Che gli italiani leggano sempre meno non è un mistero. A dicembre scorso, anche i dati dell’Osservatorio dell’Associazione Italiana Editori (AIE) presentavano uno scenario impietoso. Rispetto al 2023 non solo è calata la qualità delle nostre letture, ma anche il tempo medio settimanale che passiamo immersi (per davvero) in un libro: sono circa 2 ore e 47 minuti contro le 3 ore e 16 minuti dell’anno precedente. Insomma siamo lettori frammentari, amanti della brevità. In questo scenario desolante, I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, del quale proprio oggi decorrono i 240 anni dalla nascita, avvenuta il 7 marzo 1785, si levano come un’eccezione. Perché le peripezie di Renzo e Lucia sono uno dei pochi mattoni che abbiamo letto pressoché tutti a scuola e di cui bene o male conserviamo un ricordo.
Ha ancora senso leggere I Promessi Sposi a scuola?
Mentre i lettori forti, quelli che leggono almeno un libro al mese, diminuiscono – secondo i dati Istat lo sono soprattutto i ragazzi di età compresa fra gli 11 e i 14 anni – sembra che noi altri che ancora ci portiamo un libro appresso, fisico o digitale, siamo un po’ pigri. Preferiamo storie leggere, che ci svaghino e ci diano tregua dai nostri mille impegni. Salvo poi finire a leggere sempre per dovere. Ora, sulla base di questa tendenza a considerare anche la lettura una performance, in cui ogni titolo è una casella da sbarrare per sentirci al passo con i tempi, è lecito chiedersi: ha ancora senso leggere I Promessi Sposi a scuola?
Premesso che conservo un bellissimo ricordo delle ore in cui, al secondo anno di liceo, la professoressa di lettere raccontava dei bravi in attesa di Don Abbondio e della giovane Gertrude condannata a diventare l’ambigua Monaca di Monza; o ancora dell’irascibilità di Renzo e della magnanimità del Cardinale Borromeo, ho pensato che la risposta fosse dove questi personaggi vivono: le aule di scuola.
Perché gli studenti amano il romanzo di Alessandro Manzoni a 240 anni dalla nascita
I malcapitati sono una quinta classico del Liceo Manzoni di Milano, in realtà ben contenti di averli letti per intero I Promessi Sposi. Con molta più consapevolezza di quanta ne avessi io, mi spiegano perché li amano. Il primo motivo è molto semplice: sono un pezzo importante del tempo che hanno speso in questa aula in cui ora mi trovo anche io. Tanto che il romanzo lo conoscono a menadito ed è parte integrante del loro lessico famigliare, come l’omonimo titolo di Natalia Ginzburg. Condividono un patrimonio di frasi fatte del classico manzoniano, che citano anche mentre fanno tutt’altro. Ridono della “madonnina infilzata” che poi sarebbe Lucia, e del “poltrone incappucciato” che il villano Don Rodrigo usa per inveire contro Fra’ Cristoforo, definendolo così un cialtrone insolente vestito da cappuccino.
Il secondo motivo è l’attualità del messaggio cristiano de I Promessi Sposi. Infatti, in un’epoca che ci insegna l’ambizione di essere vincenti, dei numeri primi, ci ricordano l’esistenza dei numeri due, tre e perfino degli ultimi. Nonostante il lieto fine, Manzoni non ci risparmia il male e l’inferno, in cui a ognuno di noi può capitare di cadere. Ma ci dice anche che si può sempre risorgere e scegliere di essere diversi da come si è stati. Lo dimostrano la condotta di Fra’ Cristoforo, un uomo di fede con il peso di un omicidio da espiare, o ancora la redenzione dell’Innominato, che Don Rodrigo aveva incaricato di rapire Lucia.
L’attualità del romanzo sta anche nei rapporti di potere che in fin dei conti non cambiano mai. Ne siamo testimoni ogni volta che vediamo la giustizia piegarsi ai potenti. Proprio come l’Azzecca-garbugli sta dalla parte dei più forti anziché di due persone umili come Renzo e Lucia. Poi c’è quel matrimonio che «non s’ha da fare» perché Don Rodrigo ha scommesso con il cugino Attilio che Lucia, che non ama, sarà sua. E infine, la sventurata Monaca di Monza sottomessa al volere del padre che decide per lei il suo futuro.
La lezione attuale de I Promessi Sposi a 240 anni dalla nascita di Alessandro Manzoni
Dentro I Promessi Sposi c’è tutta la complessità del mondo, come spiega Carlo Ossola, filologo, critico letterario e autore di Gran segreto è la vita. Il pensiero e l’opera di Alessandro Manzoni (Il Mulino, 2025): «Tutta la vicenda del romanzo ruota intorno alla violenza dei forti e alla speranza degli umili. Proprio la vicenda di Renzo e Lucia, dei contrasti sopportati e delle ingiustizie infine vinte è una lezione civile di estrema importanza. Soprattutto oggi che le differenze sociali si dilatano e il diritto degli ultimi è spesso ignorato, se non deriso.
Leggerlo è ancora utile ai giovani perché spesso uno degli effetti della “coscienza della globalità” è la paralisi e lo sconforto di non poter fare nulla, di essere impotenti. I Promessi Sposi, invece, insegnano la responsabilità del “qui e ora”».
Leggere il risultato di quel famoso risciacquo dei panni in Arno del Manzoni per trovare la versione definiva del suo romanzo, dunque, ha ancora senso. Perché è un classico che continua ad assolvere alla funziona originaria di un libro: accompagnarci per un tratto di vita e gettare in noi i semi della saggezza futura, quella che germoglia con l’esperienza e ci fa dire “questo l’avevo già letto qui”.