L’ageismo è la discriminazione nei confronti degli over 60 e in genere dei cosiddetti senior. In una società nella quale sembra “vietato invecchiare”, in cui l’invecchiamento è considerato un tabù, specie quando riguarda le donne, ecco che arriva una campagna con tanto di hashtag, #OldLivesMatter, che ricorda quello delle proteste contro il razzismo e le discriminazioni etniche negli Usa. In questo caso si vuole dire “no” alle discriminazioni nei confronti di chi non è più giovane e viene visto come un peso per la società. Cosa che è successa per esempio durante l’emergenza Covid dei mesi scorsi, quando l’età in qualche caso è diventata un criterio per l’accesso alle cure. E l’emarginazione degli anziani purtroppo riguarda tanti altri ambiti, sia sanitari che non.
Ma come si manifesta l’ageismo?
Esempi di ageismo
«Purtroppo le discriminazioni verso gli over 60 ci sono e sono molto più subdole di altre. L’ageismo si esprime in diversi modi: per esempio, quando si accompagna un anziano a una visita medica e si parla al suo posto, quando lui stesso ne sarebbe in grado. A volte può essere un gesto di affetto, protettivo, ma spesso è una forma di ageismo perché rivela che non lo si considera capace di esprimersi autonomamente o in modo adeguato. Oppure accade quando, dopo un ricovero, non lo si riporta a casa, ma in una casa di cura o di riposo nonostante l’anziano non ne abbia bisogno, solo perché i figli o i nipoti non hanno il minimo di propensione a impegnarsi nell’accudimento» spiega il presidente SiGG.
Esiste poi una forma particolare di discriminazione che riguarda le donne: «Tra le pazienti donne con tumore alla mammella la mastectomia totale è molto più comune dopo i 60 anni, perché non si pensa alla dignità delle pazienti, che invece deve rimanere identica nonostante il passare degli anni» spiega il professor Raffaele Antonelli Incalzi, Direttore di Geriatria presso Università Campus Bio Medico di Roma e presidente della Società italiana di Geriatria e Gerontologia (SiGG). Inoltre, per uomini e donne, l’accesso alle cure cambia col passare degli anni.
Cure dimezzate per gli anziani
È stata proprio l’emergenza Covid a far tornare alla ribalta il problema dell’accesso alla cure, in particolare quando è circolato un documento riservato del Servizio Sanitario svedese, che fissava le linee guida in caso di carenza di posti in terapia intensiva e in cui si valutava l’esclusione degli 80enni e dei 60/70enni con altre patologie dalle rianimazioni. Una misura estrema, per riservare i posti letto ai pazienti meno anziani. Il virologo Roberto Burioni, che nel paese scandinavo ha lavorato a lungo, aveva subito preso le distanze e con lui altri esperti in campo medico. Ma una ricerca del Censis sembra confermare come quella decisione non sia ritenuta sbagliata neppure in Italia: il 49,3% dei millennials (i nati tra il 1980 e il 1995) ritiene giusto dare priorità ai giovani nelle situazioni di emergenza, mentre il 35% è convinto che la quota di spesa pubblica dedicata alla terza età sia troppo ampia.
Ma com’è la situazione negli ospedali italiani? «L’esempio della Svezia ha fatto scalpore, ma non dimentichiamo che anche da noi nel periodo Covid un documento ufficiale della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (SIIARTI) che aveva indicato l’età come criterio di accesso alle cure» premette l’esperto, ricordando la raccomandazione n.3 (“Può rendersi necessario porre un limite di età all’ingresso di terapia intensiva»). «Tralasciando il periodo dell’emergenza sanitaria – prosegue l’esperto di geriatria e gerontologia – possiamo comunque affermare che l’Italia è piuttosto attenta alle necessità dell’anziano, non c’è alcuna affermazione esplicita del suo minor valore. Ci sono, però, altri esempi: è il caso della riabilitazione dopo un ictus. Questa è prevista e avviene solitamente nei 60enni, ma in genere i più colpiti sono i pazienti di età superiore ai 75 anni. In pratica gli anziani sono esclusi dalla riabilitazione» spiega il professore. Il motivo è legato al costo delle cure.
Anziani troppo costosi?
Secondo il 16° Rapporto di Osservasalute (2018), la gestione delle malattie croniche, tipiche della popolazione senior, incide per circa l’80% sul totale dei costi del Servizio Sanitario Nazionale. La Società Italiana di Gerontologia e Geriatria stima che in Italia ogni anno siano 150mila gli over 65 colpiti da infarto o ictus, mentre in 200mila soffrono di scompenso cardiaco. Un numero destinato a crescere, secondo le analisi statistiche sul prossimo futuro: già nel 2028 il numero di malati cronici è destinato a superare i 25 milioni di persone. Nel frattempo, il report indica come il SSN spende in media 708 euro per ogni paziente cronico (738 euro per una donna, 685 per un uomo), cifra che però cresce con l’aumentare dell’età: 1.115 euro in media per i 75-79enni, 1.129 per gli 80-84enni, mentre successivamente il costo torna a scendere.
«Ciò che sorprende non è ovviamente il carico economico della popolazione senior, quanto il fatto che prima di arrivare alla terza età gli adulti ne parlino come se non toccasse anche a loro invecchiare, prima o poi. A ciò aggiungiamo che l’ageismo è esso stesso causa di morte prematura» spiega il presidente della SiGG.
L’ageismo accorcia la vita
«Gli anziani che soffrono di discriminazione sono vittime due volte: della discriminazione in sé e del fatto che spesso non possono reagire, sia perché sono più fragili sia perché non possono contare sull’identità di un gruppo, come invece accade per esempio con la comunità afroamericana nel caso del movimento Black Lives Matter, dove invece l’appartenenza etnica rappresenta una forza anche per il singolo» spiega Raffaele Antonelli Incalzi. «L’ageismo, dunque, causa danni psicologici, ma anche fisici».
«Diversi studi hanno mostrato come la discriminazione nella terza età provoca una situazione di stress che arriva a compromettere le funzioni cognitive in termini di memoria, un aumento delle infiammazioni e della pressione arteriosa, ma anche una condizione cardiocircolatoria sfavorevole» aggiunge l’esperto. A ciò si aggiunga il fatto che spesso un anziano vittima di ageismo può andare incontro a depressione. Da qui l’esigenza di una campagna di sensibilizzazione.
La campagna #OldLivesMatter
Se le discriminazioni razziali sono più evidenti e facili da riconoscere, quelle nei confronti degli anziani e in generale di chi non è più giovane passano spesso inosservate. Per questo è stata promossa una campagna di sensibilizzazione, alla quale hanno aderito 42 organizzazioni di 29 paesi, tra i quali l’Italia. Si chiama #OldLivesMatter e attraverso tre video in diverse lingue, girati dal regista francese Jean-Paul Lilienfeld e disponibili su YouTube, mostra tre casi comuni di ageismo. Si tratta di un’iniziativa che vuole ricordare il valore dell’articolo 25 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Ue a 20 anni dalla promulgazione, con la quale si voleva riconoscere e tutelare il diritto degli anziani a una vita dignitosa e autonoma, e alla partecipazione alla vita sociale e culturale.