Il pianto inconsolabile davanti allo specchio per quel corpo sempre sbagliato. La rabbia per i vestiti che “tirano”. L’insicurezza che imprigiona le giornate e a volte non ti lascia respirare. Quando prova a cercare i semi del presente fatto di anoressia e bulimia, Sara non ha dubbi e li ritrova nella lei bambina. Ora ha 17 anni e oggi è un giorno importante: dopo 5 mesi al Centro disturbi del comportamento alimentare di Todi, andrà al Nido delle Rondini, una struttura semiresidenziale nella stessa città dove proverà a fare tanti piccoli passi avanti.
La storia di Sara tra anoressia e bulimia
Sara sta sistemando la valigia con le sue cose e riportare a galla i ricordi è anche un modo per chiudere con il passato e pensare al futuro. «Nell’agosto del 2018 i miei si stavano separando e io ho iniziato a buttarmi sul cibo per colmare l’angoscia e il senso di colpa. Ma, se mi guardo indietro, capisco che ho sempre avuto un rapporto conflittuale con il mio aspetto e con l’alimentazione». Nei mesi successivi a quell’estate del 2018, le abbuffate e la bulimia lasciano il posto a una dieta fatta di restrizioni, di piatti quasi vuoti e di «compensazioni». Sara usa proprio questo termine tecnico perché prendere coscienza di un disagio significa chiamare le cose con il loro nome. «Appena mangiavo un po’ di più correvo a vomitare per annullare le calorie ingerite. Un giorno l’ho fatto così tante volte da sentirmi male, e mamma e papà mi hanno convinta ad andare all’ambulatorio specialistico di Todi. Facevo un colloquio alla settimana con lo psicologo e il nutrizionista, ma non ero motivata, non volevo guarire. Anzi, sentivo che il disturbo alimentare era “giusto” perché era il mio modo per comunicare, per far capire agli altri che stavo male».
I disturbi alimentari sono patologie psichiatriche
Sara soppesa le parole. Non le usa a caso: ora sa che il suo dolore nasce proprio dalla mente. «Si tratta di patologie psichiatriche e come tali vanno curate» spiega Stefania Sinesi, psicoterapeuta e presidente della onlus Never Give Up (never-give-up.it). «Per anni abbiamo pensato che fossero colpa del modello estetico della magrezza a tutti i costi o abbiamo puntato il dito contro il rapporto conflittuale con la madre, ma questo malessere è molto più profondo. Gli adolescenti sono fragili, sotto assedio. Gli episodi di bullismo aumentano, così come le diagnosi di ansia tra gli under 18. E in questi due anni di pandemia ci siamo quasi dimenticati di loro, inconsciamente: abbiamo pensato che fossero al sicuro in casa, non abbiamo dato troppe spiegazioni di quello che stava accadendo, abbiamo tolto scuola, sport e amicizia. Abbiamo cancellato certezze ed equilibri. Tutto questo è stato un detonatore, facendo esplodere i giovani più fragili e facendo aumentare le diagnosi di disturbi del comportamento alimentare, che infatti sono quadruplicate».
L’anoressia compare anche a 10 anni
Anche per Sara, forse, è così. Questo malessere che “mangia” anima e corpo peggiora, arrivano anche gli episodi di autolesionismo e andare a scuola diventa una fatica immane. Per mesi si trascina tra un solo ricovero in ospedale, nel reparto di Neuropsichiatria, e le tante sedute in ambulatorio. I numerini sulla bilancia scendono. Tutto scende, come in un viaggio all’inferno. Fino allo scorso novembre, quando entra al Centro disturbi del comportamento alimentare di Todi e incontra la dottoressa Laura Dalla Ragione. «Qui, purtroppo, di ragazzine come Sara ne vediamo tante, abbiamo bambine che hanno appena compiuto 10 anni. I pediatri non sono preparati, difficilmente pensano all’anoressia a questa età, ma è così. E l’esordio precoce della malattia porta danni maggiori su un corpo che sta crescendo» spiega la dottoressa, medico psichiatra, direttore della Rete Dca Usl 1 dell’Umbria. «Assistiamo a una pandemia nella pandemia: questi ultimi due anni, con l’isolamento dei giovani e la poca accessibilità delle strutture sanitarie, hanno peggiorato una situazione già preoccupante».
Disturbi alimentari: 108 i centri in Italia
Ora più che mai diventano fondamentali diagnosi tempestive e percorsi di cura efficaci. «Per le prime dobbiamo, appunto, coinvolgere i pediatri. I secondi sono troppo frastagliati: dovrebbero essere organizzati su 4 livelli, dall’ambulatorio al day hospital, dalla struttura residenziale all’ospedale. In Italia sono stati censiti 108 centri, ma solo poche Regioni hanno tutte le tipologie di strutture. Questo significa che pazienti e familiari devono emigrare oppure seguono percorsi sbagliati. Fino a 14 anni, per esempio, i ragazzi vengono ricoverati nei reparti di Neuropsichiatria pediatrica, che non sono il massimo per loro. Dopo sono ospitati in reparti diversi, quelli in cui c’è posto, ma può essere deleterio sia come terapie sia come ambiente. Per questi giovanissimi serve un approccio multidisciplinare, con più figure all’opera, dallo psicoterapeuta al terapista che segue la famiglia. Non basta intervenire sul peso, altrimenti il disagio rimane».
