Olga si presenta all’appuntamento in videochiamata perfettamente truccata. Nella piega dei capelli biondissimi non c’è traccia di crespo, le sopracciglia sono un tratteggio sottile, ha le unghie smaltate rosa ciclamino. È mezzogiorno «ma la mamma si sta preparando dalle 8 per l’intervista» scherza sua figlia che appare per un attimo nello schermo. Dall’abilità di Olga nel prendersi cura del suo aspetto si capisce che non andava spesso dal parrucchiere e dall’estetista nemmeno prima del lockdown.
Del resto, Olga di tempo ne ha sempre avuto poco: fa la badante fissa da quando è arrivata in Italia 8 anni fa dall’Ucraina. Nell’ultima famiglia in cui era assunta, il contratto fissava l’orario settimanale dal lunedì al venerdì notti comprese, ma lei lavorava anche tutti i weekend per 100 euro in nero che le servivano per integrare lo stipendio e dare una mano ai suoi 4 figli. Mai alcun sollievo alla fatica di accudire 2 coniugi anziani, un signore di 92 anni non più autonomo e la moglie malata di Alzheimer, e tenere pulito un appartamento di oltre 200 metri quadri. Per 900 euro al mese. Un lavoraccio, ma lei se lo è tenuto stretto fino al 28 marzo, il giorno in cui è stata licenziata.
Solo il 5% dei lavoratori domestici è tornato nel Paese d’origine
Olga è una delle colf e badanti che hanno perso il lavoro durante la pandemia. Una stima di Assindatcolf rileva che solo nei primi 10 giorni di aprile i licenziamenti sono cresciuti del 30% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. Che cosa sta succedendo? Spiega Andrea Zini, vicepresidente dell’associazione: «Nella prima fase della pandemia c’era stata una tendenza inversa, abbiamo rilevato un aumento di assunzioni dovuto principalmente alla regolarizzazione dei rapporti già in essere.
I dati del ministero del Lavoro, che includono tutti i lavoratori iscritti all’Inps nella categoria colf e badanti, parlano di un +8% di assunzioni solo a marzo. L’autocertificazione ha costretto molte famiglie ad assumere persone che già lavoravano presso di loro ma non conviventi, perché altrimenti non avrebbero potuto giustificare gli spostamenti. Poi c’è stato il bonus baby sitter, che ha portato ad assumere per la prima volta o a contrattualizzare; infine le sostituzioni di lavoratrici e lavoratori tornati al loro Paese, dalle nostre rilevazioni circa il 5%».
Ma ad aprile sono arrivati i licenziamenti. Per paura del contagio, in qualche caso, soprattutto per le colf a ore. Molte badanti si occupavano di una persona anziana che è deceduta, molte famiglie hanno fatto i conti e deciso che la domestica era un lusso che non si potevano più permettere. E poi ci sono anche quelli, come i datori di lavoro di Olga, che hanno approfittato della situazione per interrompere un contratto regolare e trovare una persona che accettasse condizioni di lavoro in nero e sottopagate. In un settore dove già il sommerso rappresenta la fetta più grande, precisa Zini: «A fronte degli 860.000 lavoratori regolari, si stima che il 60% dei rapporti di lavoro avvenga in nero: l’Istat parla di 1,2 milioni».
La crisi è una scusa per abbassare tutele e salario
Olga non vede l’ora di raccontare la sua storia anche se qualche volta inciampa nell’italiano. «Lavoravo in quella famiglia da ottobre. Il signore aveva 92 anni, portava il pannolone e camminava con il girello; la signora era più giovane ma soffriva di Alzheimer. io mi occupavo di tutto, i figli venivano 10 minuti la domenica e nemmeno sempre. Quando è arrivato il coronavirus ho preso subito tutte le precauzioni: passavo il disinfettante sulle maniglie, uscivo solo una volta alla settimana per la spesa e sempre con la mascherina, pulivo tutto con la candeggina. I figli hanno iniziato a venire più spesso, entravano e uscivano senza precauzioni, io avevo paura. Un giorno la figlia mi ha presentato un foglio e mi ha detto: “Firma”. Io non capivo che cosa c’era scritto perché non leggo bene l’italiano, ma loro mi hanno preso per il braccio e mi hanno costretta a firmare. Era una lettera di dimissioni».
«Mi sono sempre presa cura della signora: la pulivo, la pettinavo, le mettevo la crema. Quando mi hanno licenziata senza motivo, mi ha detto: perché mi lasci?»
