Sabato, nel corso dell’udienza giubilare in piazza San Pietro, Papa Francesco ha detto che non bisogna confondere la compassione nei confronti degli animali con la pietà per gli uomini e le donne. In altre parole, ha lanciato un monito:

«C’è chi ama cani e gatti ma non aiuta i propri vicini».

Parole che mi trovano d’accordo: sempre più spesso noto tanta indifferenza (se non ostilità) nei confronti di chi vive vite disagiate, a partire dai migranti. Ma il riferimento agli animali, detto così, può forse un po’ confondere le idee. E infatti, è stata subito polemica.

Una polemica che non si spegne anche dopo giorni. E che sintetizzo con il commento di Franco Libero Manco, presidente dell’Ava, Associazione vegetariana animalista:

«Quando e dove il Papa ha visto un amante degli animali negare il proprio aiuto agli umani?».

Tradotto: ci possono essere amore e attenzione e solidarietà per tutti, cani, gatti e vicini di casa, senza competizione.

Lo ammetto. Io amo davvero gli animali. Ho diviso un pezzo di vita con Romeo, un gattone campagnolo che faceva strage di cuori tra le gattine e ha popolato il quartiere di piccoli identici a lui.

Da 15 anni è con me Pisola, una micina che qualche sciagurato aveva gettato, chiusa in un sacchetto, nel cortile di un canile. Solo l’intervento provvidenziale di una volontaria le aveva evitato una fine orribile. Con lei ho un rapporto speciale, e così mio marito che, per curarla ora che è anziana e molto malata, ha seguito un corso per imparare a fare le flebo. Considero, anzi consideriamo tutti e due, Pisola un’amica, al pari di tanti amici “umani”. Ma questo non significa che siamo disattenti o indifferenti a chi ci sta attorno.

Mettere in discussione le parole di Francesco mi sembra un’impresa complicata. Papa Bergoglio è lo stesso che, due anni fa, disse che «Un giorno rivedremo i nostri animali nell’eternità di Cristo», lasciando intendere che anche per loro ci sarà il Paradiso.

Sono convinta che il suo intervento di sabato non fosse contro i cani e gatti ma contro quelle persone che ostentano amore per gli animali e disprezzo e indifferenza per gli esseri umani.

Credo che il senso di tutto questo sia bene espresso nelle parole della responsabile di una clinica veterinaria (la Duemari di Oristano) molto nota per i suoi interventi a favore degli animali abbandonati e in grave difficoltà. Monica Pais e i suoi colleghi si occupano di quelli che definiscono “rottami”, animali maltrattati, affamati, abbandonati. Senza, però, per questo dimenticare ciò che accade nel mondo. Anzi.

Scrive Monica Pais sulla sua pagina Facebook: «Alla fine, quando la nostra clinica fu ultimata, cominciarono a venirci dei sensi di colpa.

Tutto quell’impegno e quella fatica sarebbero stati forse meglio spesi verso altri scopi più vicini alla nostra specie…

Ma successe questo. Il primo gatto randagio soccorso dalla nostra neonata struttura fu un gatto nero. Un gattone nero, investito in pieno centro, davanti all’antica chiesa di San Francesco… Si riprese, lo chiamammo Frank e decidemmo di adottarlo…

Invece dopo qualche settimana venne fuori il suo proprietario, che era un frate francescano del vicino monastero, che si precipitò da noi per recuperare il suo adorato amico felino. In tutti i modi ci chiese di pagare le sue spese e noi declinammo perché Frank era entrato da rottame ed era stato il primo.

Il frate si impuntò e disse: “Allora benedirò la nuova clinica” e non ci fu verso di fargli cambiare idea. Il giorno dopo si presentò con tutto l’armamentario di rito, paramenti, acqua benedetta e benedì tutte le stanze.

Quando io, a capo chino, manifestai la mia inquietudine sul fatto che fosse una struttura per animali, lui semplicemente disse:

“Il Signore prende il Bene da qualunque fonte nasca, gli animali sono creature di Dio e chi ama gli animali non fa distinzione tra essi”

e con un grande sorriso, svolazzando nella sua tonaca, benedì la mia sala operatoria, mi lasciò una immaginetta benedetta che ancora sta dietro i pannelli in sala e se ne andò, lasciandomi assolta, felice e contenta nel perseguimento del mio sogno». 

Ecco, il senso sta qui. E non è necessario aggiungere una parola di più.