Non ne esiste uno uguale all’altro. Eppure, se lo cerchi tra le foto di Google, il risultato è questo: un seno di donna bianco, tondo, giovane, sexy, sodo. Se fossimo nel Rinascimento, apparirebbero invece forme semisferiche piccole, pallide e caste come quelle della Vergine e della Venere nei dipinti sacri e profani. Sì, ogni epoca ha idealizzato, standardizzato, usato, censurato, preteso di definire e di perimetrare il significato e l’immagine del seno. Lo spiega Anja Zimmermann, studiosa di cultura visuale e gender, nel nuovo saggio intitolato, appunto, Il seno (Bollati Boringhieri): un lungo excursus storico e artistico sulla parte del corpo femminile che più “politica” e ambivalente non potrebbe essere. Quel che è certo è che accettare il proprio seno è una lezione che dura tutta la vita.

Ieri come oggi, il nostro seno scatena conflitti

«I seni non sono affatto private parts e rivestono un grande interesse collettivo» spiega Anja Zimmermann.

«Sono segni di femminilità, naturalezza, maternità o sessualità sui quali si scatenano conflitti. Ieri come oggi, il loro significato viene continuamente reinventato e discusso in testi, immagini, capi d’abbigliamento. In mostre, fotografie, pale d’altare, happening e molto altro».

Sui social si lanciano irrazionali censure, vedi la campagna #freenipples per liberare le immagini dei capezzoli femminili oscurate da Meta (quelli maschili sono ammessi). Ma nella cronaca non va meglio. Ad Angela Merkel non si perdona di aver mostrato il suo generoso décolleté alla cerimonia dei Nobel nel 2008. La Cbs sta ancora pagando per le cause milionarie dopo “l’incidente” del seno nudo di Janet Jackson al SuperBowl del 2004. Mentre la maglietta leggera di Carola Rackete al processo nel 2019 ha fatto più scandalo delle ragazze del movimento Femen che si sono spogliate per protestare contro Putin in piazza Duomo a Milano.

Accettare il proprio seno: ora ne parla anche una mostra

Le femministe degli anni ’70 volevano simbolicamente bruciare i reggiseni (anche se, spiega l’autrice, è una fake news dell’epoca perché non sono mai andati al rogo). Fior di medici illuministi hanno fatto battaglie per abolire il corsetto che deformava il busto delle donne. Allo stesso tempo cercavano di riportare le giovani alla loro presunta “utilità sociale e naturale”. Ovvero, procreare e allattare: cosa che dal XVI al XVIII secolo era quasi ritenuta impudica visto che i figli venivano nutriti dalle balie o dalle capre. E pensiamo poi a come sono cambiati i canoni estetici nel giro di poche generazioni. «Fino ai primi anni del XX secolo un seno grande era considerato “primitivo”. Così gli interventi erano perlopiù di riduzione, perché l’ideale era la nuova donna moderna con capelli alla maschietta e petto piccolo» spiega Anja Zimmermann.

«Dagli anni ’40 del ’900 taglie più grandi cominciarono a essere considerate più erotiche. Allora ci fu il boom delle mastoplastiche additive con pericolose iniezioni di paraffina e silicone per la “marital happiness”, la felicità coniugale». Sovraesposto ma censurato, il seno oggi è al centro anche della mostra Breast, alla Biennale di Venezia fino al 25 novembre, una rassegna collettiva che invita a riflettere su temi-tabù che il seno da sempre “catalizza” attorno a sé: maternità, empowerment, sessualità, immagine corporea e malattia. Aspetti che però fanno parte della vita quotidiana delle donne, come raccontano le seguenti testimonianze.

Storie di chi (non senza fatica) ha accettato il proprio seno

La storia di Carmen D., 55 anni, responsabile marketing

«Prima la mastectomia di mia madre, poi le mie recidive. In famiglia condividiamo cicatrici e silenzi»

«Dovrai andare in ospedale?». Del male di mia madre ricordo questo: una domanda, l’attesa che tornasse a casa, la sua convalescenza e quel reggiseno imbottito che lasciava sul mobile della camera da letto prima di andare a dormire. Era strano, lo osservavo curiosa perché era gonfio solo da una parte. Oggi penso che lo avesse cucito lei stessa in qualche modo per crearsi una protesi su misura che pareggiasse i conti, almeno da fuori. È stata la prima immagine che mi è venuta in mente quando, 30 anni dopo, ho ricevuto la “mia” diagnosi di carcinoma alla mammella durante un controllo di routine. Ero già mamma, moglie, avevo un lavoro e una vita frenetica come tante. A ogni ecografia superata tiravo un sospiro di sollievo. Ho un seno denso, il radiologo mi consigliava sempre di abbinare la eco alla mammo perché questa risultava opaca. Quella volta no. C’era qualcosa. C’era il male di mia madre, solo preso con molto anticipo rispetto a lei.