Olga non riesce a non piangere, le lacrime le scendono sul viso delicatamente, senza sciupare il trucco: «Mi sono sempre presa cura di loro, quando sono arrivata la signora era tutta sporca, chissà da quanto non la lavavano. Io le mettevo la crema e il profumo, le pettinavo i capelli, e lei era felicissima, era una bella signora. Il giorno in cui sono andata via mi ha chiesto perché la lasciavo. Sono sicura che mi hanno cacciata perché qualche giorno prima avevo detto che 100 euro per tutto il fine settimana mi sembravano pochi. Mi hanno mandata via senza nemmeno aiutarmi a portare la valigia e poi la portinaia mi ha telefonato per salutarmi e per raccontarmi che avevano preso una ragazza. Immagino che non avrà il contratto, non volevano farlo nemmeno a me all’inizio, e che la pagheranno ancora meno». Olga adesso abita con figlia e nipotina: «Ma mi sento di peso perché la casa è piccola e anche lei è rimasta senza lavoro, faceva la cameriera in un bar».
Nell’emergenza le cose non sono facili nemmeno per chi vuole assumere
Fino a 2 mesi fa, i genitori di Angela Marchisio abitavano insieme a Imperia: 77 anni la mamma, «una donna attiva, magra ed elegante», e 83 il padre. Due ictus e il diabete lo avevano un po’ segnato, ma a prendersi cura di tutto, le visite mediche, l’apparecchio acustico, gli occhiali e le incombenze, c’era la moglie. Quando è arrivato il virus ha protetto il marito con la tenacia del suo amore e ci è riuscita, però il Covid ha preso lei: «Prima la tosse, poi la febbre. A quel punto io e mio fratello siamo corsi da Milano, in tempo per salutarla» racconta Angela. «È salita sull’ambulanza camminando, con il suo valigino e il suo sorriso, piccola piccola tra gli infermieri bardati come marziani. È stata l’ultima volta che l’abbiamo vista».
Angela si trasferisce dal padre, lascia la sua bambina al fratello a Milano, pensando di trovare in fretta una badante. Mentre la cerca, la mamma purtroppo muore e lei si occupa della casa e del papà. Dopo tanti colloqui al telefono, trova Giovanna: «Mio padre è una persona a cui la malattia non ha tolto la dignità. Cercavo qualcuno che non lo chiamasse “nonnino” o che non gli desse del tu».
«Mio padre è una persona a cui la malattia non ha tolto la dignità. Non volevo qualcuno che lo chiamasse “nonnino”. Ho trovato Giovanna, ma era positiva Covid»
Giovanna è quella giusta, ma Angela non vuole rischiare e prima di assumerla decide che si sottoporranno tutti al tampone. Arrivano i risultati: lei e il papà sono negativi, Giovanna è positiva. «Sono rimasta da sola a occuparmi di tutto, non vedo mia figlia da quasi 2 mesi, non riesco a lavorare e non so quando Giovanna potrà venire qui, dipenderà dal decorso della malattia». Nella speranza che Giovanna possa essere assunta dalla famiglia di Angela e Olga trovare un altro lavoro, il cosiddetto “Decreto Maggio” dovrebbe includere finalmente anche un bonus per i lavoratori domestici non conviventi e assunti regolarmente.
Spiega Andrea Zini di Assindatcolf: «Si tratta di una prima misura, che ovviamente non aiuta il sommerso, che può contare solo sul reddito d’emergenza, però è importante perché solleva i lavoratori domestici e anche le famiglie». Ma il decreto rischia di essere una goccia nell’oceano nel futuro di colf e badanti, conclude Zini: «Gli effetti veri sul mondo del lavoro li vedremo quando sarà finita l’emergenza, stimiamo una perdita del 40% dei posti di lavoro per la crisi economica delle famiglie. Chiederemo misure a lungo termine come la deducibilità dei costi di lavoro, che potrebbe far emergere buona parte del sommerso».
Coronavirus: i bonus e gli aiuti del “decreto maggio”
Esclusi dal decreto “Cura Italia”, i lavoratori domestici non conviventi potranno godere di un bonus quando sarà approvato il “Decreto Maggio”. I requisiti (salvo modifiche dell’ultimo minuto): aver avuto una riduzione di almeno il 25% dell’orario di lavoro. L’indennità viene erogata per i mesi di aprile e maggio per un importo di 400 euro per lavoratori con un contratto inferiore alle 20 ore settimanali, 600 euro per contratti oltre questa soglia. La domanda deve essere presentata direttamente dai lavoratori all’Inps.