Sono circa 320 le proposte giunte alla task force di 74 esperti del Governo, incaricati di scegliere una App per tracciare i positivi al coronavirus e mappare il contagio. Uno strumento annunciato e ritenuto fondamentale nella fase 2 di ripresa delle attività lavorative. Gli esperti sembrano orientati alla tecnologia bluetooth. Ma alle App si affiancheranno anche altri strumenti, come le termocamere di cui si stanno già dotando alcune grandi aziende, in grado di misurare la febbre a una distanza di 8 metri.
Le termocamere anti febbre
È questione di tempo, ma le aziende riapriranno e soprattutto quelle grandi si stanno già organizzando per garantire la sicurezza sul posto di lavoro. Un primo strumento sono le termocamere, di cui colossi come Generali, Ferrero e ArcelorMittal hanno già ordinato alcuni esemplari in vista della ripresa. Sono dello stesso tipo di quelle utilizzate anche dalla Protezione Civile e altre istituzioni pubbliche, che permettono di rilevare la temperatura corporea con un margine di errore irrisorio (0,3 gradi) e da una distanza fino a 8 metri. Installate all’ingresso di uffici e fabbriche, controlleranno tutti i dipendenti, bloccando l’entrata a chi avesse la febbre.
«Sicuramente sarà uno strumento utile ai fini sanitari, per evitare il contagio da parte di asintomatici, ma dal punto di vista giuridico occorre cautela, soprattutto per quanto riguarda lo stoccaggio dei dati. Un conto è monitorare se si ha la febbre, un altro è tenere traccia di queste informazioni, perché si può contribuire all’identificazione biografica delle persone» avverte Andrea Pin, docente di diritto comparato all’Università di Padova e coordinatore del primo Corso di laurea in Italia in Diritto e Tecnologia.
La App per tracciare i contagi
Il modello di funzionamento della App che gli esperti stanno selezionando per conto del Governo è lo stesso in uso in altri Paesi, come Singapore. A spiegarlo è stata il ministro dell’Innovazione Paola Pisano: «L’applicazione di contact tracing non ha l’obiettivo di geolocalizzazione, ma di tracciamento/memorizzazione per un determinato periodo di tempo degli identificativi dei cellulari con il quale la persona è venuta in contatto ravvicinato». In pratica, la App potrà fornire indicazioni su quale sia il dispositivo con cui siamo entrati in contatto, a che distanza e per quanto tempo. Nel caso di persone positive, il loro medico (preventivamente autorizzato) potrà inviare un messaggio di alert per informare i contatti del soggetto infetto, che a loro volta potranno così controllare di non essere stati contagiati o si metteranno in autoisolamento/quarantena. Il tutto avverrà in forma anonima, sia per quanto riguarda i soggetti positivi tracciati sia per i destinatari della notifica. Il sistema funziona «se in entrambi i cellulari è presente l’applicazione di tracciamento. Quindi, perché sia efficace, serve che la utilizzino almeno il 60% degli italiani» ha spiegato ancora Pisano, chiarendo che l’adesione sarà su base volontaria.
Lo scopo: tamponi a tappeto
Non si tratta soltanto di individuare eventuali positivi per il rispetto della quarantena prevista e neppure solo di raccogliere dati a scopo epidemiologico, dunque per conoscere la diffusione del virus sul territorio; uno degli scopi è anche quello di aumentare la diagnosi, sottoponendo a tampone persone che siano entrate in contatto con persone infette. Solo in questo modo, secondo gli esperti, si potranno riprendere le attività produttive con maggiore sicurezza.
I limiti: anziani e digital divide
Qualche dubbio iniziale sull’efficacia della App era sorto riguardo la diffusione, specie tra la popolazione più anziana. «Se scaricata dal 60% della popolazione può rappresentare uno strumento particolarmente innovativo e utile per contenere il contagio. Le App per il tracciamento sono state utilizzate anche in altri Paesi. Come chiarito dal ministro Pisano, in Italia sarà scaricata su base volontaria, dunque farà leva sul senso civico di tutti noi. Per superare l’eventuale limite del digital divide, che vale soprattutto per gli anziani, è bene ricordare che non, a differenza ad esempio della App della Protezione Civile della Lombardia che non presuppone il caricamento quotidiano di informazioni sui sintomi, ma dovrebbe essere sufficiente installarla. Potrebbe, quindi, essere attivata scaricata da un parente della persona anziana e poi funzionerebbe in modo autonomo» chiarisce Chiara Sgarbossa, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano.
Dall’esempio concreto lombardo al progetto europeo
La prima a dotarsi di una App per poter disporre dei dati di diffusione dell’epidemia, infatti, è stata la Lombardia con AllertaLOM gestita dalla Protezione Civile regionale, che ha sviluppato una nuova funzione rispetto a quelle già esistenti. Alla possibilità di disporre di notifiche relative alle allerte meteo e avvisi su possibili rischi legati a calamità naturali, è stata infatti aggiunta la funzione di mappatura dei casi di contagio. Il punto di partenza, però, è la disponibilità dei cittadini a scaricare la App e a inserire i propri dati (seppure in forma anonima) come età, sesso, zona di residenza e positività o meno al Sars-Cov2.
Anche l’Unione europea, però, sembra orientata a dotarsi di una App fruibile in tutti i Paesi della Comunità. Un progetto pilota è il Pan-European Privacy Preserving Proximity Tracing (Pepp-Pt), a cui hanno lavorato 130 ricercatori di 8 Paesi. Funziona con bluetooth e, come spiegato dagli sviluppatori, consente un «tracciamento digitale di prossimità anonimo e rispettoso della privacy e utilizzabile anche quando si viaggia da un Paese all’altro».
Privacy e cybersicurezza
Il nodo, infatti, rimane il rispetto della privacy. Il modello cinese è inapplicabile in Europa e in Italia, dove vige la normativa europea sulla protezione dei dati (Gdpr). Un tracciamento dei contagi è giustificato solo dalla necessità di salvaguardare la salute dei cittadini, ma è possibile solo per un periodo limitato di tempo, come ricordato dal Garante Ue alla protezione dei dati, Wojciech Wiewiorowski.
«Il consenso e la volontarietà non sono sufficienti. Occorre sapere come sono raccolti i dati, per quale finalità e per quanto tempo. Stoccare le informazioni a scopi di ricerca su una nuova malattia è utile e importante, ma potrebbe porsi il problema se si tenesse traccia per conoscere le abitudini private delle persone» spiega Pin. Non è sufficiente l’anonimato? «È indispensabile, ma bisogna garantire che sia tale e reale. Ad esempio, una geolocalizzazione molto precisa potrebbe portare a identificare i soggetti. Per questo occorre fissare alcune garanzie, anche in termini di cybersicurezza, prima dell’introduzione di questi strumenti: limitarne l’uso in un secondo momento diventerebbe impossibile» conclude Andrea Pin.