Che il movimento e uno stile di vita sano potessero aiutare nella prevenzione delle demenze e quindi anche dell’Alzheimer, era noto. Adesso, però, arrivano i risultati di uno studio molto ampio, condotto negli Usa, che ha dimostrato che chi svolge attività fisica in modo continuativo ha il 33% in meno di rischio di andare incontro a questo tipo di malattia. Ecco l’opinione di due esperti italiani.

Lo studio: i benefici dell’attività fisica per l’Alzheimer

Lo studio, di cui si parlerà in occasione del 74° congresso dell’American Academy of Neurology ad aprile a Seattle (USA), è stato condotto su un gruppo di 650mila veterani di età media di 61 anni (tra i 30 e i 95 anni), senza alcun sintomo o diagnosi di Alzheimer, seguiti per 9 anni, durante i quali tutti sono stati sottoposti a test fisici su tapis roulant. I partecipanti sono stati suddivisi in cinque gruppi, a seconda della performance atletica che riuscivano a ottenere: si andava da chi era in grado di camminare a passo sostenuto per due ore e mezza al giorno a chi si limitava a uno sforzo minimo. «È uno studio importante perché condotto su un campione molto ampio e per lungo tempo. Conferma l’importanza dell’attività fisica già ipotizzata in passato: da un lato aumenterebbe le sinapsi tra i neuroni, ma io credo che un ruolo fondamentale lo abbia la circolazione. Più sangue al cervello significa più ossigeno e zuccheri, ossia il “carburante” del cervello stesso. Inoltre l’attività fisica migliorerebbe la vascolarizzazione – quindi ancora una volta l’ossigeno – all’ippocampo, cioè la zona dedicata alla memorizzazione, che invece è quella colpita dalla degenerazione nella malattia di Alzheimer e nelle demenze» spiega Elio Scarpini, Professore di Neurologia, Direttore del Centro Alzheimer e Sclerosi Multipla “Dino Ferrari” dell’Università di Milano – IRCCS Fondazione Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico.

Più energia consumiamo più possiamo prevenire l’Alzheimer

Lo studio, però, si spinge oltre e sembra sottolineare l’importanza di una certa attività fisica “sostenuta”: ad essere preso in considerazione, infatti, è il MET, Metabolic equivalence task, ossia l’“equivalente metabolico” dell’attività: in pratica l’energia utilizzata dal corpo per compiere l’esercizio. «Il MET è una misura che indica l’energia che il nostro corpo usa per compiere una determinata attività. Per esempio mentre siamo seduti a riposo il nostro corpo consuma circa 1 MET, mentre per fare lavori manuali in casa o giardinaggio si può consumare da 2 a 6 METs e infine attività come la corsa o fare le scale permettono di utilizzare tra i 6 e i 20 METs in base all’intensità dell’attività. Ovviamente ci sono diversi modi per quantificare l’intensità di un esercizio. L’utilizzo del MET è una modalità semplice che permette di avere una stima dell’energia utilizzata mediamente da una persona nella sua vita quotidiana. Questo dipende ovviamente dal proprio metabolismo ma soprattutto dal proprio stile di vita» spiega Federica Agosta, responsabile dell’unità di Neuroimaging delle malattie neurodegenerative dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.
Il team di neuroscienziati coordinati da Edward Zamrini, professore del Dipartimento di ricerche cliniche alla George Washington University e direttore di Neurologia Irvine Clinical Research, ha osservato una riduzione del rischio di andare incontro ad Alzheimer nei meno sedentari. In particolare tra questi ultimi si sono registrati 9.5 casi su 1000 persone, mentre tra i più allenati 6.4 casi su 1000, ossia il 33% in meno rispetto ai meno in forma.

Perché consumare energia previene l’Alzheimer

L’aspetto interessante riguarda proprio il dispendio energetico, misurato con il parametro del MET. «Si tratta di un modo alternativo per valutare quanto una persona è attiva nella propria vita. Può quindi essere considerata una misura indiretta dell’attività cardiorespiratoria che sappiamo giocare un ruolo importante nell’ossigenazione dei muscoli e del cervello – spiega ancora Agosta – Quindi per ridurre il rischio di sviluppare malattie neurodegenerative come l’Alzheimer, è importante essere attivi nella propria quotidianità ed eseguire con costanza attività che consumano tanti METs, ossia tanta energia».

Che attività occorre fare contro l’Alzheimer

«I dati provano che l’attività aerobica di una certa durata porta benefici concreti. Attenzione, però, perché si tratta di sforzi relativamente prolungati, non cinque minuti. La ricerca, infatti, indica un tempo minimo di almeno 150 minuti alla settimana per soggetti in età più avanzata e 60 minuti al giorno per i più giovani» chiarisce Scarpini, che aggiunge: «Certo è difficile stabilire una differenza di età esatta, però io ritengo che per essere efficace in termini di prevenzione sia consigliabile fare anche più dei 30 minuti al giorno, arrivando anche a 45/60 o oltre, se si è in grado: più se ne fa e meglio è». Conta anche l’intensità: «Per attività fisica non si intende la passeggiata fermandosi davanti alle vetrine, ma una camminata a passo sostenuto, quando si inizia a sentire un po’ di fiatone e si suda. Fermarsi ad ogni negozio, purtroppo, serve a poco», spiega Scarpini.

