Era un pomeriggio d’estate. Faceva caldo, ma Fabia non ci pensava. Sua madre s’era ammalata di Alzheimer e lei aveva ben altro per la testa, anche se il medico le aveva detto di stare tranquilla: «La paura è il primo nemico da sconfiggere, serve solo a complicare le cose». E le aveva raccomandato di «non pensare solo al peggio». Le parole d’ordine erano due: cautela e ottimismo.
Le cose, in effetti, non andavano poi così male. La mamma di Fabia, 87 anni, stava fisicamente abbastanza bene e, tranne vuoti di memoria, smanie notturne e voli pindarici a ritroso nel tempo, problemi gravi da affrontare per il momento non ne poneva.
Un giorno però, improvvisamente, entrando in camera di sua madre, Fabia lesse nei suoi occhi qualcosa di strano. Erano come due vasche vuote.
«Mamma…» mormorò.
La risposta la gelò:
«Chi sei?», sibilò sua madre, con un accento ruvido e diffidente, quasi ostile, stringendo nervosamente le mani ai braccioli della poltrona dalla quale non si alzava quasi mai.
Aveva il viso scuro, la testa inclinata in una maniera innaturale. Sembrava davvero agitata, e soffiava minacciosa come un rettile preistorico
«Mamma», gemette Fabia, «ma sono io… Che succede?»
E quella parola, «mamma», mentre la pronuciava le risuonò dentro. La vibrazione attraversò tutta la sua vita, da quando era nata fino a quel momento.
«Chi sei!», ripeté sua madre, perentoria. Ora sembrava spaventata. Era tutta contratta e continuava a non riconoscerla. La guardava con quegli occhi vuoti, dalla fissità inquietante.
In quel preciso istante, mentre prendeva coscienza che per sua madre era diventata un’estranea, Fabia provò un senso di vertigine. Fu come se si fosse svegliata sul ciglio di un precipizio senza fondo.
Era smarrita, quanto e più di sua madre, in quel momento. Non riusciva a muoversi. Se mai aveva saputo chi era, adesso non lo sapeva più: tua madre che non ti riconosce è peggio che sentirsi morire, è come non essere mai venuti al mondo.
È scoprire all’improvviso scoprire che le tue radici sono piantate nel vento, che i tuoi ricordi più profondi e più veri sono dipinti sull’acqua.
Col tempo sua madre si chiuse sempre di più. E a un certo punto i suoi rapporti col mondo di fuori cessarono del tutto. Era un tronco da nutrire e pulire.
Una sera, mentre la metteva a letto, Fabia decise che era venuto il momento di salutarsi. Era pronta. E mentre la teneva abbracciata per aiutarla ad adagiare il capo sul cuscino, chiuse gli occhi. Respirando il profumo della pelle di sua madre, si rivide bambina, quando le correva incontro. Rivide la sua mamma spalancare le braccia per accoglierla, e si tuffò dentro di lei.
«Addio, mamma», le sussurrò. E gli occhi le si velarono di lacrime.
Lo scrittore Flavio Pagano ha cominciato a occuparsi di Alzheimer quando la malattia ha toccato la sua vita, colpendo la madre, esperienza da cui è nato il romanzo-verità Perdutamente (Giunti). Questa è la prima storia di una serie, “Mai soli”, che vuol raccontare e ascoltare l’universo parallelo che è l’Alzheimer. L’universo di coloro che ne sono colpiti e di chi li assiste, perché curare vuol dire prima di tutto prendersi cura dell’altro.
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