E’ una proteina che già si conosceva, implicata nei meccanismi della malattia e che, introdotta nell’organismo, sembra prevenire il decadimento cognitivo (e i disturbi di memoria) nel cervello dei malati di Alzheimer. Si chiama P38-Tau Chinasi e la sua funzione nel morbo è stata indagata da uno studio condotto University of New South Wales con il gruppo del Neuroscience Research Australia.
Cosa succede nel cervello di un ammalato di Alzheimer
La malattia di Alzheimer si caratterizza per due aspetti: la presenza di placche di proteine (amiloide) e la comparsa di ‘grovigli’ a base di proteine ‘tau’ fra i neuroni del cervello. Questa combinazione porta alla morte delle cellule: si verifica un processo di atrofizzazione delle cellule nervose, che poi comporta danni cognitivi come perdita di attenzione, disorientamento, disturbi della memoria.
Come si è svolta la ricerca
I ricercatori hanno ipotizzato che le proteine ‘Tau’ abbiano un effetto protettivo nei confronti del cervello e che sia l’amiloide a distruggere questo sistema di protezione nei confronti nei neuroni. Nei malati, si assisteva infatti a una graduale perdita di proteina Tau, quella che proteggeva i neuroni.
Nella sperimentazione, condotta sui topi, si è introdotta la proteina P38-Tau Chinasi e si è notata l’azione di protezione, senza che si evidenziassero deficit di memoria: in pratica, i neuroni non venivano aggrediti dalle placche di amiloide. «Questa proteina – ci spiega Sandro Iannacone, primario di Riabilitazione specialistica 2, Disturbi neurologici, cognitivi e motori all’Ospedale San Raffaele di Milano – diminuisce con il progredire della malattia e nei topi, una volta reintrodotta, ha un effetto protettivo perché riduce l’accumulo dell’amiloide».
A che punto è la scienza nello studio dell’Alzheimer
«La ricerca – continua l’esperto – è sicuramente un passo importante nella scoperta di uno dei meccanismi di questa malattia. Perché va chiarito: oggi ci stiamo concentrando sui meccanismi attorno a queste placche di amiloide, sia nella direzione della prevenzione (evitare l’accumulo) che in quella dell’intervento per la sua riduzione (dove vi sono, annientarla o eliminarla). Al San Raffaele di Milano abbiamo due progetti di ricerca in quest’ultimo campo: cerchiamo di eliminare dei componenti dell’amiloide, gli oligomeri, alcuni dei quali sono le vere sostenze tossiche per i neuroni».
In quali casi si potrà dare il futuro farmaco realizzato con questa proteina
Questo studio è stato effettuato sui topi. Il passo successivo è sperimentarlo sull’uomo. «Bisogna capire se è tollerato dall’organismo umano, come somministralo e se è efficace. Tutti passaggi che richiedono altri studi. In linea teorica, però, essendo questo farmaco ‘preventivo’, questa terapia non funzionerà in chi è già malato, in stato avanzato. Si aprirebbe poi un altro problema: a chi darlo?» chiarisce il professor Iannacone.
Sarà un farmaco preventivo, non curativo
La complessità della malattia di Alzheimer è che non esiste un esame medico definitivo per la diagnosi. «Non abbiamo un marker, un indicatore nell’esame del sangue. La diagnosi è un insieme di tante cose: anamnesi medica, disturbi di memoria, risonanza magnetica, pet, esame del liquor cerebrale. Si mettono insieme diverse indagini e poi si arriva a una conclusione. E quando ci si arriva è sempre un po’ troppo tardi. Una diagnosi precoce, insieme a farmaci che limitano la tossicità delle placche, è la strada che si percorre oggi per queste persone. Da questa ricerca, lo scenario futuro potrebbe essere un farmaco per prevenire la malattia» dice Iannacone dell’HSR di Milano. «Oppure un uso combinato dei due: eliminazione dell’amiloide esistente e cura preventiva da ulteriori danni ai neuroni»