Prevenzione e screening genetico possono salvare il tuo seno

Oggi so di avere una mutazione genetica BRCA. Ha presente quella di Angelina Jolie? Ecco, io ho scoperto di averla 2 anni fa, a 53, quando sono tornata di nuovo in sala operatoria per una recidiva. L’ospedale che mi ha presa in cura mi ha fatta entrare in un programma di screening genetico, per me importantissimo perché ho due figlie femmine che dopo il test sono risultate anche loro positive alla mutazione: oggi sono adolescenti, ma sanno già che dovranno fare controlli più stretti e magari un giorno decidere per la mastectomia preventiva. Non penso abbiano mai visto la nonna a petto scoperto, a me è capitato solo di recente perché mia mamma non è più autosufficiente. Nella sua vita non si era mai mostrata con le cicatrici e con quel seno svuotato al quale cercava di porre rimedio come poteva. Penso che per lei sia stata una ferita che ha dovuto ricucire col tempo, nel silenzio, magari negli sguardi di mio padre, dei medici che la visitavano e che non l’hanno mai convinta a sottoporsi a un intervento ricostruttivo. «Erano altri tempi, Carmelì» mi dice. E non ne parla più.

Ho accettato il mio seno quando mi sono sentita bella

La storia di Francesca B., 49 anni, personal trainer

«Ero la tettona della Seconda A. Subivo commenti, sguardi e molestie. Poi ho capito che le mie forme erano un jolly»

«Guardi, le manderei volentieri delle mie foto di qualche anno fa, così capisce cosa intendo quando dico che si giravano tutti a guardarmi. Ma proprio tutti! Certo, io non facevo niente per nascondere la mia quarta, ero una ragazza… diciamo… molto esuberante! (ride). La pubertà è esplosa alla fine delle medie e ho iniziato le superiori più alta di 10 cm e con un seno che non sapevo più dove mettere.

Ero bionda, casinista, formosa, immagini i commenti dei maschi e le cattiverie delle compagne (sì, lo scriva che erano perfide). Persino il mio anziano vicino di casa faceva battute che spacciava per complimenti. Sa cosa c’era inciso sul bagno della scuola? “Viva la tettona della seconda A”. Oggi se fai certi apprezzamenti ti arrestano, ma allora mica si tenevano, ti palpeggiavano sul tram, ti fermavamo per strada, erano molestie belle e buone ma non le capivo. All’Isef non ne parliamo, alle lezioni andavamo con un top e i leggings, alcune docenti mi costringevano a indossare i reggiseni sportivi ma non erano comodi come oggi. E poi, insomma, avevo un sacco di ragazzi, andava bene così.

Il jolly a cui non avevi pensato

Quando ho cominciato a lavorare come personal trainer nelle palestre di Milano, ho visto che il décolleté poteva anche farmi guadagnare di più: non mi giudichi male, era ovvio che una donna come me attirasse molta clientela maschile e io giocavo su questo. Qualcuno mi offriva una cena, un weekend al mare, un giro in moto… Ero bella, giovane, libera, lei cosa avrebbe fatto, si sarebbe chiusa da sola nel suo monolocale dell’hinterland con il gatto? Non sono mai stata ricca e lo stipendio da personal era più basso di quello di una cassiera. Mantenere il seno aveva anche il suo costo: massaggi, creme, lingerie, abiti firmati, allenamento quotidiano. Ho anche posato per un calendario: chissà, se ci fossero stati i social avrei magari fatto l’influencer. Oggi a quasi 50 anni ho ancora il mio “pubblico” (ride di nuovo), ma preferisco nascondere il seno sotto a un bel maglione attillato e un push up. È sexy anche così».

La chirurgia: un alleato per accettare il proprio seno?

La storia di Benedetta S., 30 anni, social media manager

«Ho messo via i soldi. Poi è arrivata la body positivity e il dilemma è rimasto: rifaccio o no il mio seno piatto?»