I geni contano, ma anche dieta e movimento

«Ci sono due fattori principali che influenzano il livello di fitness cardiorespiratoria: la genetica e l’esercizio abituale. Non possiamo cambiare la nostra genetica, ma possiamo migliorare la nostra forma con programmi di esercizio routinari» ha spiegato Zamrini. «Sicuramente la malattia di Alzheimer ha una base genetica, anzi si parla di “malattia poligenica”: esistono una serie di tanti piccoli geni che, se si sommano, aumentano il fattore di rischio di sviluppo della patologia, ma conta molto anche lo stile di vita – spiega Scarpini – Quando la componente genetica è forte, infatti, di solito l’Alzheimer si presenta in forma precoce, a 40/50 anni». «Ormai tanti studi suggeriscono che eseguire attività fisica di intensità moderata migliori non solo la performance motoria ma anche quella cognitiva nei soggetti anziani con decadimento cognitivo lieve. Inoltre l’attività fisica, come per esempio l’attività aerobica (correre, andare in bicicletta, nuotare ecc.), migliora anche la plasticità cerebrale di aree deputate alla memoria come l’ippocampo. Sicuramente anche uno stile di vita sano dal punto di vista dell’alimentazione e del sonno è di fondamentale importanza, ma attualmente gli studi ci suggeriscono che fare esercizio fisico regolare sia l’aspetto più importante per prevenire il rischio di sviluppare demenza» spiega Agosta.

La dieta mediterranea protegge dall’Alzheimer

È d’accordo l’esperto del Policlinico di Milano, secondo cui «sono tre le componenti fondamentali per la prevenzione: l’attività fisica, l’alimentazione e l’allenamento del cervello. I benefici dell’attività fisica sono stati confermati anche dall’ultima ricerca, mentre sul fronte dell’alimentazione «è stato dimostrato scientificamente che la dieta Mediterranea è utile, grazie all’apporto di frutta, verdura e pesce, che hanno funzione protettiva, insieme ai cereali. Andrebbero limitati, invece, carne rossa e altre proteine animali come i latticini, che hanno un effetto pro-infiammatorio che pare concorra alla malattia, mentre è ammesso un po’ di vino rosso, con moderazione, diciamo uno o due bicchieri al giorno. La dieta Mediterranea, infatti, migliora in genere l’afflusso di sangue al cervello, mentre nei casi di Alzheimer e demenza, invece, si registrano spesso problemi di microcircolazione» spiega il professore. Anche per questo gli esercizi che coinvolgono il cervello, come lettura, cruciverba, ecc., possono avere un effetto positivo.

Alzheimer in aumento e possibili cure

Ma a che punto sono le terapie? «Magari ne esistesse una. Il problema è proprio che non esiste un farmaco specifico efficace, ma solo cure che rallentano la patologia, senza risolverla in maniera definitiva – osserva Scarpini – Ma il numero dei pazienti sta aumentando, insieme ai costi per i servizi sanitari che diventano insostenibili». È poi molto difficile la gestione per le famiglie di un malato di Alzheimer. Complice anche l’allungamento dell’aspettativa di vita, nel mondo si contano 55 milioni di persone affette da demenza, con 10 milioni di nuovi casi all’anno. L’invecchiamento della popolazione porta a ritenere che le cifre possano aumentare ancora, arrivando a 78 milioni di malati nel 2030 e 139 milioni entro il 2050. In questo contesto, l’Alzheimer risulta la forma più diffusa, che viene diagnosticata tra il 50% e l’80% dei casi totali di demenze. «La presa in carico di pazienti con demenza prevede valutazioni neurologiche o geriatriche su base regolare (1-2 volte all’anno) per valutare l’andamento della patologia e per il rilascio di eventuali piani terapeutici. I trattamenti farmacologici attualmente disponibili in commercio sono sintomatici e indicati nella sola demenza di Alzheimer. È di fondamentale importanza anche la presa in carico dal punto di vista riabilitativo tramite programmi che prevedano esercizio fisico associato ad allenamento delle funzioni cognitive» spiega la dottoressa Agosta, che aggiunge: «Sono tuttavia in fase avanzata di sviluppo alcuni farmaci cosiddetti disease-modifying, cioè agenti sul processo patogenetico della malattia di Alzheimer». «La ricerca va avanti con lo studio di nuove molecole e io sono ottimista sui futuri risultati» concorda Scarpini.