Annamaria Franzoni ha chiuso il suo conto con la giustizia, ha finito di espiare la pena ed è a tutti gli effetti una donna libera. Il Tribunale di Sorveglianza le ha comunicato la fine del regime di arresti domiciliari in cui si trovava dal 2014, dopo aver trascorso i 6 anni precedenti in carcere. Ora la madre di Cogne, in Valle d’Aosta, può tornare a vivere una vita “normale”, dedicandosi al marito Stefano Lorenzi, che l’ha sempre difesa, al figlio più grande, Davide (oggi 24enne), e al piccolo Gioele, nato a gennaio del 2003, un anno esatto dopo la morte di Samuele.
Le tappe della vicenda: il delitto
Era la mattina del 30 gennaio del 2002 quando Samuele Lorenzi, 3 anni, venne scoperto in un lago di sangue nel lettone dei genitori, Annamaria e Stefano, nella villetta di Montroz, una frazione di Cogne, in Valle d’Aosta. A trovarlo in fin di vita la madre, che si era allontanata per una manciata di minuti per accompagnare il figlio primogenito Davide allo scuolabus. Al suo ritorno la donna disse di aver trovato il piccolo Samuele ferito, “che vomitava sangue”. La prima a intervenire fu la dottoressa di famiglia, Ada Satragni, chiamata dalla Franzoni prima ancora del 118, e che in un primo momento parlò di un possibile “aneurisma cerebrale”.
Il bambino venne lavato dalla dottoressa e portato all’esterno dell’abitazione, alterando la scena del crimine. Samuele morì alle 9.55 di quella mattina durante il trasporto in elisoccorso in ospedale, a causa di ferite alla testa e al corpo – almeno 17 secondo l’esame autoptico – che gli provocarono anche una parziale uscita di materia cerebrale.
La Franzoni indagata
La vicenda è stata caratterizzata da numerose incongruenze nella ricostruzione della madre di Samuele, dal mancato ritrovamento dell’arma del delitto (si è ipotizzato un mestolo di rame, così come una picozza), dall’inquinamento delle prove nella villetta di Cogne e da accuse della famiglia Franzoni ai vicini di casa (Ulisse Guichardaz e Daniela Ferrod), scagionati dalle analisi dei Ris e dagli alibi. Nell’abitazione non furono mai trovate impronte digitali di estranei e questo fece cadere anche l’ipotesi di un’irruzione in casa da parte di sconosciuti o malintenzionati. Alcune intercettazioni telefoniche, invece, pesarono sulla posizione della madre di Samuele, che ad esempio a un’amica disse “Non so cosa mi è succ…”, correggendosi subito con un “Non so cosa gli è successo”.
A carico della Franzoni, poi, ci furono alcune ferite alle mani non giustificate, tanto che la donna fu indagata il 14 marzo del 2002 con l’accusa di omicidio volontario aggravato dal vincolo di parentela.
I processi
Scarcerata per carenza di indizi dopo appena 16 giorni di detenzione al carcere delle Vallette di Torino, la Franzoni venne condannata in primo grado a 30 anni di reclusione (ridotti rispetto all’ergastolo per via della scelta di avvalersi del rito abbreviato). La condanna fu confermata in appello nel 2007, anche se ridotta a 16 anni grazie alle attenuanti generiche. In attesa del verdetto della Cassazione, che nel 2008 ha confermato la colpevolezza e i 16 anni di pena, la Franzoni è rimasta in libertà, cambiando nel frattempo il collegio di difensori: agli avvocati Carlo Federico Grosso e Carlo Taormina subentrò Paola Savio.
Con la condanna in via definitiva, però, per la madre di Samuele si sono aperte le porte del carcere della Dozza (Bologna) per 6 anni. La famiglia, intanto, che ha sempre fatto muro nei confronti di Annamaria, difendendola, si è trasferita a Ripoli Santa Cristina, proprio in provincia di Bologna, paese natale dei genitori di Annamaria Franzoni, lasciando definitivamente la Valle d’Aosta, di cui è originario invece il marito, Stefano Lorenzi.
Nel 2014 la Franzoni ottiene i domiciliari (con 4 ore di libera uscita al giorno per occuparsi delle spese e dei figli), ma quando, due anni dopo, chiede l’affido ai servizi sociali, il Tribunale di Sorveglianza nega l’attenuazione della pena. Il 7 febbraio del 2019 lo stesso Tribunale comunica alla donna la fine dell’espiazione della pena, dopo 11 anni e grazie a tre di indulto e ai giorni concessi per buona condotta, che hanno ridotto il periodo di detenzione domiciliare.
Le ulteriori condanne
La Franzoni ha ricevuto altre condanne, oltre a quella per l’omicidio del figlio Samuele. Nel 2011 è stata ritenuta colpevole di calunnia per aver accusato il vicino di casa, Ulisse Guichardaz, della morte del figlio (1 anno e 4 mesi, reato poi prescritto nel 2014). Nel 2017 la donna è stata condannata anche per il mancato pagamento del compenso al suo primo avvocato, Carlo Taormina, al quale doveva circa 275 mila euro.
La partenza per l’estero?
In un’intervista del 2017 a Libero, Annamaria Franzoni disse: «Appena sarò libera me ne andrò a vivere lontano, all’estero. Sarà la prima cosa che farò, qui non ci voglio più stare. E non voglio parlare con nessuno. Non per essere scortese, ma è dal 2006 che resto in silenzio, che non rilascio interviste: voglio essere dimenticata». Sarà così, ora?