L’Amazzonia brucia da giorni e cresce la preoccupazione per le sorti della foresta pluviale in Brasile. Dopo gli appelli internazionali, il presidente brasiliano Bolsonaro ha inviato 44mila uomini dell’esercito per cercare di fronteggiare e arginare i roghi, che secondo esperti divorano l’equivalente di tre campi di calcio al giorno. Il presidente francese Macron, che ha ingaggiato uno scontro a distanza dai toni molto aspri, ha parlato di “crisi internazionale”, chiedendo che fosse discussa al G7 di Biarritz, in Francia, nei giorni scorsi, mentre l’ultimo in ordine di tempo a dare l’idea della portata dell’emergenza è stato l’astronauta italiano Luca Parmitano, che ha postato su Twitter dalla Stazione Spaziale Internazionale alcune foto, srivendo: “Il fumo, visibile per migliaia di chilometri, decine e decine di incendi dolosi nella foresta amazzonica”.
Oltre a danneggiare un bene dell’intero Pianeta, infatti, gli incendi preoccupano per l’emissione di anidride carbonica e polveri sottili in atmosfera, e per gli effetti sul riscaldamento della Terra.
Perché brucia la foresta amazzonica
Finora nel corso del 2019 sono stati 75mila i roghi che hanno interessato la foresta pluviale amazzonica, quasi il doppio rispetto a quelli registrati nello stesso periodo dello scorso anno. Solo nel mese di luglio, secondo l’Istituto nazionale per la ricerca spaziale (Inpe) si è registrato un picco, con 225mila ettari andati in fumo, pari al triplo rispetto allo stesso mese del 2018. La foresta pluviale è umida per gran parte dell’anno e non brucia spontaneamente. Per l’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione ambientale, la colpa sarebbe da attribuire al metodo “taglia e brucia” utilizzato dalle imprese agricole e zootecniche: gli allevatori e gli agricoltori tagliano in modo massiccio gli alberi nel periodo estivo e, dopo averli lasciati asciugare, li bruciano, per ricavare maggiori spazi da dedicare alle proprie attività, sfruttando in modo indiscriminato e illimitato il territorio a disposizione. Una volta ripresa la stagione delle piogge, quando torna la vegetazione più bassa, lo spazio deforestato si trasforma in enormi appezzamenti per il bestiame destinato a diventare carne da macello bovina.
L’allarme riguarda tutto il pianeta
La preoccupazione della comunità mondiale non riguarda solo la deforestazione, ma anche i cambiamenti climatici e il riscaldamento del Pianeta. Ad oggi la foresta amazzonica avrebbe subito un disboscamento pari al 15% della sua estensione, ma se dovesse raggiungere il 25% secondo gli esperti sarebbe a rischio l’equilibrio del ciclo dell’acqua. Senza gli alberi, che attraverso la traspirazione liberano un enorme volume di acqua ed emettono sostanze chimiche che lo fanno condensare, diminuiranno le piogge. La regione potrebbe trasformarsi da foresta in savana con enormi conseguenze per il resto del mondo. La foresta produce enormi quantità di ossigeno e trattiene miliardi di tonnellate di carbonio nella vegetazione, nella lettiera e nel suolo, che potrebbero ossidarsi e liberarsi in atmosfera, aumentando l’effetto serra.
Con gli incendi che da tempo si sono sviluppati, invece, vengono rilasciate in atmosfera enormi quantità proprio di CO2 (calcolate in 5,5 tonnellate), pari al 14% delle emissioni globali di gas serra, oltre ai fumi e alle polveri sottili. Per questo sono gravissimi anche gli incendi in Siberia. L’astronauta Luca Parmitano ha testimoniato che il fumo di decine e decine di incendi dolosi per migliaia di chilometri nella foresta amazzonica è visibile dallo spazio.
Tutto ciò contribuisce in modo massiccio al riscaldamento globale, già in corso. Finora gli esperti avevano esortato a contenere l’incremento della temperatura entro la soglia di 1,5°C, anche per evitare ulteriori conseguenze sia sui cambiamenti climatici che sul mantenimento delle biodiversità.
Effetti sull’uomo, la Terra e gli animali
L’Amazzonia rappresenta il luogo con la maggior biodiversità del pianeta Terra. Il cambio delle condizioni climatiche, con un innalzamento delle temperature, ha già provocato una serie di conseguenze per l’habitat naturale e per le piante stesse: gli attacchi degli insetti sono diventati più intensi, rendendo più vulnerabili le specie animali. Secondo un report degli esperti di biodiversità dell’Onu, pubblicato in primavera, 1/8 degli 8 milioni di specie presenti al mondo è destinato a scomparire a causa dell’urbanizzazione, dei metodi di sfruttamento delle risorse naturali come terre, acque, miniere e animali (per via della caccia intensiva). Finora sono già stati “alterati gravemente 3/4 delle superfici terrestri, il 40% degli ecosistemi marini e metà di quelli di acqua dolce”. Un milione di specie, secondo il documento ONU, è a rischio, con conseguenze anche per l’uomo “anche perché la maggior parte di tali materie prime non è sostituibile” ed è fondamentale, ad esempio, per la produzione di energia elettrica (legno, da cui dipendono oltre 2 miliardi di persone) o farmaci (prodotti con risorse naturali che possono scarseggiare per via della ridotta impollinazione che dipende al 75% da insetti a rischio estinzione).
Gli appelli internazionali
Il caso dell’Amazzonia è finito nell’agenda del G7 dove si è proposto l’immediato stanziamento di 20 milioni di euro per fronteggiare l’emergenza incendi. Oltre all’invio dell’esercito, il presidente Brasiliano Bolsonaro ha accettato l’aiuto offerto da Israele, mentre la Bolivia ha sospeso la campagna elettorale ed è pronto a intervenire con il sostegno della comunità internazionale. In campo anche la Colombia, che tenterà di siglare un accordo con gli altri stati sui quali si estende la foresta amazzonica, per la sua conservazione. L’attivista svedese Greta Thumberg, che è in viaggio in barca a vela verso New York per partecipare al vertice Onu del 23 settembre sul clima, ha lanciato un appello affinché “l’uomo interrompa la sua guerra contro la natura”.