Sara ha 7 anni e va a scuola solo se la nonna, al mattino, scende in cortile e le manda «un bacio di quelli belli, a cuore». Davide ha imparato a tirare i calci di rigore insieme a nonno Fausto, che su quel campetto brullo di periferia ci era cresciuto. Luca e Nina hanno comprato la casa dei loro sogni proprio prima della pandemia grazie ai risparmi dei loro genitori. Tre storie, ma potrebbero essere milioni perché gli anziani sono il cemento delle famiglie italiane. In queste settimane si è parlato tanto di loro: per proteggerli bisogna isolarli?
L’ultimo decreto ha diviso l’Italia in zone, senza accennare agli over 65. La loro sorte rimane comunque al centro del dibattito perché sono stati, e sono tuttora, le maggiori vittime del Covid, con gli oltre 9.000 morti solo nelle Rsa. D’altro canto, il nostro Paese ha bisogno di loro: lungi dall’essere “improduttivi”, sono una risorsa fondamentale sia nella gestione quotidiana della vita familiare sia per il nostro Pil. Lo dimostra il fatto che la “silver economy”, l’economia che ruota intorno alle loro esigenze, muove in Italia 620 miliardi di euro all’anno secondo il Censis.
Smettiamo di considerare gli anziani tutti uguali
L’errore che commettiamo spesso è ritenere i nostri over 65, ben 14 milioni, un mondo omogeneo. Non è affatto così. «Rappresentano quasi il 22% della popolazione: si va dal 65enne che lavora e posta sui social all’80enne costretto a letto, tanto che ormai si parla di terza e di quarta età» nota il geriatra Davide Vetrano, ricercatore al Karolinska Institutet di Stoccolma e consulente scientifico di Italia Longeva, il network per l’invecchiamento e la longevità attiva. Se oltre il 40% dei connazionali tra i 60 e i 70 anni è occupato, i non autosufficienti superano i 3 milioni.
Oggi in una casa su 4 vive un over 65: aiuta i figli con la pensione, fa da baby sitter ai nipoti. Oppure ha lui stesso bisogno di cure
«Il cuore della questione non è l’età, che non basta più a definire lo stato di salute, ma la fragilità: ovvero, soffrire di 2 o più patologie in contemporanea e presentare delle disabilità. È questo a contare, soprattutto in una pandemia» prosegue Vetrano. «In una casa su 4 vive un over 65. Può essere un sostegno, perché magari con la pensione aiuta i figli, accade nel 37% dei casi, o fa da baby sitter ai nipoti. Oppure può avere lui stesso bisogno di cure. In entrambi i casi, come possiamo pensare di isolarlo?».
Pensiamo a fasce orarie dedicate agli anziani nei negozi
Il lockdown totale dei nonni in un Paese senior come l’Italia non è praticabile. Sembra più realistico l’isolamento leggero proposto, per esempio, dagli economisti Andrea Ichino, Carlo Favero e Aldo Rustichini, che in uno studio hanno messo nero su bianco una serie di proposte che salverebbero molte vite e non paralizzerebbero l’economia.
«Tante sono a costo zero. Per esempio, le fasce orarie riservate per andare nei negozi e le carrozze dedicate su metropolitane, treni e tram visto che dobbiamo evitare il contatto tra anziani e giovani, che sono spesso asintomatici» spiega Andrea Ichino, professore di Economia all’università di Bologna. «Se le scuole hanno abbastanza personale, lasciamo andare in aula gli studenti, assistiti da bidelli e tutor più giovani, e mettiamo in didattica a distanza i prof over 50, che in Italia sono parecchi. Impediamo agli universitari fuori sede di tornare a casa con il rischio, appunto, di contagiare i loro cari più fragili. Lo Stato, poi, sta erogando aiuti a ristoratori e albergatori: potrebbe trasformarne una parte in voucher che i ragazzi potrebbero usare per avere pasti e posti letto e ridurre quindi la vicinanza con i nonni. Diminuire i contatti abbassa i costi della pandemia, sia sul fronte sanitario sia su quello economico».
Potenziamo l’assistenza domiciliare agli anziani
Dobbiamo tutelare gli anziani, non c’è dubbio. Ma come possiamo far fare loro un passo indietro senza condannarli a quella solitudine che, anche a livello medico, porterebbe troppi danni? Le soluzioni sono 2, e si chiamano socialità protetta e assistenza domiciliare.
«La prima significa creare luoghi dove i senior si frequentano e si divertono in sicurezza, nelle zone d’Italia in cui si può uscire, e comunque per il futuro» dice Francesca Zajczik, professoressa di Sociologia urbana all’università Bicocca di Milano. «Le reti sul territorio sono fondamentali e il web aiuta molto: in questo periodo, per esempio, funzionano bene le social street, i gruppi Facebook che puntano sul buon vicinato, con i negozianti che consegnano a domicilio spesa e farmaci ai nonni e le persone che, a turno, li salutano con una telefonata».
Invece, l’aiuto per chi ha problemi di salute si chiama assistenza domiciliare: «Insieme alla Società italiana di medicina generale stiamo mettendo a punto il cosiddetto indice di fragilità. È un algoritmo basato sulla cartella informatica del medico generico che calcola il rischio che corre un anziano e identifica per tempo chi ha bisogno di cure ospedaliere e chi invece deve essere seguito a casa» spiega Davide Vetrano. «È un servizio vitale durante la pandemia e un investimento per il futuro. Oggi l’assistenza domiciliare è garantita solo al 3% di chi ne ha bisogno, va potenziata. E non bastano l’infermiere o la badante ma servono più professionalità, dal fisioterapista all’assistente sociale, che lavorano in team e assistono la persona a seconda delle sue esigenze. Il Decreto Rilancio di maggio ha destinato 734 milioni di euro a questo scopo: bisogna usarli subito e nel modo migliore».