «facile determinare e influenzare il consenso» dell’allieva, «trattandosi di soggetto che rivestiva per lei un ruolo carismatico». Sono stati i genitori della ragazza ad accorgersi per primi che qualcosa non andava e a denunciare il coach, che adesso non potrà più nuocere a nessun’altra ragazzina.
Storie tutt’altro che isolate
Ma Paola, che fino a poco tempo fa sognava di diventare la nuova Federica Pellegrini, in vasca non è più tornata. Storie come la sua sono tutt’altro che isolate. Nei mesi scorsi, mentre la ginnastica americana faceva i conti con i suoi orchi, come ricostrusce il documentario di Netflix Atleta A, mentre la federazione coreana di short track allontanava 2 coach responsabili di avance verso maschi e femmine di 12 anni, mentre in Afghanistan iniziava uno storico processo per molestie sessuali contro l’allenatore della Nazionale femminile di calcio, ci siamo convinti che fosse la caccia a fama e medaglie ad aver tolto il giudizio a chi doveva controllare e denunciare. Che solo pochi depravati, dietro la capacità di costruire campioni, celassero quella di rovinare vite.
Purtroppo non è così, non solo. Nelle normali palestre, nei maneggi, in piscina, nei campetti di provincia, qui, in Italia, troppe volte accadono le stesse cose. «Non possiamo generalizzare, ma lo sport rischia di essere il campo d’azione ideale dei molestatori» spiega la giornalista Daniela Simonetti, autrice del saggio Impunità di gregge (Chiarelettere, vedi box a pag. 36). «L’ambiente è competitivo, non è raro che i toni si facciano maschilisti e vessatori, la scelta di giovani prede è ampia. E la tendenza delle vittime ad aprirsi e denunciare è più scarsa, visto che si confrontano con qualcuno spesso considerato un mentore, e che i loro stessi genitori percepiscono il contesto come sano e protettivo».
La squadra che non si sente al sicuro
Si sentivano al sicuro anche le giovani calciatrici di una squadra piemontese che un paio d’anni fa riuscirono ad arrampicarsi fino alla serie B femminile. Poi, però, all’interno dello spogliatoio qualcosa si rompe: una delle ragazze non riesce più a dormire e ricorre a un terapeuta; altre chiedono lo svincolo per la difficile convivenza con il mister, una vecchia gloria del calcio locale, accusato di umiliarle, in allenamento e in partita, chiamandole «maiale» e «lesbiche»; una delle giocatrici, ancora minorenne, denuncia avance sessuali durante una trasferta. La versione della ragazza sarà ritenuta credibile solo nel secondo grado del processo sportivo, che ha allontanato l’uomo dai campi per 3 anni. Nel frattempo, tutti gli atti riservati vengono messi in piazza, pubblicati sul sito di cui il tecnico è diventato opinionista, e le ragazze sono prese di mira dai suoi fedelissimi. «È un ribaltamento di ruoli tipico di certe realtà sportive di provincia, dove queste persone godono di un credito illimitato» osserva Simonetti.
I traumi subiti dai giovani atleti
È accaduto lo stesso in Campania, dove il 13enne Luca ha denunciato le violenze sessuali da parte del suo maestro di scherma, subendo lo scetticismo e persino gli sfottò di un’intera comunità. Fino a sviluppare asocialità, aggressività e istinti suicidi. «Anche questa purtroppo non è una rarità» commenta Simonetti. «Un trauma subìto in piena età dello sviluppo, per mano poi di chi godeva di fiducia assoluta, è equiparabile a quello subìto da un genitore, e provoca strascichi enormi. Non è un caso se quasi tutti questi giovani abbandonano l’attività sportiva e, spesso, persino la scuola».
Non ci sono dati univoci sugli abusi
I casi sono molti, eppure resta difficile trovare dati univoci. Quelli più attendibili li ha messi in fila pochi mesi fa l’associazione Change the game, che dal 2019 monitora e combatte le molestie di tipo sessuale, fisico ed emotivo nello sport italiano e ha varato una proposta di modifica degli attuali regolamenti del Coni in materia. Secondo la onlus, 1 atleta su 10 ha subito abusi nel corso della sua carriera, ma la cifra sale a 1 su 7 fra gli under 18, «dove peraltro si stima che i casi denunciati corrispondano ad appena un quarto di quelli effettivi» puntualizza Simonetti.
