Occuparsi delle cose lasciate da una persona cara che se n’è andata per sempre, è una delle esperienze emotivamente più faticose per un figlio o un compagno. Oltre al dolore si aggiunge il peso di decidere cosa tenere e cosa buttare di tutti i mobili, soprammobili, abiti e ricordi accumulati in una vita intera. Ciò nonostante è un rituale che si ripete da generazioni in ogni famiglia e che nessuno ha mai pensato di sovvertire. Tranne Margareta Magnusson, che ha messo in pratica quella che in Svezia chiamano la filosofia del Döstädning (Dö significa “morte” e städning “pulizia”): eliminare il superfluo e mettere in ordine la casa quando si inizia a entrare nell’ottica di dover lasciare, prima o poi, questo mondo.
Sulla sua esperienza e sul metodo che ha applicato per venirne a capo, ha scritto il libro “L’arte svedese del riordino” (La Nave di Teseo), già bestseller in 30 Paesi e finalmente pubblicato anche in Italia. «Ho deciso di fare il mio Döstädning perché non credo sia giusto lasciare a chi si ama questo fardello. Dopotutto non è detto che chi rimane troverà il tempo per occuparsene» ci spiega pragmaticamente al telefono l’autrice che oggi ha 85 anni e ha cominciato il suo riordino in anni in cui era ancora in perfetta forma. «Quando morì mia madre e iniziai a sgomberare la sua casa, trovai messaggi attaccati a ogni cosa, con le istruzioni di cosa farne. Queste piccole premure mi furono di conforto. È stato come ricevere una carezza. Allora ho pensato che, quando sarebbe toccato a me, avrei voluto far sentire così i miei figli».
Un’occasione per tirare le fila
Lasciare un’eredità leggera a chi amiamo è in fin dei conti l’occasione di prendersi cura di loro, ancora una volta. Per Annagiulia Ghinassi, psicoterapeuta, tanatologa e coordinatrice di Tutto è Vita Onlus, questa filosofia risponde al bisogno di pensare alla morte in modo più sereno e naturale. «Predisporre per gli altri è sempre un mezzo per preparare noi stessi, tanto più che avere a che fare con gesti pratici ed elementi materiali ci consente di elaborare sensazioni complesse. Da bambini usiamo proprio gli oggetti per assimilare concetti ed emozioni nuove, poi da grandi dimentichiamo il loro valore simbolico».
Nel caso dunque del Döstädning, il tempo che dedichiamo a mettere in fila ciò che abbiamo ci induce a dare il giusto peso al passato e a metterci nei panni delle persone a noi più vicine. Ci educa a percepire la nostra morte in funzione di chi verrà, un pensiero che a poco a poco ci renderà più resilienti di fronte alla paura che ne abbiamo tutti e ci regala l’occasione di condividere con chi amiamo un passaggio della vita molto significativo. Ma non solo: ci spinge a riordinare anche i ricordi e gli istanti belli di una vita.
«Oltre alle cose utili, ho conservato dettagli inutili che però mi rendono felice ogni volta che li guardo» racconta l’autrice. «Come Old Bear, un peluche che in ottant’anni ha consolato me, i miei figli e i nipoti. O un libro con ricette da tutto il mondo, che mi ricorda gli anni vissuti a Singapore. Il più delle volte è stata una gioia passare in rassegna gli oggetti e riscoprirne il valore. E ho trascorso settimane a pensare a chi potessero piacere o servire nella mia cerchia. Il resto l’ho venduto o buttato. E ora che ho finito mi sento lieve e sollevata e ciò che è rimasto me lo godo più di prima».
La strategia per tramandare il meglio di noi
Può anche accadere che il genitore non ci pensi e che i figli non trovino le parole giuste per proporre l’idea del Döstädning. La morte è un tabù che si supera con difficoltà e l’attaccamento agli oggetti materiali, anche ai più inutili, per molti è anche un modo per restare ancorati al presente o al passato ed evitare ogni pensiero sul futuro. «Ma se si apre una breccia, servirà un metodo di lavoro per andare avanti» consiglia la Magnusson.
Meglio iniziare il riordino non per stanze ma per categorie. Possono essere i mobili, i libri o i vestiti, scegliendo prima quelli che hanno meno valore affettivo. «Sono partita dai mobili grandi e ho lasciato lettere e fotografie per ultime» spiega l’autrice. «Alla fine ho anche fatto una piccola scatola che ha valore solo per me su cui ho scritto “personale, da buttare”. Ci ho messo vecchie lettere d’amore, programmi, ricordi dei miei viaggi e altre cose di poco conto. Una specie di mio ritratto sentimentale che i miei 5 figli potranno scoprire ma poi gettare a cuor leggero» conclude ridendo.
Se hai bisogno di aiuto
In Italia esiste l’Associazione Italiana Professional Organiser, che può aiutare te o un tuo caro a decidere cosa buttare, regalare o riciclare, eliminare il superfluo ma anche a ottimizzare gli spazi di una casa nuova, magari più piccola. O riorganizzare i tuoi oggetti se devi spostarti in una casa di riposo.