E alla fine restarono solo i cinghiali. Sembra una storia da raccontare ai bambini e invece è quello che è successo alle nostre città. Avevamo avuto l’illusione di poter condividere lo spazio urbano con gli animali selvatici, di poter ammirare i cavallucci marini nella laguna di Venezia, di respirare un’aria più pulita grazie allo stop delle fabbriche e delle auto, di vivere in città più silenziose.
Come in una strana intersezione temporale, però, la fine della favola coincide non solo con dati poco incoraggianti (la dimunuzione di CO2 nell’aria durante il lockdown non è stata così impattante), ma arriva in occasione di 2 appuntamenti importanti: le Giornate mondiali 2020 dell’Ambiente e dell’Oceano (5 e 8 giugno), che ci invitano a una riflessione sul nostro futuro e su quanto dobbiamo, vogliamo e possiamo ancora fare per aspirare a un mondo più green.
Se l’aria è più pulita il virus si diffonde meno
«La riduzione del gas serra nel lockdown non ha prodotto benefici sul clima perché la diminuzione di CO2 deve essere costante. È come se volessimo fermare di colpo un camion ad alta velocità» spiega Gabriele Zanini, responsabile della Divisione per la riduzione impatti antropici e rischi naturali di Enea (l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile).
«È stata una goccia nel deserto, come lo sono le domeniche senz’auto» aggiunge Gianluigi De Gennaro, docente di Chimica dell’ambiente all’università di Bari e componente di Rescop, la Task Force internazionale di ricercatori impegnata a verificare la presenza del coronavirus sul particolato atmosferico delle città più colpite dall’epidemia. «Uno studio dell’università di Harvard mostra che un microgrammo per metro cubo di polveri sottili aumenta il rischio di morte per Covid-19, perché gli inquinanti si trasformano in vettori per il virus e contribusicono a diffonderlo e a renderlo più potente».
Nella stagione estiva il caldo aiuterà, ma senza una sterzata nelle politiche pubbliche il conto si ripresenterà in autunno. Anche perché il miglioramento della qualità dell’aria potrebbe evitare 6.000 nuovi casi di asma nei bambini e 1.900 visite al pronto soccorso per attacchi di asma, sostiene il Center for research on energy and clean air (Crea). Secondo le stime del 2019 dell’Agenzia europea dell’ambiente, l’Italia è il primo Paese Ue per morti premature da biossido di azoto, con 14.600 vittime ogni anno. C’è una ragione: è nel gruppo di quelli che sforano sistematicamente i limiti di legge per i principali inquinanti atmosferici. «Oltre all’asma, il problema vero è l’incidenza sulle patologie acute, dalle aritmie agli infarti. Gli inquinanti atmosferici colpiscono tutte le fasce di età e aumentano le vulnerabilità individuali sul versante oncologico, cardiovascolare e neurologico riducendo la nostra possibilità di resilienza» sottolinea Agostino Di Ciaula, presidente del Comitato Scientifico dell’Associazione Medici per l’Ambiente-Isde Italia.
Con meno attività umane, la natura si riprende spazio
Anche se il lockdown è durato poco, abbiamo comunque dimostrato che cambiare il nostro modo di lavorare (smart), di muoverci (sostenibile), di produrre (meno) e consumare (più eco), è possibile. Le battaglie ambientaliste pre-Covid promosse dal movimento di Greta Thunberg avevano già smosso le coscienze del mondo: l’emergenza ci ha fatto attivare in tempi record e le esperienze positive non vanno disperse.
Per esempio, organizzando meglio le nostre attività lavorative possiamo impattare positivamente sull’ambiente. Secondo uno studio della società di consulenza Development Economics, a livello mondiale lo smart working è in grado di ridurre i livelli di anidride carbonica di 214 milioni di tonnellate l’anno entro il 2030: è la stessa quantità di CO2 che verrebbe sottratta dall’atmosfera da 5,5 miliardi di alberi. Secondo l’Enea, inoltre, lavorare da casa riduce la mobilità quotidiana di un’ora e mezza a persona, per un totale di 4 milioni di euro in meno di acquisto di carburante.
«La rinascita dell’ambiente deve cancellare gli errori del passato e affidarsi ai cittadini ecoresponsabili» dice l’ecologista tarantina Lina Ambrogi Melle. «Al Sud, per esempio, potremmo vivere nelle “case passive” grazie al sole che domina molti mesi l’anno, dovremmo vedere pannelli solari sui tetti di tutti e in tutte le campagne».
Dal 1° luglio sarà possibile richiedere l’ecobonus al 110% per gli infissi e beneficiare delle agevolazioni per caldaie di nuova generazione, pannelli fotovoltaici e colonnine di ricarica per autovetture elettriche. Bonus che si somma al contributo del 60% per l’acquisto di biciclette. «Dalla sharing economy alle tecnologie green, alle auto elettriche: ogni scelta del singolo aiuta a ridurre la pressione dell’uomo sulla natura» aggiunge Gabriele Zanini di Enea. «Se costruiamo ferrovie invece di autostrade, se non consumiamo i luoghi con il turismo apocalittico mordi-e-fuggi, se preserviamo dall’assalto dei crocieristi territori come Manarola nelle Cinque Terre, se impariamo a ridurre la pressione antropica, allora il virus ci avrà insegnato quello che già da 25 anni avremmo dovuto fare».
A livello europeo, le ambizioni sono già altissime: tra gli obiettivi del Green Deal, che si propone di eliminare i gas serra entro il 2050, ci sono il ripristino degli ecosistemi degradati in tutta l’Ue, la riduzione del 50% dei pesticidi chimici più pericolosi, la gestione di almeno il 25% dei terreni agricoli in agricoltura biologica. Oltre a piantare 3 milioni di alberi in tutti gli Stati dell’Unione.
Senza scarichi il mare torna spettacolare
Anche le nostre acque hanno beneficiato dello stop forzato: il risultato sullo stato dei mari al tempo del Covid-19 è documentato dalle 100 ore di immersioni e 300 di registrazioni sonore condotte da Cnr e Fondazione Triton, che stanno ora avviando il monitoraggio della Fase 2. Aragoste, corvine, cernie e saraghi hanno fatto ascoltare la loro “voce” grazie alle immersioni con gli idrofoni posizionati a Secca della Formica (Palermo), San Giovanni a Teduccio (Napoli), Banco di Santa Croce (Castellammare di Stabia) e Punta Carena (Capri). Il risultato? «Ci sono più pesci, nelle aree protette c’è un ritorno di vita spettacolare ma la situazione non è positiva altrove» avvisa Ferdinando Boero, professore di Zoologia dell’università Federico II di Napoli. È un piccolo risultato, ma fa ben sperare.