Raccolta differenziata e coscienza green hanno permesso a tante giovani aziende di nascere e prosperare nel settore del riciclo. Basti dire che in Italia l’economia circolare vale circa 88 miliardi di euro, secondo i dati di EcoMed Green Expo. Si tratta dell’1,5% del Pil. Le aziende impiegano 575.000 addetti e, secondo le previsioni, nel prossimo anno ne assorbiranno altri 700.000.
Il business in questo caso è agevolato dal fatto che la materia prima è quasi sempre a costo zero perché chi la produce vuole disfarsene. Anche tu hai un’idea green? Qui ti presentiamo tre casi di successo, startup e aziende fondate da millennials che hanno avuto intuizioni brillanti e alle quali anche tu puoi ispirarti.
L’app che facilita la differenziata
L’ingegnere informatico Benedetta De Santis e i suoi soci, tutti under 40, nel 2014 hanno inventato Junker, l’app che risolve all’istante ogni dubbio sulla destinazione dei rifiuti (junkerapp.it). «Girando l’Italia per lavoro ci siamo resi conto di come le regole per differenziare l’alluminio o i packaging misti fossero diverse di città in città. Così abbiamo ideato un sistema che scansiona l’etichetta di oltre un milione e mezzo di prodotti e dice come smaltirli correttamente ovunque ti trovi. I nostri clienti sono Comuni ed enti che vogliono offrire un servizio ad abitanti e turisti: loro sottoscrivono un abbonamento e chi scarica l’app, oltre alle informazioni gratuite disponibili, ha servizi in più relativi al territorio, per esempio la prenotazione per il ritiro dei rifiuti ingombranti, gli orari delle isole ecologiche o dello spazzamento strade, la mappa dei mercati del riuso».
I costi e i guadagni Per sviluppare l’app, Benedetta e soci hanno investito inizialmente 10.000 euro che sono rientrati dopo due anni di attività. L’abbonamento per gli enti costa a partire da 10 centesimi a residente: un comune di 10.000 abitanti, per esempio, paga 1.000 euro l’anno.
La startup che regala un’altra vita agli abiti smessi
A Prato, dove fare impresa nella moda è più facile grazie alla presenza di una filiera consolidata, i trentenni Niccolò Cipriani e Clarissa Cecchi, fondatori di Rifò, hanno trovato l’idea che mancava: mettere in rete straccivendoli e industria tessile per creare, a chilometro zero, capi nuovi fatti con quelli vecchi. «Prendiamo il tessuto cosiddetto “primo secondo”, per esempio cotone o cachemire 100% da abiti smessi, e lo portiamo alle industrie di lavorazione che ricreano un filato con il quale una terza azienda realizza i capi nuovi. Noi seguiamo la filiera e ci occupiamo del design e della comunicazione. All’idea abbiamo unito un progetto virtuoso: invitiamo i nostri clienti a inviarci gli indumenti con tessuto 100% che non mettono più. Prima tentiamo di ripararli per farli tornare nuovi, se non è possibile li mandiamo al riciclo e in cambio diamo un buono per acquistare vestiti nuovi».
I costi e i guadagni Con un crowdfunding online i soci hanno raccolto 12.000 euro. Altri 65.000 sono arrivati da bandi per startup. Il rientro dai costi è atteso l’anno prossimo e i capi, disponibili da circa un anno, si vendono su Rifo-Lab. Un maglione in cachemire riciclato costa 89 euro, il prezzo per una maglietta (realizzata con un chilo di vecchio cotone e 4 bottiglie di plastica recuperate dal mare) è di 29 euro.
L’azienda che crea coloranti per il beauty e i tessuti
Ci sono verdure che non arrivano mai al supermercato perché rovinate o troppo mature e vengono scartate prima. Per i distributori sono un rifiuto e smaltirle un costo. Per l’azienda Pigmento naturale, nata a Melfi da un’idea di Miriam Mastromartino, 38 anni e una laurea in economia aziendale, sono invece la preziosa risorsa dei suoi coloranti per cosmetici, detergenti e tessuti. «Non sono solo naturali ma anche benefici perché ricchi di antiossidanti: anziché ricavarli da piante essiccate e decotte noi usiamo i vegetali freschi, bucce di cipolla rossa, vinacce ma anche scarti agricoli come le foglie della potatura degli ulivi. L’innovativo metodo di estrazione lo ha sperimentato mio fratello, appena laureato in chimica, nei laboratori dell’università di Firenze dove abbiamo incubato la nostra startup. L’idea invece è stata mia perché sono allergica al make up tradizionale e volevo prodotti davvero adatti alla mia pelle».
I costi e i guadagni Miriam ha ottenuto 25.000 euro da un finanziamento europeo della regione Basilicata. I clienti sono aziende tessili e cosmetiche che acquistano i coloranti a 25 euro al litro. Un prezzo molto competitivo, possibile grazie alla materia prima gratis e all’innovativo sistema di estrazione che abbatte i costi.
Gli incubatori puntano su questo settore
Ci sono progetti e incubatori pronti a finanziare e aiutare business innovativi sul riciclo. Smau ha aiutato le startup di queste pagine e offre la possibilità, a chi ha già un progetto, di trovare investitori, partner e clienti negli appuntamenti del Roadshow 2019 in varie città italiane (date e candidature su smau.it). Tra gli incubatori più attivi sul tema c’è quello del Politecnico di Torino (i3p.it). Qui sono nate esperienze di successo come Remete che ha sviluppato un processo di trattamento delle apparecchiature elettriche ed elettroniche per recuperare le piccole quantità di materiali preziosi come oro, argento e terre rare in maniera sostenibile. Felfil ha inventato un sistema per produrre il filamento per la stampa in 3D dai suoi stessi scarti, e ReMat produce semilavorati per auto e arredi recuperando gli scarti della produzione di materassi e altri imbottiti.