Una donna (o un uomo) può accedere all’account social del coniuge, così come al cloud e alla sua casella di posta elettronica, in caso di scomparsa del marito o della moglie. A stabilirlo è una sentenza del Tribunale di Milano, destinata a fare scuola e soprattutto a chiarire ulteriormente quando è possibile derogare alle normali leggi in tema di privacy.
Un tema delicato, che riguarda i rapporti tra coniugi, anche in caso di scomparsa di uno dei due, perché richiama il concetto di eredità digitale. Ne abbiamo parlato con un’esperta, l’avvocatessa Marisa Marraffino, specializzata in diritto informatico.
Quando si può accedere all’account social del coniuge?
I giudici hanno autorizzato una donna, rimasta vedova, ad accedere all’accoun sociale del coniuge scomparso. La vedova ne aveva fatto richiesta ai gestori, quindi Apple, Microsoft e Meta Platform (WhatsApp), che a loro volta avevano richiesto un’autorizzazione del Tribunale per poter consegnare le chiavi di accesso dei vari account e profili social.
In aula il legale della donna aveva motivato questa richiesta con il desiderio di poter recuperare le foto e i video del marito con i figli, così come eventuali documenti relativi alle ultime volontà del marito defunto. Il caso di Milano ha fatto scalpore, ma non si tratta del primo in assoluto:
Ci sono già stati dei casi simili con recupero delle password?
«In realtà il caso del recupero dell’account social del marito morto non è l’unico. C’era stato un caso simile nel 2021, sempre a Milano, in cui i genitori avevano citato in giudizio Apple per recuperare i dati personali dall’account iCloud del figlio deceduto in un incidente stradale. Anche in quel caso il Giudice aveva ordinato ad Apple di consentire a madre e padre l’accesso ai dati personali. In Europa esiste una normativa diversa rispetto agli Stati Uniti, che garantisce l’accesso ai dati personali di una persona defunta a chi è portatore di uno specifico interesse, a meno che il soggetto non abbia espressamente negato tale possibilità quando era ancora in vita» spiega l’avvocato Marisa Marraffino.
I giudici hanno acconsentito, quindi, in nome del principio di eredità digitale. Ma di cosa si tratta?
Cos’è l’eredità digitale?
«Il provvedimento ci ricorda come i dati contenuti nei nostri account possano entrare a far parte dell’eredità, al pari delle lettere o delle fotografie custodite gelosamente nei cassetti delle nostre scrivanie» ha spiegato il legale della donna, Marco Meliti a Il Messaggero. Esiste, quindi un’eredità che è anche digitale. «Oggi il problema dei cosiddetti “asset digitali” è sempre più frequente. Oltre alle password e ai ricordi, meritevoli di tutela per ragioni affettive, ci sono anche tanti altri beni immateriali che passano dagli archivi digitali. Si pensi all’enorme mole di testi letterari, canzoni, poesie oppure agli NFT (“Non fungible token”, ossia Gettone digitale non fungibile, non riproducibile, come quelli usati nella criptofinanza, NdR) e alle opere d’arte digitali in generale. Se non si pianifica in anticipo la successione di questi beni, un enorme patrimonio potrebbe andare perso per sempre» osserva Marraffino.
Esiste una legge in Italia per recuperare l’accont sociale di un familiare?
«La decisione del Tribunale di Milano risponde certamente a un interesse meritorio di tutela dei figli minori ma, allo stesso tempo, evidenzia una falla normativa nel sistema di protezione post mortem dei dati contenuti nei nostri account – spiega l’esperta legale – Il problema è che mancano regole condivise a livello internazionale, invece la legge italiana è abbastanza chiara sul punto».
In particolare il decreto legislativo 101/2018, che in Italia ha reso concreto il Gdpr (il regolamento europeo sulla privacy), prevede espressamente che «il diritto di accesso ai dati concernenti persone decedute possa essere esercitato da chi ha un interesse proprio oppure agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione – spiega Marraffino – Questo fa sì che in via generale gli eredi o i familiari abbiano il diritto di accesso ai dati, a meno che l’interessato non lo abbia espressamente vietato».
Le piattaforme sono tenute a dare le password dell’account social?
Nella realtà, però, non è sempre tutto così semplice: «Il problema è che occorre quasi sempre fare causa per ottenere le credenziali dell’account social di un familiare morto, visto che le piattaforme nella maggior parte dei casi si rifiutano di collaborare spontaneamente, basandosi spesso sulla normativa americana e sulla privacy dei propri utenti anche dopo la loro morte», chiarisce l’avvocato.
Il testamento online con le proprie password ha valore?
Il caso pone anche un altro dubbio: potrebbero avere valore legale eventuali disposizioni o ultime volontà del coniuge affidate a documenti su un cloud, social o altro? «Un testamento scritto via mail non ha valore legale. I testamenti devono essere olografi cioè scritti per intero di pugno dal testatore oppure pubblici, vale a dire raccolti da un notaio» chiarisce Marraffino, che aggiunge: «È un rischio consegnare a terze persone le proprie password, però occorre pensarci, nominando ad esempio un esecutore testamentario che sappia dove cercare le password e le consegni direttamente a un certo soggetto. In genere si sconsiglia di scrivere le password direttamente nel testamento per due ragioni: 1) le password possono essere modificate spesso; 2) il testamento dovrà poi essere pubblicato e quindi sarà potenzialmente visibile a tutti, password comprese».
A chi lasciare le proprie password?
Ma a chi lasciare, eventualmente, le proprie password? «Negli anni sono nate anche diverse piattaforme che raccolgono le password da consegnare a una persona di fiducia al momento della propria morte, ma ci sono molti rischi: dalla privacy alla difficoltà di capire quando e a chi consegnare le password. Quasi tutti i social network prevedono, invece, la possibilità di decidere il destino dei propri dati personali qualora l’account rimanga inattivo per un certo periodo di tempo. In genere si può scegliere se cancellare tutti i dati o consegnare le password a un amico o a un familiare» conclude Marisa Marraffino.