Nuovi studi stanno rivoluzionando la diagnosi e la cura dell’Alzheimer.
Fino ad oggi la teoria più accreditata è che l’ippocampo (la zona del cervello dove risiede la “centralina” della memoria), perda gradualmente la capacità di gestire la dopamina, il neurotrasmettitore che coordina il movimento, il sonno, l’attenzione, la capacità mnemonica. Da qui, i sintomi caratteristici della malattia.
«Ora però abbiamo identificato un’area profonda del cervello che si “ammala” molto più precocemente rispetto all’ippocampo» spiega Marcello D’Amelio, coordinatore dello studio e professore di fisiologia umana e neurofisiologia dell’università Campus Bio-Medico di Roma. «In questa zona sono presenti particolari neuroni che iniziano man mano a morire. E danno il via a sintomi poco considerati fino a oggi nella diagnosi precoce, fra cui l’apatia e i bruschi cambiamenti di umore». In parallelo sono in fase di studio anche nuove molecole, che hanno l’obiettivo di bloccare questa degenerazione. Ma non è tutto. Da altre ricerche sta emergendo il ruolo importante di fattori come l’alimentazione, gli integratori di vitamine e sali minerali, oppure le attività artistiche e la clownterapia: si è visto che sono in grado di difendere questi particolari neuroni. Alcune cose si possono mettere in pratica subito sia per prevenire la malattia, sia per frenarne la progressione in chi già ne soffre, come ci spiegano i nostri esperti.
Gli alimenti antiage
La dieta mima-digiuno del noto ricercatore Valter Longo ha un ruolo riconosciuto negli adulti per mantenere il cervello giovane, come ha raccontato anche nel suo libro La dieta della Longevità (Vallardi edizioni). Si tratta di un particolare regime alimentare che prevede per cinque giorni una riduzione calorica tra il 34 e il 54% rispetto al normale. Lo scopo è, mangiando meno, di ingannare il corpo, che reagisce mettendo in moto una serie di meccanismi in grado di far scattare il dimagrimento. A breve inizierà uno studio al Policlinico San Martino di Genova, per la prima volta sugli over 65. «Rispetto alla formula originale non c’è la restrizione calorica, per evitare il rischio di malnutrizione» racconta Longo. «L’obiettivo è quello di rallentare il decadimento cognitivo, come abbiamo già dimostrato sui topi».
Attenzione però: la dieta va seguita sotto stretto controllo medico. Sono adatte per tutti invece le regole pubblicate sulla rivista scientifica Alzheimer’s & Dementia. «È stato stilato un modello dietetico ad hoc per la prevenzione della malattia, molto simile a quello mediterraneo» dice Manon Khazrai, ricercatrice e professoressa di Nutrizione clinica dell’università Campus Bio-Medico di Roma. «Esistono dei cibi dal provato effetto neuroprotettivo e per questo è consigliabile consumarli ogni giorno. Sono, infatti, capaci di tenere a bada i meccanismi dell’infiammazione, che hanno un ruolo importante nella degenerazione dei neuroni. In più mantengono bassi i valori del colesterolo che, secondo alcune ricerche, hanno un legame con la malattia». Si tratta di frutta e verdura fresche di stagione, cereali integrali e snack con olive, noci e semi oleosi (due al giorno). Mentre vanno limitate a due porzioni alla settimana la carne (rossa e bianca) e le uova, dando la preferenza a pesce azzurro e legumi. Da evitare invece gli alimenti che contengono i grassi trans-saturi: in etichetta sono indicati come “parzialmente idrogenati” e si trovano facilmente in prodotti industriali come merendine, margarina e gelati confezionati.
I minerali da prendere e quelli da evitare
Lo studio clinico europeo LipiDiDiet appena uscito su The Lancet Neurology ha dimostrato che un mix di acidi grassi essenziali, vitamine e sali minerali rallenta la perdita di memoria in chi ha una malattia in fase iniziale. Ma non è l’unica novità. «Altri studi hanno provato che la vitamina E e le vitamine del gruppo B hanno un effetto antiossidante e aiutano i neuroni a mantenersi in attivi» continua la professoressa Khazrai. «Per contro, meglio evitare gli integratori multivitaminici che contengono rame e alluminio. Sembrerebbe che queste sostanze possano favorire la comparsa della malattia. Stessi sospetti per il ferro, che va assunto solo in caso di necessità e sotto controllo medico».
Avanti nella ricerca, indietro nelle cure
Un recente rapporto rivela che siamo al primo posto in Europa per gli studi sulle cause e sulle terapie, ma in fondo alla classifica per il sostegno ai malati (e alle famiglie). Diamo uno sguardo a cosa significa oggi, in Italia, assistere una persona affetta da questa malattia.
I primi segnali della malattia
Apatia generale e mancanza di motivazione sono campanelli d’allarme e non più conseguenza della malattia. Il meccanismo è stato chiarito da una scoperta italiana sull’origine della malattia.
Alzheimer: le nostre storie
In questo speciale lo scrittore Flavio Pagano racconta le vite dei malati e dei caregivers (in genere, familiari) che si occupano di loro.