La notizia è stata un fulmine a ciel sereno e ha sconvolto i fan: Bruce Willis è costretto ad abbandonare il cinema perché non riesce a parlare. In una parola, soffre di afasia che, come hanno scritto la ex moglie Demi Moore e i figli sui social, «sta influenzando le sue capacità cognitive».
Cos’è l’afasia
Per chi ricorda Bruce Willis come protagonista del film Trappola di cristallo è sicuramente un trauma pensare che l’attore 67enne non sia più in grado non solo di recitare, ma persino di comunicare correttamente o leggere un copione. «L’afasia è proprio un disturbo del linguaggio, non della parola in sé. È ciò che viene prima della scrittura e della lettura, ed è una caratteristica umana: anche gli animali comunicano tra loro, ma nessuno parla» spiega Gianfranco Denes, già direttore di Neuropsicologia e Neurolinguistica all’università di Padova e a Ca’ Foscari a Venezia, esperto che collabora anche con l’Associazione italiana afasici. «La comunicazione è resa possibile da alcune aree specifiche dell’emisfero sinistro del cervello, deputate alla produzione e comprensione del linguaggio. Per questo, in caso di lesione cerebrale in questa zona, si può presentare l’afasia, a volte collegata anche a disabilità motorie nella parte destra del corpo, controllata dall’emisfero opposto del cervello» spiega l’esperto, autore anche del libro Parlare con la testa.
Come si riconosce l’afasia: i sintomi
L’afasia può presentarsi in varie forme: «Può manifestarsi come disturbo specifico del lessico, per esempio quando una persona non trova le parole per esprimere un concetto; oppure della sintassi e in questo caso si dice che il disturbo è agrammatico, per esempio quando si usano solo i sostantivi, magari tralasciando le congiunzioni; oppure ancora ci può essere un disturbo chiamato “fonologico”, cioè difficoltà a produrre alcuni fonemi, alcuni suoni, che non si riescono a emettere o si confondono con altri» spiega Denes. «Va comunque chiarito che il paziente afasico non è paragonabile a chi soffre di demenza in senso stretto: le altre attività cognitive come la memoria, l’orientamento e il comportamento sociale sono adeguate, e soprattutto lui stesso ha coscienza della malattia, sa di essere afasico», aggiunge il neurologo.
Le cause dell’afasia: dall’ictus all’invecchiamento
Le cause dell’afasia sono sostanzialmente due: un trauma oppure un processo di deterioramento cognitivo. «Nel primo caso il motivo può essere un ictus, una trombosi al cervello, un’emorragia che di fatto mettono fuori uso le zone cerebrali specializzate nel linguaggio – chiarisce Denes – In altri casi l’afasia può essere legata a una neoplasia o, più di frequente, a una degenerazione cognitiva, detta primaria, che può verificarsi anche nel caso dell’Alzaheimer» chiarisce il neurologo.
Le differenze tra afasia e Alzheimer
Il post dei familiari di Bruce Willis, in cui si parla di difficoltà nelle “capacità cognitive”, lascerebbe intendere che l’attore sia interessato da una forma degenerativa. Ma molto probabilmente non si tratta di Alzheimer. «Esistono, però, alcune differenze rispetto alle demenze pur dovute anch’esse a degenerazioni: anche nell’Alzheimer si verificano disabilità del linguaggio, ma sono accompagnate da un disturbo cognitivo generale, che coinvolge in primo luogo la memoria. In genere, poi, in chi soffre di Alzheimer il linguaggio non è compromesso: può capitare di non ricordare alcune parole, ma la capacità di parlare rimane intatta. Infine non c’è una causa genetica nell’afasia».
A che età può verificarsi l’afasia
«Naturalmente c’è un nesso con l’età, quanto meno nelle forme degenerative progressive, che possono manifestarsi in età più avanzata. Ma anche nel caso di lesioni improvvise, come ictus e trombosi cerebrali, è evidente che si tratta di casi più probabili con passare degli anni, quando aumenta il rischio di una chiusura o di ostruzione di un’arteria a causa di emboli o depositi di calcio. Solitamente, comunque, nei giovani l’afasia si manifesta più con difficoltà espressive, mentre negli anziani con problemi nella comprensione» aggiunge l’esperto. Diverso è il caso di un trauma vero e proprio, come un colpo alla testa: «Purtroppo in questi casi sono coinvolti anche bambini o giovani in genere, come ci capita di vedere presso il nostro centro» spiega il dottor Stefano Monte, presidente del Centro Afasia CIRP di Torino, dove esiste una struttura all’avanguardia e tra le poche in Italia specializzata nella cura delle persone afasiche anche sul lungo periodo.
Le cure per l’afasia
Anche gli interventi possono essere diversi a seconda delle cause e della tempistica. «In caso di trombosi, per esempio, se è possibile si procede con una trombolisi, cioè si inietta un farmaco che scioglie il trombo, oppure in altri casi lo si esporta. Sono eventi dai quali generalmente ci si riprende senza strascichi – spiega Denes – Esistono anche alcune tecniche di stimolazione con impulsi elettromagnetici nelle aree del cervello colpite, ma sono ancora sperimentali e con risultati limitati». «Una volta superata la fase acuta, invece, la logopedia rimane la terapia principale e più efficace. Certo il cervello non è come un osso o come la pelle, che possono ricostituirsi: i neuroni vengono persi man mano nel corso della vita senza rigenerarsi, ma il trattamento con un esperto di logopedia permette di ottenere anche ottimi risultati, se per un periodo congruo» spiega Denes.
L’errore da evitare con una persona afasica
Attenzione, però, a non commettere l’errore di pensare di aiutare una persona afasica spingendola a leggere o scrivere: «È inutile e anche dannoso: lettura e scrittura sono capacità che si sviluppano dopo aver imparato a parlare, quindi se si ha un disturbo del linguaggio, come conseguenza non si riesce più neppure a comprendere fino in fondo un testo scritto o a produrlo» chiarisce il neurologo.
A chi rivolgersi: un centro di eccellenza
Nella maggior parte dei casi, quindi, occorre rivolgersi a un logopedista esperto: «La logopedia è l’intervento tradizionale e più efficace a cui ricorrere specie in caso di trauma. È anche offerto da servizi sanitari, ma è utile se effettuato soprattutto nelle fasi iniziali del disturbo: nei primi 6 mesi o un 1 anno. Il problema è che una volta terminata la riabilitazione primaria offerta dalle Asl, ci sono pochi percorsi di accompagnamento dei pazienti nella loro nuova condizione di afasici» osserva Stefano Monte, che nel Centro CIRP ha invece voluto offrire un servizio di sostegno sul lungo periodo, in convenzione comunque con Asl e Comune. «Noi lavoriamo in modo multiprofessionale con logopedisti, ma anche psicologi, in modo da cogliere le eventuali ricadute psicologiche e sociali della nuova dimensione dei pazienti. Anche teatro e fotografia servono ad allenare le potenzialità residue, aiutando a riposizionarsi quando la patologia diventa cronica e occorre conviverci».