All’età di 92 anni, il 15 maggio di quest’anno, muore Alice Munro, “la signora del racconto breve contemporaneo”. La scrittrice premio Nobel 2013, colei che riusciva a ipnotizzarmi con quella sua prosa acuminata capace di condurmi nella vita ordinaria di persone infelici, di donne sole o tradite, di famiglie problematiche e disadattate in un flusso narrativo che alla fine, però, aveva sempre un colpo di coda avvelenato in grado di lasciarti senza fiato. Poi, due mesi dopo la sua morte, il 7 luglio 2024, Andrea Sarah Skinner, la più giovane delle sue tre figlie, rilascia al Toronto Star una lunga dichiarazione in cui racconta che il patrigno Gerald Fremlin, secondo marito di sua madre, aveva sessualmente abusato di lei quando aveva 9 anni.
Alice Munro: gli abusi subiti dalla figlia Andrea
Gerald Fremlin, geografo di professione, una notte d’estate del 1976, mentre Andrea si trovava a casa della madre per le vacanze, si era arrampicato sul suo letto, si era masturbato contro di lei che si fingeva addormentata, continuando poi nel tempo a esibirsi nudo davanti ai suoi occhi, a dirle oscenità, a raccontarle cosa faceva a letto con sua madre e quali altre bambine suscitassero i suoi desideri. Un vero porco.
Andrea, tornata a casa, aveva confidato subito tutto alla matrigna, che a sua volta l’aveva raccontato a papà Munro, il quale, non si capisce se per paura nei confronti dell’ex moglie ormai famosa, per ignavia o per quieto vivere, non aveva affrontato l’argomento con nessuno. L’anno dopo Andrea viene rispedita per le vacanze nella stessa casa incriminata, facendola accompagnare dalla sorella maggiore Jenny, che non potrà impedire il ripetersi delle avances. Le quali cesseranno quando Andrea diventerà adolescente.
Fremlin è interessato soltanto alle Lolite, un vero e proprio professor Humbert, come lui stesso si definirà in una serie di lettere alla moglie Alice, quando un bel po’ di tempo dopo, nel 1992 (sono passati ben 16 anni), Andrea scriverà alla madre una lettera raccontandole l’accaduto. Ormai è una donna 25 anni e trova il coraggio di scrivere quella missiva perché Alice Munro, mamma già famosissima, le dice che ha letto un racconto in cui una ragazzina si suicida per essere stata vittima d’incesto e le chiede: perché non l’ha detto alla madre? Bella domanda: perché non l’ha detto alla madre?
Una storia complicata
Già fin qui la storia è parecchio aggrovigliata: un accumulo di violenze, silenzi, tacite consegne, ricordi rimossi, ma in realtà sempre presenti. E ora si complica ancora di più. Perché Alice Munro per qualche mese se ne va, abbandona il pedofilo Fremlin. Lui le scrive lettere in cui afferma di essere come il protagonista del celebre romanzo di Nabokov: perché se Andrea, la puttanella di 9 anni, era una Lolita che provocava, che colpa poteva avere mai lui, vittima di tanta sottile, perversa seduzione? Alice ritorna a casa e dice alla figlia che «l’ha saputo troppo tardi… e che non può vivere senza di lui».
Il tempo cancella tutto, il passato è passato, si sa, ma questa è un po’ grossa. Una madre che invece di accogliere e riconoscere la voce della figlia, decide di appellarsi al tempo e alla sua dipendenza da un uomo… be’, fa traballare l’immagine del materno che tanto piace. Alice Munro è una donna che pur di tenersi l’uomo che ama, colui che sa assecondare i suoi bisogni più segreti, se ne frega anche della prole esposta alla peggiore delle violenze?
Perché, come scrive Neige Sinno in Triste Tigre, premio Strega europeo di quest’anno, anche lei abusata alla stessa età dal patrigno, «un abuso sessuale su un bambino non è una dura prova, un incidente della vita, è un’umiliazione profonda e sistematica che distrugge le fondamenta stesse dell’essere. Quando si è vittime una volta, si è vittime sempre. Anche quando se ne viene fuori, in realtà non se ne viene fuori».
La via del silenzio di Alice Munro
Andrea comincerà a soffrire di mal di testa, depressioni, problemi alimentari. La ragione, però, per cui la giovane donna si decide infine a denunciare Gerald è che nel 2002 diventa madre e dice ad Alice Munro che sì, può vedere i suoi nipotini, ma il marito, l’odiato Fremlin, assolutamente no! Non si deve avvicinare. Alice, a quel punto le dà una risposta da far perdere la testa: poiché non guida, per lei è molto scomodo andare a trovarla se non la accompagna lui. Andrea a quel punto conclude, urlando, la telefonata e la frequentazione.
Ma due anni dopo, a ottobre 2004, Daphne Merkin intervista Alice Munro per le pagine dei libri del New York Times. Dalle parole della scrittrice viene fuori che Fremlin non è soltanto l’uomo dei sogni, ma che è anche in ottimi rapporti con tutte e tre le sue figlie con cui «s’incontra per parlare bene di me». È la classica goccia che fa traboccare il vaso. Andrea lo denuncia e Fremlin, ormai vecchio, viene iscritto nell’album dei pedofili e condannato a due anni di libertà vigilata.
Ma malgrado tutto ciò, la notizia non passa. Un cordone di omertà famigliare circonda la Munro: nessuno parla, nessuno ricorda, nessuno cerca. Forse si sussurra nell’ambiente, ma nulla di più. Robert Thacker, biografo della scrittrice, ha dichiarato di essere stato a conoscenza della situazione, ma di aver ritenuto opportuno non inserire la cosa nella biografia. Anche Douglas Gibson, editore della Munro, era a conoscenza dei fatti. Ma silenzio! Che forse, alla fine, è la cosa che spaventa di più.
La voce di Andrea
Oltre alle parole che la Munro ha detto a un certo punto ad Andrea: «È la cultura patriarcale che vuole che lasci mio marito… quello che è successo allora è una cosa tra te e lui». E che cultura sarà mai quella che ti fa scegliere di restare con l’uomo che ha molestato tua figlia di 9 anni? Non so ancora cosa provo verso Alice Munro, la scrittrice che più ho letto con piacere in questi anni.
Sicuramente ripercorrendo i suoi racconti mi verrà da cercare in quelle storie tracce della sua vita segreta. Ma di una cosa sono certa: Andrea, malgrado tutto, deve aver amato moltissimo questa madre incapace di proteggerla. Perché l’ha protetta lei in tutti questi anni. Ha deciso di non scalfirne l’immagine finché era in vita, anche se malata di demenza senile. Poi, a due mesi dalla sua morte, ha parlato, ha trovato semplici parole precise per dichiarare l’irreparabilità del danno e l’urgenza di rendere testimonianza, sì, ma collettiva. Andrea ha ritrovato la voce e l’ha fatta sentire.