Due anni fa ha esordito durante una conferenza rivelando di essere una serial killer. «È inutile che mi guardiate così, so che ce ne sono molti fra di voi» ha esclamato. Vero. Perché in quel momento Alessandra Viola stava parlando di una sua magnifica ossessione: le piante. 48 anni, una laurea in Storia, un dottorato di ricerca in Comunicazione della scienza e uno in Scienze agrarie e ambientali con Stefano Mancuso, insieme al quale ha scritto Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale (Giunti). «Non posso dire che le piante mi siano sempre piaciute. Le apprezzavo come ornamento, ogni tanto me ne regalavano qualcuna, però sono sempre stata drammatica come coltivatrice, ne ho ammazzate un certo numero».
La svolta è arrivata quando ha iniziato a scoprire che le piante possiedono abilità incredibili e ha continuato a fare ricerche in questo campo. In Flower Power. Le piante e i loro diritti (Einaudi), appena uscito, Alessandra Viola va oltre, fino a stilare una ipotetica carta dei diritti delle piante che comprende 8 articoli: dal diritto alla vita alla rappresentanza legale e al risarcimento del danno. Una proposta per avviare una discussione.
Ma perché una carta dei diritti delle piante?
«Perché sono straordinarie, hanno delle doti che neanche ci immaginiamo: imparano, e se fanno una brutta esperienza se ne ricordano. Eppure, per il fatto che non si muovono, non le consideriamo come esseri intelligenti. Invece, come potrebbero vivere centinaia, migliaia di anni – come le sequoie – e far fronte a un ambiente che è difficile, in alcuni casi ostile, ai predatori e altro ancora, se non avessero queste capacità? Il fatto che noi riteniamo di essere gli unici esseri intelligenti del pianeta è legato alla nostra scarsa conoscenza del mondo».
In che modo le piante sono intelligenti?
«Le faccio l’esempio di una ricerca condotta qualche tempo fa in un campo di pomodori. Alcune piante erano state attaccate da bruchi “caterpillar” che si cibavano delle foglie. A un certo punto tutte le altre, anche quelle più distanti, cominciarono a emettere delle sostanze che le rendevano amare. I ricercatori hanno scoperto che le piante danneggiate avevano comunicato il pericolo. Ci sono poi alberi che riescono a modificare il metabolismo di alcuni tipi di larve e di insetti e a renderli cannibali, affinché si mangino fra di loro. Ancora, qualche anno fa in un parco nazionale in Africa le acacie, per difendersi dal “saccheggio” delle foglie da parte delle gazzelle, sono diventate velenose. Esistono tantissimi studi di questo tipo».
Le piante comunicano?
«Non parlano la lingua che noi conosciamo, ma si stanno facendo esperimenti per provare a decodificare i loro segnali. Emettono rumori, sostanze volatili, segnali “elettrogenici” con le radici che trasportano informazioni. Solo che noi non sappiamo cosa dicono. Alcuni segnali, pochissimi, li abbiamo compresi: c’è siccità, c’è un predatore… Ma quando avremo decifrato la lingua delle piante sarà come è avvenuto per i geroglifici: una cosa meravigliosa. E invece di una civiltà morta e sepolta sarà un intero “popolo” che vive ai nostri tempi. Mi sono affascinata a tal punto a queste cose che ho pensato: ci vuole un salto di qualità».
Ed ecco la carta dei diritti delle piante
«È la prima volta nel mondo che si parla di una tutela del genere. Finora si è pensato di difendere animali e ambiente. Ma perché le piante no? Ho letto il pensiero di filosofi e giuristi, di persone che si sono occupate di diritto per capire dove avevano tracciato questo confine e su che basi. E mi sono convinta che erano totalmente soggettive e prive di fondamento, e perciò potevano essere ridiscusse. Qualcuno dice: le piante no, gli animali sì perché soffrono. Ma la sofferenza è soggettiva e al momento non sappiamo se le piante provano dolore».
C’è proprio bisogno di stilare un atto formale?
«Sì, per vari motivi. Quando noi concediamo un diritto a qualcuno esprimiamo l’idea che in quella società c’è chi vale e chi no, chi è importante e chi non lo è. I diritti sono espressione di questa consapevolezza e sono fondativi: cambiano gli individui, la società e le leggi. Una volta concessi, obbligano a rispettarli e progressivamente cambia la struttura della società, il modo in cui gli esseri viventi si relazionano fra loro. Aiutano a costruire un mondo diverso. Hanno una funzione generativa che è molto importante. Pensiamo ai diritti delle donne: non hanno sancito la parità di genere, ancora la stiamo costruendo con grande fatica, però adesso abbiamo un ideale al quale riferirci, che dice che tutti gli esseri umani sono uguali. Lo stesso vale per le piante. Quando avremo sancito che sono intelligenti, sensibili, comunicano, sono capaci di scelte e che forse soffrono e quindi meritano dei diritti, allora piano piano potremo costruire un mondo dove c’è una giustizia ambientale, che consentirà anche a noi di vivere meglio».
Perché solo ora cominciamo a renderci conto di questo?
«Perché siamo più in relazione con il nostro pianeta: il Covid e il cambiamento climatico ci hanno aperto gli occhi. Ma c’è dell’altro: storicamente i diritti sono sempre stati concessi con un intento riparatore. Si concedono a chi è vessato, a chi ha subìto. Per gli animali sono stati formulati dopo che si è venuti a conoscenza dei maltrattamenti negli allevamenti intensivi. Oggi come non mai la natura, e intendo le piante che ne costituiscono più del 90%, è danneggiata: disboschiamo selvaggiamente, inquiniamo…».
Nel 2019 lei è stata nominata ambasciatrice della natura dal Centro parchi internazionale. In cosa consiste questa carica?
«Serve a raccontare la natura a chi non si rende conto che noi siamo solo una parte di una biosfera molto più ampia. Lo faccio con conferenze, con i libri, e i risultati sono entusiasmanti: quando parlo con le persone e, devo dire la verità spesso sono donne, e spiego la mia visione sulle piante e i loro diritti, si convincono rapidamente che questa cosa ha un senso, semplicemente non ci hanno mai pensato».
Sarà anche perché non sappiamo riconoscere un faggio da un tiglio?
«Abbiamo perso questo tipo di conoscenza, che una volta era tipica della cultura contadina. Si sapevano riconoscere tutte le erbe, quelle edibili e quelle no. Oggi un bambino non sa nemmeno come crescono le zucchine. Bisognerebbe parlarne a scuola».
Ora anche lei ha il pollice verde?
«Avrò un centinaio di piante sul terrazzino tra alberi, fiori, arbusti. Alti non più di un metro, però. A un certo punto, quando sono guarita dalla mia cecità vegetale, ho coltivato un’ossessione per i semi: li raccolgo ovunque vado e poi li pianto. Mi sono fatta questa idea che la natura vada aiutata, soprattutto in città dove i semi cadono sul cemento. Ora credo, e spero, mi sia nata una magnolia. Sono anni che ci provo».
Un libro per capire
Flower Power. Le piante e i loro diritti di Alessandra Viola (Einaudi) è il risultato di 2 anni di ricerche e scoperte sul mondo vegetale, e propone di istituire una “carta dei diritti” delle piante, analoga alle tutele già riservate agli animali. Insieme al teologo Vito Mancuso, l’autrice inaugurerà il 24 settembre il festival Torino Spiritualità, dedicato quest’anno al respiro.