«Nessuna società ha celebrato l’amore tra 2 persone come quella contemporanea. Eppure la solitudine è un’epidemia: la vita di coppia non è mai stata tanto desiderata e al tempo stesso tanto difficile da raggiungere». La sociologa israeliana Eva Illouz si occupa da tempo del modo in cui le relazioni si sono trasformate nell’ultimo secolo. Nei suoi saggi precedenti ha esaminato il modo in cui il capitalismo abbia reso “obbligatorio” il consumo ogni volta che iniziamo una storia: basta pensare a quanto siamo abituati ad associare una frequentazione a una cena fuori, a un cinema, insomma a una spesa.

Adesso, in “La fine dell’amore” (Codice edizioni, in libreria dal 17 giugno), va oltre. E sostiene che l’amore stesso ormai funzioni come un mercato, ma con leggi diverse a seconda del genere. Questa disparità di condizioni tra le 2 parti di un “contratto sentimentale”, rivelata dalle numerose interviste che ha condotto per vari anni con donne e uomini, porterebbe a relazioni poco chiare. Risultato: spesso l’amore finisce già all’inizio di una storia.

In che modo la libertà di avere incontri sessuali occasionali, che è stata parte dell’emancipazione femminile, ha finito per complicare le relazioni?

Una delle donne che ha intervistato nel suo libro rivela che la mattina dopo aver dormito con un uomo non sa se abbia iniziato una relazione o se la stessa sia già finita. «La liberazione sessuale ha creato una divisione tra i rapporti occasionali da un lato e le emozioni dall’altro. L’incontro è diventato una sorta di libero mercato in cui i singoli si accordano per scambiarsi piacere sessuale, senza coinvolgimento emotivo né morale. Il problema è che a questo inizio “paritario” seguono effetti diversi. Gli uomini sono più distaccati emotivamente rispetto all’atto sessuale: perciò più spesso mettono fine a una relazione dopo una notte e hanno maggior potere nel decidere se dare seguito alla storia. Non solo: dal punto di vista sociale sono sessisti i criteri in base ai quali una persona è definita attraente, dal momento che sono uomini i capi dell’industria del cinema, della pubblicità, della moda. Questo mette le donne in una posizione di debolezza».

Da sociologa, lei precisa che non è questione di fragilità psicologica: è il modo in cui la nostra società struttura le relazioni sentimentali a determinare un rischio elevato di delusione e la conseguente reazione. Ma non potremmo ribellarci, per esempio, rifiutando il sesso casuale?

«Suona retrogrado, lo so, ma la modernità non ha aiutato le donne. È sacrosanto sentirsi libere di fare l’uso che si vuole del proprio corpo. Tuttavia, sappiamo anche che esiste una “pressione sociale” a mostrarsi disponibili: molte dicono sì quando in realtà non ne sono del tutto convinte, lasciando che siano i maschi a decidere quale comportamento sia sexy. Io credo che dovremmo slegare la percezione del nostro valore dal giudizio che gli uomini danno di noi. Se non abbiamo un compagno non è perché non siamo attraenti o non ci stiamo, ma perché il sistema in cui nascono le relazioni è squilibrato e imperniato su criteri che ci penalizzano a favore degli uomimi, che spesso scelgono privilegiando la novità rispetto alla creazione di un legame. Ma, va detto, soffrono anche i maschi, come dimostra il caso degli incel, i celibi involontari, che non trovano nessuna partner. La sfida è capire cosa possiamo decidere da soli, quali relazioni possiamo creare in un contesto che in teoria vede nella coppia il modo di realizzarsi, ma in pratica ha reso le relazioni una minaccia alla propria autostima. Obbligandoci a scegliere: o noi o loro».

Dopo un incontro sessuale, allora, che potere hanno le donne?

«Per noi il corpo è tuttora oggetto di una continua valutazione da parte degli uomini. Dunque la sessualità, che si basa sul corpo, viene vissuta in un modo ambivalente: da un lato è espressione del coinvolgimento emotivo che la donna prova, dall’altro qualcosa per cui potenzialmente viene giudicata e usata. Per le donne la possibilità di avere una relazione dipende dall’aspetto, dall’età, dall’attrattività sessuale molto più che per gli uomini. Questo ci porta a sviluppare una costante incertezza su quanto valiamo. Sa cosa raccontano le ragazze intervistate nel mio libro?».

Mi dica.

«Che spesso per loro è difficile perfino capire se e quanto piacciono al partner del momento. Magari sono uscite con qualcuno per mesi e poi lui sparisce di colpo. Negli Stati Uniti esiste un termine per definire le relazioni prive di qualunque implicazione: situationship. Ma come si può sentirsi a proprio agio “nel vuoto” senza essere certe che l’altro ci apprezzi e, anzi, temendo che all’improvviso possa chiudere il rapporto?».

In che modo la Rete e i social network hanno influito sulle relazioni amorose?

«Con la sua offerta enorme il web ha aumentato a dismisura la difficoltà di riconoscere la cornice in cui ci si sta muovendo e, quindi, di prevedere come proseguiranno le cose. Chi ti contatta online vuole una storia di una notte o una relazione stabile? Questa incapacità di decifrare le intenzioni altrui aumenta il rischio che le aspettative di due persone non coincidano. Inoltre, oggi si cerca di non mostrarsi “appiccicosi”, di non proiettare il bisogno che si ha dell’altro come requisito chiave delle relazioni, specie all’inizio. Ma questo impedisce a chi lo desidera di chiedere un impegno. Magari lo vuoi, però non osi dirlo. E il silenzio alimenta altri equivoci. E poi, anche quando una relazione sembra avviata, dato che non c’è sanzione morale per chi lascia senza preavviso o sparisce, aumenta il rischio che i membri di una coppia interpretino in modo diverso il legame o che uno dei due di colpo cambi idea».

Con quali conseguenze?

«Nonostante la disinvoltura con cui si può aver iniziato una relazione, essere respinti o scaricati fa male e può minare la propria dignità e il senso del proprio valore. Per questo, come in finanza una serie di perdite genera prudenza, in un’ottica di investimento emotivo dopo una serie di storie finite male adottiamo contromisure strategiche per evitare il rischio. Il che vuol dire che sempre più tendiamo a uscire da una relazione al primo malessere, cioè molto prima di capire in che direzione si sta andando, per tutelare la nostra integrità emotiva. Decidere di andarsene fa sentire soggetti attivi, decisori, capaci di “trovare di meglio”, anziché vittime. In più, evita di esprimere la propria insoddisfazione e vulnerabilità all’altro, cosa che è una potenziale minaccia alla propria autonomia e autostima».

Il lockdown ha impedito però che gli incontri online portassero subito a un rapporto sessuale. Non è un vantaggio?

«Sì, il distanziamento sociale lascia meno margine di manovra ai flirt casuali e alle avventure di una notte, mettendo la fiducia al centro delle relazioni, se non altro perché devi fidarti di come uno sconosciuto affronta i rischi del contagio. Insomma, ha ridotto lo spazio per le relazioni indefinite, provvisorie, sfocate. Dopo questa esperienza forse le persone vorranno qualcuno con cui, eventualmente, confinarsi alla prossima ondata. Non qualcuno con cui divertirsi per una sera».

In libreria

Nel saggio “La fine dell’amore – Sociologia delle relazioni negative“, in uscita per Codice edizioni il 17 giugno, la sociologa israeliana Eva Illuoz ha indagato il motivo per cui oggi le storie d’amore sono all’insegna della precarietà.