In tanti ci scrivete perché siete caregiver (con pochi diritti e scarse tutele) o avete genitori o parenti anziani – spesso disabili – ricoverati in una Rsa (Residenza sanitaria assistenziale).
In Italia le Rsa sono 12.828 e ospitano quasi 288 mila persone ultra 65enni, cioè il 75,2% di tutti gli utenti (secondo gli ultimi dati disponibili: Istat 2015). Una popolazione che rischia di aumentare in modo esponenziale, visti i dati sull’invecchiamento: in Italia il 38 per cento della popolazione ha più di 65 anni. Nel 2050 gli ultra 65enni saranno 78 e i “centenari”, che oggi sono 17mila, saranno 150mila. E così conquisteremo il non invidiabile primato del terzo Paese al mondo per anziani.
La retta della Rsa può essere gratuita?
L’invecchiamento ha inevitabili ripercussioni sul mercato del lavoro, la spesa pubblica, i servizi sociali e quindi sull’andamento economico e l’evoluzione sociale, sanitaria e culturale del nostro Paese. Uno dei pilastri dell’assistenza agli anziani non autosufficienti è rappresentato proprio dalle RSA. Una recente sentenza (n. 617/2017) ha fatto discutere: il Tribunale di Monza ha stabilito che il ricoverato in Rsa che necessita di prestazioni sanitarie non deve pagare la retta, che dev’essere a carico del Servizio sanitario nazionale e non più dei parenti.
«La pubblicazione di questa sentenza è stata accolta con grande entusiasmo, quasi come se fosse stato riconosciuto il principio per cui il malato di Alzheimer ricoverato in Rsa che necessita anche di prestazioni sanitarie non debba più pagare le rette perché è chiamato a risponderne solo il Servizio Sanitario pubblico» spiega l’avvocato Nicola Lorenzi, esperto di tutele, membro del comitato scientifico dell’Associazione InCerchio di Milano e dell’Associazione Moov-it Onlus di Milano. «Va fatta però un po’ di chiarezza».
La vicenda
Il Tribunale di Monza ha revocato un decreto ingiuntivo con cui una Rsa aveva richiesto il pagamento delle “rette” non corrisposte dalla paziente ricoverata e affetta da Alzheimer e dai suoi parenti, stabilendo che l’onere di pagamento delle rette fosse invece a carico del Sistema Sanitario. In pratica, ha ritenuto che nulla sia dovuto per i malati di Alzheimer ricoverati quando necessitano, oltre che di prestazioni assistenziali quali il vitto e l’alloggio, anche di quelle sanitarie. «Il Tribunale in questo modo ha sancito che quando le prestazioni rese da una Rsa siano “prestazioni di carattere prevalentemente sanitario”, al pagamento della retta sia tenuto unicamente il Sistema Sanitario pubblico e non la persona degente o il parente che, eventualmente, al momento del ricovero, avesse sottoscritto il contratto con la RSA, obbligandosi al pagamento».
Come interpretare la sentenza
Va ricordato che in Italia, a differenza che in altri sistemi giuridici, una sentenza decide solo il caso specifico sottoposto nel corso del giudizio al giudice. «La sentenza non costituisce un precedente vincolante da applicare automaticamente in altri casi, anche se simili, e ciò, specialmente, nel caso di una sentenza di primo grado, come quella in esame. In sostanza, un altro giudice potrà utilizzarla a sostegno delle proprie conclusioni, ma sarà anche libero di discostarsene» spiega l’avvocato. «È quindi eccessivo dire che questa sentenza ha cambiato “lo stato delle cose”, riconoscendo un diritto in capo ai malati di Alzheimer a essere ricoverati gratuitamente in Rsa: un cambiamento generale e certo può avvenire solo a seguito della promulgazione di una legge».
Quando la degenza è gratuita?
Oltretutto il Tribunale ha stabilito che il pagamento delle rette sia a carico del Sistema Sanitario pubblico solo nel caso in cui, a fronte del ricovero in una Rsa, il malato riceva “prestazioni di carattere prevalentemente sanitario”. «Il fatto che, nel caso in esame, la persona fosse malata di Alzheimer è quindi certamente rilevante, ma non determinante per la decisione» commenta l’avvocato. «Nella sentenza, infatti, si pone l’attenzione su una serie di patologie di cui la persona soffriva: Alzheimer in fase ormai molto avanzata con incapacità di nutrirsi autonomamente, costante abitudine di mordere senza controllo oggetti e aggressività nei confronti degli altri ricoverati e del personale, ma anche una pregressa neoplasia per la quale necessitava di somministrazione di terapia ormonale, oltre a croniche piaghe da decubito che necessitavano di medicazioni quotidiane. È l’insieme di queste patologie, dunque, ciò che ha fatto ritenere al Tribunale che le prestazioni rese fossero “di carattere prevalentemente sanitario”, proprio perché il malato necessitava di continuo sostegno alla salute e frequente assistenza infermieristica e non solo di sorveglianza».
La sentenza va quindi interpretata in modo corretto. «Nel caso in cui, invece, in seguito al ricovero in Rsa, un malato riceva esclusivamente “prestazioni socio-assistenziali” – cioè solo attività di mera assistenza e sorveglianza – va escluso che possa essere anche solo in astratto riconosciuta la gratuità della degenza. Questa sentenza si pone in continuità con altre due sentenze della Corte di Cassazione (n. 22776/2016 e 4558/2012) emesse con motivazioni simili. Ma sarebbe sbagliato, nel solco di questa decisione, ricavarne automaticamente il principio per cui è ora possibile “non pagare più le rette” di degenza. Esistono, infatti, altre sentenze – non arrivate agli onori della cronaca – in senso contrario, facendo pesare a malati e familiari tali spese». Insomma, possono esistere molti casi simili ma non identici a questo deciso dal Tribunale di Monza e che, come tali, potrebbero essere interpretati e decisi diversamente dal singolo giudice.
I meriti della sentenza
La sentenza ha in ogni caso certamente dei meriti. «Innanzitutto ha posto l’attenzione su problematiche poco considerate, ma di fondamentale importanza per le persone malate e i loro familiari: il Tribunale ha sancito che quando vi è stretta correlazione tra le prestazioni assistenziali offerte da una Rsa e le prestazioni sanitarie, anche le prime devono essere a carico del Sistema Sanitario, non potendo essere fatti gravare i relativi costi sui malati e sui familiari, liberando così questi ultimi da spese mensili molto spesso difficilmente affrontabili» prosegue l’esperto. «Ha, in sostanza, sancito che quando un degente in Rsa necessita di assistenza costante a livello infermieristico e sanitario (non diversamente da quanto avverrebbe all’interno di un ospedale) sia il sistema pubblico a dover affrontare i costi».
Perché le cose possano cambiare veramente e per tutti è, però, necessario un intervento legislativo mirato. «Una legge che sancisca un effettivo diritto e precisi meglio i confini della gratuità del ricovero. Solo così, infatti, potranno essere chiari quali sono i casi in cui si può rientrare nella gratuità e quelli in cui, invece, non è possibile, senza dover lasciare alle singole persone ammalate o ai loro caregiver l’onere di intraprendere battaglie giudiziarie complicate, costose e psicologicamente difficili» conclude l’avvocato Lorenzi.