«Ho una laurea in Lettere, un master in Comunicazione, un lavoro divertente. Un fidanzato che sta a Copenhagen, una casa con un piccolo mutuo che oggi è un lusso. E sono piatta. Tutto in me si è evoluto, tranne il seno. Se sovrappongo le immagini di me a 12 anni e adesso, sono praticamente uguali. Gestire questa assenza è sempre stato molto faticoso, una specie di battaglia quotidiana. Ti guardi allo specchio e, se sei fortunata, magari quel giorno “tocchi” una seconda perché ti è venuto il ciclo. Wow, eh? Non bastasse, sono la quarta di un gruppetto di sorelle tutte-tette, ancora oggi penso a eventuali scambi di culla o alle preghiere di mio padre che arrivasse finalmente un maschio…

A 18 anni avevo deciso di mettere via i soldi per l’intervento, cascasse il mondo l’avrei fatto. Poi mi sono fidanzata (ho scoperto che esistono uomini che apprezzano le taglie piccole), al lavoro ero sempre quella “magra e fortunata” che poteva permettersi tutti gli abiti, e il deficit di partenza è diventato quasi un plus. Ma mai un plus-size come in fondo nella mia testa sognavo: perché lo standard che abbiamo intorno non è il mio, perché in una stanza di sole donne la maggioranza sarà sempre sopra la terza, perché non mi sentivo sensuale, femminile, desiderata.

E se accettare il nostro seno ci aiutasse a farlo con tutto il nostro corpo?

Così nello studio del chirurgo alla fine ci sono davvero arrivata: «Ha troppo poca massa grassa, le protesi dovranno essere piccole e si vedranno» ha sentenziato. Ho setacciato tutte le celeb magre e rifatte, mi sono photoshoppata per vedere l’effetto, ho tentato persino di ingrassare. E poi niente, gli anni sono passati, ho raggiunto i 30, è arrivata la body positivity e il dilemma è rimasto lì: rifaccio o non rifaccio? E se rifaccio, mi metterò l’anima in pace o poi toccherà a un’altra parte del mio corpo che magari non avevo ancora messo nella lista e magari nera? Perché, a ben vedere, anche il naso…».

Quando la gravidanza ci aiuta ad accettare il nostro seno

La storia di Alessandra D.P., 38 anni, insegnante

«Tutti sono fissati con la pancia, quando aspetti un bambino. Ma per me è stata la trasformazione del seno la parte più stupefacente»

«Che fossi rimasta incinta lo avevo capito, ancora prima di fare il test di gravidanza, proprio dal seno. Era cambiato, era più sodo, con delle venuzze blu sottopelle, e il capezzolo aveva tanti puntini intorno all’areola. Pensavo: che strano, sarà mica che… Ricordo di aver mandato una foto ad Andrea, il mio compagno, anche se non era da noi scambiarci immagini intime. “Guarda un po’ qui” gli scrissi con una faccina perplessa. Quella sera, la conferma: due lineette blu ci davano il benvenuto nel mondo dei genitori. Tutti sono fissati con la pancia che cresce quando aspetti un bambino, ma per me è stata la trasformazione del seno la parte più stupefacente, quasi miracolosa. Era diventato tondo, sensibile, candido. Sui social leggevo post allucinanti sulle smagliature, le mastiti, i tagli da suzione e pensavo fossero un po’ da neo-mamme mitomani.

Accettare il proprio seno? Ascoltalo

Quando è nato Giorgio si è subito attaccato e mi sentivo felice, tutto andava bene. Ero stanca, ma chi non lo è dopo un parto? A casa però ho avuto i primi problemi. La montata lattea si è fermata, avevo la febbre a 38 per una mastite (eh sì, avevano ragione!), Giorgio non prendeva peso e alla prima visita mi hanno dato una integrazione col biberon. Dicono che dovresti tenere duro, che il tuo seno è progettato per nutrire tuo figlio e che devi rimanere a sua disposizione ogni volta che ha fame… Ma il bimbo piangeva, il mio seno non rispondeva ai suoi desideri e io morivo dal dolore.

Alla fine papà Andrea ci ha salvati, preparando un biberon che abbiamo dato a Giorgio insieme, mano nella mano. Ho ripensato ai libri letti sull’allattamento, alle istruzioni delle ostetriche, ai sensi di colpa per non essere da subito una buona madre. Cresciamo con l’immagine “santificata” della donna che allatta, nelle chiese vediamo immagini della Vergine con il Gesù attaccato, pensiamo insomma di essere progettate per questo, e invece non è sempre così. Giorgio è un bimbo sano e felice, il mio décolleté è rimasto bello, pieno, fiero di aver attraversato “la tempesta”. E pronto per un nuovo arrivo».

Accettare il proprio seno: un libro da leggere

E meno male che per la biologia è un tratto sessuale secondario! Il seno femminile è, da sempre, al centro di qualsiasi dibattito: morale, scientifico, artistico, politico… Lo racconta la storica dell’arte ed esperta di studi di genere Anja Zimmermann nell’interessantissimo saggio Il seno (Bollati Boringhieri), dove spazia dall’antichità all’attualità, dalla religione alla pornografia, per liberarci da vergogne e tabù e aiutarci ad accettare il nostro seno.