La notizia ha fatto velocemente il giro del mondo: un decreto firmato da Re Salman, sovrano dell’Arabia Saudita, ha annunciato l’abolizione del divieto di guida per le donne. Il decreto è stato diffuso tramite la televisione di stato e, contemporaneamente, durante un evento organizzato presso l’ambasciata saudita a Washington. L’assurda (nonché unica al mondo) restrizione è solo una delle tante che regolano la vita delle donne saudite, in un Paese dove vige la legge islamica (sharia) e dove i gruppi religiosi più conservatori mantengono ancora un forte potere di controllo dell’opinione pubblica. Negli anni, il divieto di guida è diventato il simbolo del regime di oppressione saudita (il diritto di voto per le donne è stato introdotto solo nel 2015) e la sua abolizione è una grande vittoria per tutte le attiviste, da Loujain Hathaloul a Manal al-Sharif, che si sono battute per il riconoscimento dei diritti delle donne nella comunità islamica.
Il decreto non avrà effetto immediato: è stata infatti istituita una speciale commissione ministeriale che, nell’arco di trenta giorni, dovrà presentare le proprie raccomandazioni legate ai cambiamenti necessari perché la nuova legge entri in vigore, compresa la formazione del corpo di polizia, che dovrà imparare ad avere a che fare con le nuove guidatrici. L’Arabia Saudita è un Paese dove le interazioni pubbliche tra uomini e donne sono molto limitate e in tanti si sono detti preoccupati delle possibili “reazioni” degli uomini alla vista delle donne al volante. Una volta superato questo (tutt’altro che semplice) step, il decreto sarà legge a partire dal 24 giugno 2018.
Le attiviste saudite chiedevano l’abolizione del divieto già nel 1990
La scrittrice e opinionista del New York Times Mona Elthaway, nel commentare la notizia, ha condiviso su Twitter il video di una protesta storica, che ebbe luogo il 6 novembre del 1990 a Riad, capitale dell’Arabia Saudita, quando 47 donne guidarano 14 automobili per il centro della città, accompagnate dai loro mariti e fratelli. Non si tratta di scimmiottare uno stile di vita all’occidentale, sottolineano le donne nel video, quanto piuttosto di mettere fine a una aberrante violazione della libertà individuale e riconoscere un fondamentale diritto dell’essere umano: furono tutte arrestate e i loro passaporti confiscati. Da allora sono passati 27 anni e le donne saudite non hanno mai smesso di battersi.
Come ricorda sempre il Times, nel 2014 Hathloul fu arrestata e detenuta per settantré giorni dopo aver tentato di attraversare in macchina il confine tra gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita mentre Manal al-Sharif si era filmata alla guida nel 2011 e aveva postato il video su YouTube. Quest’ultima, che oggi vive in Australia, è diventata il volto di Women2Drive, la campagna di disobbedienza civile, nata sulla scia delle primavere arabe, con la quale le attiviste hanno acceso a più riprese (in particolare nel 2011 e nel 2013) l’attenzione mondiale attorno al tema.
Il prossimo passo: l’emancipazione dai “guardiani”
È importante ricordare che oggi le donne saudite non possono ancora fare un sacco di cose senza il permesso di un “guardiano” maschio, che può essere il marito, il padre, il fratello o addirittura il figlio: non possono andare all’estero, sottoporsi a determinate procedure mediche, frequentare le scuole superiori o sposarsi. Non possono neanche pregare insieme agli uomini ma solo in luoghi a loro predisposti. Ufficiosamente, quella dei guardiani è una pratica che si è abbastanza “ammorbidita” negli ultimi anni, ma che rimane tutt’ora in vigore. Non a caso al-Sharif ha scritto su Twitter: «#Women2Drive done, #IamMyOwnGuardian in progress», sottolineando come la prossima battaglia riguarderà l’emancipazione dai guardiani.
L’allentamento della stretta conservatrice è dovuta alla graduale presa di potere del figlio di Re Salman, il trentaduenne Mohammad bin Salman Al Sa’ud, che ha annunciato un ambizioso piano di riforme sociali ed economiche per il Paese, con l’appoggio dal fratello più giovane Khalid bin Salman bin Abdulaziz, che ricopre invece il ruolo di ambasciatore a Washington dall’aprile del 2017. Da una parte, l’intento è quello di modificare la percezione dell’Arabia Saudita all’estero, dall’altra di incoraggiare il lavoro femminile e rafforzare il ceto medio, fondamentale per lo sviluppo di una nazione: molte donne, infatti, sono state costrette a rinunciare a delle posizioni lavorative perché impossibilitate a muoversi liberamente. Quella saudita rimane una società profondamente patriarcale, e sebbene il principe bin Salman si è detto convinto che la legge incontrerà «poca resistenza o nulla» e che «la società è pronta», le donne del Paese sanno bene che la battaglia per l’emancipazione è ancora lunga.