«Meno male che ci sono i social» pensa – controcorrente – la mamma di Beatrice vedendo comparire nelle stories dell’Instagram di sua figlia, 17 anni, questa sequenza: palla di pane in lievitazione su piano di marmo, teglia traboccante pomodoro e mozzarella, spicchi filanti che quasi senti il profumo. È la “prova provata” che Beatrice è davvero andata «a fare la pizza» da un’amica, come aveva detto. E invece no. Quella pizza non è mai esistita, almeno non tra le mani di Beatrice, che ha passato tutto il pomeriggio al parco a fumare. Come lei, tanti adolescenti sui social non dicono tutta la verità.

Gli adolescenti sui social pubblicano contenuti a uso e consumo dei genitori

«Mi preparo una trama, screenshotto filmatini da TikTok e li posto: se guardi bene, capisci che sono presi qua e là, infatti io non compaio mai, ma nessuno ci fa caso. Oppure scatto foto dell’entrata di un cinema o della fila a un museo, ma io poi sono da un’altra parte. I social sono il mio alibi» confida Beatrice. E continua con ironia: «La mia vita è un po’ tutta un fake: pubblico cose a uso e consumo di mia madre, dei compagni, dei prof, della psico. Foto ma anche aforismi sul mio stato d’animo, positivo ovviamente. Almeno i tuoi sono tranquilli, tu sei tranquilla perché loro sono tranquilli, tutti mettono cuoricini felici e contenti e tu puoi essere triste o arrabbiata per conto tuo».

Non c’entra la privacy

Per Beatrice, e per tanti adolescenti della Gen Z, la vita vera è tutta un’altra… story. Che viene tenuta segreta al riparo di ogni social. «Più che per voglia di privacy, per non impressionare i “grandi”, considerati troppo fragili per reggere l’urto della verità» spiega Loredana Cirillo, psicoterapeuta dell’Istituto Minotauro di Milano e autrice del libro Soffrire di adolescenza. Il dolore muto di una generazione (Cortina Editore).

Le nuove generazioni vivono uno stato dissociativo

«È uno stato dissociativo tipico delle nuove generazioni: procedere alla falsificazione per tener buono l’altro. Oggi i ragazzi sono preoccupati non tanto di deludere aspettative grandiose, quanto di creare problemi e affanni ai loro genitori. Hanno paura di apparire ingrati, più vicini a una disgrazia che a un dono» continua Cirillo. E per evitarlo sono disposti a costruire un’altra versione di sé, credibile, alla fine, anche per loro stessi. Sempre in bilico tra realtà e finzione, gli adolescenti corrono quindi avanti e indietro su un filo dal quale però è facile cadere in quella palude dove non si distinguono più i bisogni autentici.

Adolescenti sui social: uno su tre non distingue il vero dal falso

Che la differenza tra vero e falso sia qualcosa di vago lo conferma il report Disinformazione a scuola, elaborato da un team di ricercatori di UniSR Università Vita – Salute San Raffaele, secondo cui «un adolescente su tre non sa distinguere le notizie affidabili dalle bufale e non riesce a riconoscere l’informazione scientifica da quella pseudoscientifica». La ricerca, nata per sviluppare poi programmi educativi di incremento della capacità critica, affinché gli adulti di domani riescano a identificare le notizie false sviluppando senso di responsabilità sociale e del sé, ha rilevato inoltre che le ragazze hanno un grado di autostima inferiore a quello dei maschi, con la conseguenza di credere ancora meno nella propria capacità di valutare come stanno davvero le cose.

Adolescenti sui social per 6 ore al giorno

Da cosa nasce questa confusione? Una causa è “fisiologica” e riguarda tutti, giovani e adulti: le 5 ore e 49 minuti che in media passiamo connessi a Internet (Rapporto Digital 2024) giocano la loro parte nel rendere la nostra materia grigia ben definita da quella che è stata eletta parola dell’anno 2024 dalla Oxford University Press: brain rot, letteralmente “marciume cerebrale”, per indicare «una condizione mentale temporanea di ossessione, distrazione e saturazione intellettuale come conseguenza di un consumo eccessivo di materiale banale o poco impegnativo». Scrive il filosofo Franco Berardi nel suo articolo Aberranze pubblicato su Substack

Quel che è successo di nuovo è che la mente collettiva ha perduto la capacità di distinguere tra il vero e il falso

Anche per il bombardamento costante e crescente di informazioni, cioè di input nervosi moltiplicati per milioni di volte.

Tra “crash relazionale” e “geyser emotivo”

Immaginate, rilancia Berardi, «gli stimoli informativi che riceve un ragazzino del 2024 in connessione perpetua nell’universo elettronico del digital networking». Che unito al “magma psicologico” su cui surfano gli adolescenti per sfuggire a qualunque occasione di provare sentimenti autentici, identificati come forieri di dolore, porta a un inevitabile crash relazionale. «Neanche gli amici riescono a essere una risorsa in termini evolutivi» osserva Cirillo. «I ragazzi dicono di averne tanti, ma sono solo contatti, relazioni di superficie, perché pensano che, se ti mostri come sei, l’altro ti potrà abbandonare giudicandoti inadeguato, “un accollo”, un peso. È però la fatica di non riuscire più a svolgere la funzione protettiva nei confronti degli adulti a far scoppiare quel “geyser emotivo” che è la crisi adolescenziale e che sconvolge genitori impreparati a vedere tanto insospettato dolore».

Il gioco delle parti tra genitori e figli

Racconta Marco, 17 anni: «Coi miei amici beviamo alcolici, così a volte torno a casa un po’ fuori, ma in ascensore mi guardo allo specchio, mi concentro e divento un altro. È come se mi sdoppiassi, infatti penso che dovrei fare l’attore, perché mia madre ci casca sempre. Oppure fa finta, non so. Comunque, nel gioco delle parti, lei mi chiede dove sono stato e io le dico quello che vuole sentirsi dire, come faccio da sobrio. Poi quando si convince che è tutto ok, vado di là e vomito. E il giorno dopo a volte non so bene neanch’io che film ho recitato» ride.

Il rischio è non capire più cosa si prova davvero

Ma c’è poco da scherzare, se si pensa che magari quello che avrebbe voluto davvero Marco sarebbe stato farsi reggere la fronte da sua madre e dirle quanto stava male invece che convincerla a non occuparsi di lui, cercando di dimostrarle che alla propria vita ci pensa lui. Anche a costo di non riuscire più a capire cosa prova: «Sto bene o sto male? Ero ubriaco, non lo ero…». E chi lo sa? Nell’era della post-verità tutto è possibile. Anche, però, ricollegarsi a noi stessi e a chi amiamo per ricominciare a capirsi.