I processi e le condanne sono ancora troppo pochi
Il risultato? I processi per questo tipo sono appena una trentina l’anno, le condanne penali ancora meno e quelle in sede sportiva si contano sulle dita di una mano. Ecco perché sul banco degli imputati sono finiti il Coni e le federazioni: «Violenze sessuali, abusi e molestie ricadono nelle violazioni previste dall’articolo 2 del regolamento Coni che obbliga a lealtà, correttezza, probità, rettitudine» spiega Simonetti. «Ma le sanzioni sono a discrezione delle federazioni, e può succedere di tutto. Colpevoli condannati in sede penale possono essere graziati in sede sportiva oppure ottenere pene di lieve entita»̀. Quest’incertezza non è un buon viatico alle denunce che, nei fatti, rischiano di trasformarsi in un boomerang per le tante famiglie che coltivano sogni di gloria.
Un sistema che non scoraggi le denunce
La buona notizia è che gli antidoti esistono e in alcuni casi hanno già dimostrato di poter funzionare. Sempre più federazioni sportive, per esempio, chiedono ai loro allenatori i certificati penali e dei carichi pendenti. Altre hanno iniziato a formare i loro tecnici con programmi obbligatori. È il caso della Figc, che vale quasi un quarto dello sport di base italiano, fatto di tantissimi minorenni e sempre più ragazze.
«È importante creare un ambiente meno esposto alle pressioni» racconta il responsabile Youth&Education Vito Di Gioia. «Abbiamo lavorato su un sistema che non scoraggi le denunce e che preveda codici di condotta rigidi per i momenti più a rischio, come le trasferte».
Sugli stessi protocolli stanno lavorando la Lega femminile di volley, le società di atletica ed equitazione e altri ancora. Mentre sul miglioramento delle normative stanno per partire 2 tavoli tecnici del Coni e del Dipartimento delle Pari opportunità.
I segnali da cogliere
Ogni persona, specie gli adolescenti e i preadolescenti, reagisce in modo diverso agli abusi. Esistono però alcuni segnali che, se ripetuti nel tempo e combinati tra loro, i genitori non dovrebbero sottovalutare perché possono essere la spia di un disagio maturato in palestra, in piscina, a scuola. Eccoli, descritti nel saggio Impunità di gregge.
. Disturbi del sonno, incubi, risvegli affannosi.
. Mancanza di appetito ai pasti, magari seguita dalla ricerca di “premi” come snack e merendine.
. Iperattività, arroganza nel dialogo, scatti d’ira e spasmodica ricerca di attenzioni.
. Calo di interesse verso lo sport, la scuola, gli hobby e in generale verso attività esterne e di gruppo.
. Paura di separarsi dai genitori e diffidenza verso gli altri adulti, compresi fratelli o sorelle maggiori.
Il documentario
«Hanno approfittato delle nostre passioni e dei nostri sogni». Con queste parole Aly Raisman, capitana del team Usa di ginnastica alle Olimpiadi di Londra e Rio, chiuse nel 2018 la sua carriera denunciando i membri dello staff medico della squadra per molestie sessuali e psicologiche e i dirigenti colpevoli di averli coperti.
L’inchiesta, che ha ispirato il doc di Netflix Atleta A, ha accertato abusi su oltre 300 ragazze e condannato l’ex medico Larry Nassar e i colleghi a complessivi 345 anni di carcere e 800 milioni di dollari risarcimenti.
Il saggio che denuncia i casi italiani
Pervertiti, pedofili e balordi, ma anche insospettabili padri di famiglia che, sui campi sportivi, nelle palestre e nelle piscine, sfruttando il proprio ruolo carismatico agiscono indisturbati tra molestie, abusi, manipolazioni, violenze verbali e fisiche a danno di ragazze e ragazzi, anche minorenni. Sono i “cattivi maestri” del mondo dello sport che la giornalista Daniela Simonetti racconta nel suo libro-inchiesta Impunità di gregge (Chiarelettere). Un’agghiacciante fotografia del lato più oscuro e brutale dello sport italiano.