La body positivity non è per forza legata ai disturbi alimentari
È questo il punto: bisogna cambiare mentalità e approccio. «Gli esperti parlano di “disturbi multifattoriali”: significa che non c’è una sola causa, ma molteplici, come l’ansia o i disturbi ossessivo compulsivi. Il corpo è solo il teatro in cui va in scena la sofferenza» puntualizza la psicoterapeuta Stefania Sinesi. «Ognuno sceglie il modo per manifestare il proprio dramma, c’è chi lo fa con la bilancia, chi con l’alcol o altre sostanze, altri ancora facendosi del male. La body positivity, l’accettazione di tutte le fisicità, ha compiuto passi da gigante, vediamo influencer e modelle che esibiscono con orgoglio chili in più e imperfezioni. Eppure i casi di anoressia e bulimia sono quadruplicati proprio perché i due fenomeni non sono per forza legati, non c’entrano l’uno con l’altro. Certo, vedere in tv o sui social una donna “normale” può sollevare un po’ queste ragazze, ma non ferma il loro dolore. Quindi concentriamoci su di loro: accogliamole senza giudicarle, curiamole con il percorso più duraturo. E convinciamole a chiedere aiuto».
Rivedere gli amici e studiare: la vita normale che è mancata
Sara ha ammesso di aver bisogno di un sostegno proprio negli ultimi mesi. «Infatti sto migliorando. Prima sentivo solo la voce del disturbo, mi fidavo delle paure, ora invece mi apro agli altri, ai terapeuti che mi insegnano a sconfiggere le insicurezze e ai nutrizionisti che mi educano al cibo, ai sapori e alle consistenze. Mi piacciono molto anche i gruppi di lavoro con gli altri pazienti, dove posso parlare e, soprattutto, scrivere di me stessa. In passato mi è pesato essere etichettata come la ragazzina capricciosa, che non mangiava solo per attirare l’attenzione. Ora mi sento capita». La valigia è chiusa, Sara è pronta per trasferirsi nella struttura semiresidenziale. «Proverò ad andare a casa più spesso e quindi spero di riuscire a gestire meglio il momento dei pasti e a rivedere gli amici. Ho perso tutto, dalla scuola ai compagni, ma ora desidero riavere la mia quotidianità, voglio riprovarci. Il futuro? Sogno di studiare Psicologia e specializzarmi per curare le persone come me».
I fondi per le terapie gratuite
Un momento rivoluzionario. Così gli esperti hanno commentato l’iscrizione dei disturbi del comportamento alimentare nei Lea, i livelli essenziali di assistenza. In pratica, significa che il Servizio sanitario deve fornire ai cittadini tutte le prestazioni e i servizi che servono per curarli gratuitamente o dietro pagamento del ticket. «Anche la politica finalmente ha riconosciuto l’esigenza di accendere i riflettori su queste malattie» nota la dottoressa Laura Dalla Ragione, medico psichiatra e presidente della Società italiana riabilitazione disturbi del comportamento alimentare e del peso. «A dicembre il governo ha stanziato un fondo di 25 milioni di euro per i prossimi 2 anni, che serviranno alle Regioni per potenziare le strutture esistenti e per costruirne di nuove. Intanto, è stato fatto un censimento accurato di tutti i centri che operano nel settore così saranno finanziati nel modo migliore. Ogni Regione deve poter offrire ai pazienti ambulatori e reparti
dedicati e con personale super specializzato».
Quanti ragazzi soffrono di disturbi alimentari
3.000.000 sono gli adolescenti italiani che soffrono di
disturbi alimentari.
36% è la percentuale, sul totale, di coloro che soffrono di anoressia, a lungo la patologia più diffusa. Negli ultimi anni c’è stato un aumento della bulimia e ora i disturbi spesso “sfumano” l’uno nell’altro, notano gli addetti ai lavori. Che segnalano anche un nuovo, pericoloso, disturbo: la diabulimia, ovvero adolescenti che hanno il diabete di tipo 1 e non fanno l’insulina per perdere peso.
+ 41% è l’incremento delle diagnosi tra il 2019 e il 2021.
10% è la percentuale dei ragazzi che chiede aiuto.In media lo fa a 3 anni dall’inizio dei sintomi.
900 sono i posti letto tra ospedali, cliniche e comunità.
Fonte: Ministero della Salute