Ultimamente il R.I.P. è uno dei messaggi più utilizzati sui social, anche se è destinato a qualcuno che non potrà mai leggerlo perché non c’è più. Dietro questa sigla, (Riposa in pace), si cela infatti un fenomeno già radicato Oltreoceano e che ora sta contagiando l’Italia: l’online mourning, ossia la condivisione del lutto sul web. «Ormai è caduto l’ultimo tabù digitale: dopo il sesso, l’amore, la malattia, anche la morte è entrata nella quotidianità della rete. Ce lo hanno dimostrato le commemorazioni planetarie per la scomparsa di David Bowie e George Michael» commenta Giovanni Ziccardi, docente di informatica giuridica all’Università di Milano, autore di Il libro digitale dei morti, primo saggio italiano sul tema.
La tecnologia ha abbattuto il tabù della morte
«Fino a pochi anni fa sembrava impossibile, perché la società moderna aveva rimosso il tema morte, tenendolo fuori dai discorsi così come i cimiteri stanno fuori dalle città. Ma il potere invasivo della tecnologia supera ogni barriera. Dopo aver condizionato il modo in cui comunichiamo, viaggiamo, facciamo acquisti, ora sta cambiando i rituali con cui piangiamo i defunti. Oltreoceano tra gli adolescenti sta prendendo piede una moda choc, quella dei selfie funebri, scattati magari nella camera ardente. Ma senza arrivare a tanto, le celeb condividono con i fan non più solo selfie sorridenti ma anche lacrime (vedi Elisabetta Canalis che ha annunciato in diretta la scomparsa del padre). Ormai è sempre più diffuso comunicare con un post la scomparsa di un parente, amico o perfino un pet».
Il libro da leggere: Il libro digitale dei morti, di Giovanni Ziccardi (Utet)
È un modo per attenuare la perdita
«Senza dubbio, quando si è storditi dal dolore, è più facile scrivere un post che non telefonare e parlarne a voce» sostiene Sheri Jacobson, psicoterapeuta inglese, fondatrice della Harley therapy school per terapisti (harleytherapy.com). «Molti studi confermano che l’online mourning ha benefici sulla mente: aiuta le persone a dare un senso alla morte e a mantenere un legame con il defunto. Dal punto di vista psicologico, esprimere il dolore è un passo essenziale per poterlo elaborare e superare. Spesso però non vogliamo farlo con chi abbiamo intorno giudicati, incompresi o per non scaricare su chi amiamo la nostra sofferenza. Online, invece, ci si può sfogare senza timori. Anche perché scatta l’effetto disinibitorio della tecnologia: protetti dallo schermo, spesso riusciamo a parlare più sinceramente». Scrivere post in memoria, o alifarlo con chi abbiamo intorno, per paura di essere mentare il memorial di un defunto, crea un filo, un legame virtuale che attenua il senso di distacco. «Anche se fisicamente la persona non c’è più, online possiamo sentirla vicina» aggiunge Ziccardi.
Avvicina a chi sta vivendo la stessa sofferenza
«L’interattività dei social crea aggregazione, intorno al memorial si forma una comunità che condivide lo stesso dolore. Questo scambio è prezioso soprattutto oggi, visto che si sono quasi persi i rituali per elaborare il lutto nella società; un tempo c’erano le veglie e i rosari, adesso ci sono le commemorazioni online» sostiene Ziccardi che racconta: «Molte agenzie funebri estere oggi offrono la possibilità di trasmettere il funerale in streaming sulla rete. A prima vista possono sembrare fenomeni naïf e superficiali, ma fotografano la società attuale: per milioni di migranti, per esempio, la diretta sul web è l’unico mezzo con cui dare l’addio a un parente lontano». «Navigando online poi si possono trovare community nate per superare il lutto, che permettono di entrare in contatto con chi ha la stessa età e ha vissuto la stessa esperienza. Mettere il dolore in rete aiuta a combattere il senso di solitudine che è uno dei fardelli più pesanti per chi affronta una perdita: ogni post con un R.I.P. riceve in media decine di commenti, che donano conforto, così come le interazioni su un memorial ci fanno capire di non essere gli unici a soffrire» spiega la psicologa.
Espone ai giudizi degli altri
C’è però anche un lato oscuro di queste abitudini digitali. «In certe occasioni, come nelle commemorazioni di massa delle star, si assiste alla spettacolarizzazione del dolore» spiega Jacobson. «Proprio perché lo schermo rende più disinibiti, c’è chi ne approfitta per sfogare giudizi sul defunto che non oserebbe dire di persona. Senza contare i “trolls”, cioè quegli utenti che lanciano insulti e critiche per attirare l’attenzione della rete. Pubblicando il nostro lutto online insomma ci esponiamo ad attacchi che possono colpire la nostra sensibilità e compromettere l’immagine di chi vogliamo ricordare. Se qualche commento ferisce, bisogna avere la forza e la lucidità di abbandonare quella pagina o bloccare certi contatti. E non sempre si è in grado di farli. Ma non solo: c’è anche il rischio che i nostri post siano derisi o, peggio, cadano nel silenzio, non suscitino cioè le risposte e i like che speravamo. Questo può causare un senso di frustrazione dannoso».
Non deve trasformarsi in una gabbia
È mportante anche non esagerare. Il filo virtuale che si crea col defunto o con la community può imprigionare nel lutto, impedendo di guardare avanti. Come per tutte le cose che danno un temporaneo sollievo, si rischia di diventarne dipendenti, soprattutto quando si è più deboli. Se nei momenti difficili, non solo in caso di lutto, ci si abitua a cercare conforto in chat e social, si finisce per trascurare amici, marito o figli. Ed è un errore, perché il rapporto online non può mai eguagliare un incontro vero: centinaia di like o emoticon non daranno mai il calore di un abbraccio!