«Ok cara A.R., tu esisti, ne ho piena coscienza. Hai approfittato di un mio momento di debolezza per intrufolarti nella mia vita, e lo hai fatto a tradimento proprio quando ero più fragile. E’ stato un gioco da ragazzi due anni fa colpirmi alle spalle. Le mie sicurezze si sono sgretolate come fossero state di cristallo. Una deflagrazione! Vorrei scacciarti ma tu, cara Artrite Reumatoide, stai sulla mia pelle, nelle ossa, nelle articolazioni, mi stringi in una morsa e non mi molli.
Visto che siamo legate come ergastolane che condividono la stessa cella (finché morte non ci separi), cerchiamo un accordo, non abbiamo alternative. Non serve che io ruggisca dinanzi a te, devo allearmi.
Partiamo dall’inizio, sei tu che mi hai cercata, non io. Mi hai scelto, sì, hai proprio puntato l’indice su di me. Cosa volevi farmi capire? Volevi che io comprendessi che ogni giorno va apprezzato e nulla va dato per scontato o per caso che dovevo vivere imparando a dire qualche “no”? Volevi che io accogliessi una giornata di sole con un sorriso e che lasciassi da parte la mia rabbia se un automobilista mi fregava il parcheggio? Troppe volte non avevo colto l’essenza della vita per soffermarmi sulle inezie, sui particolari.
Ebbene, ho imparato le lezioni e di questo non posso che essertene grata, anche se hai usato metodi un po’ violenti perché tu non fai nulla gratis, sai bene che ho pagato con la mia sofferenza i tuoi insegnamenti. Ed oggi mi scopro una donna diversa. Ho imparato ogni tanto a dire di no e a sorridere per una bella giornata di sole, ho imparato ad amarmi di più invece che mortificarmi”. Ho capito che devo approfittare del tempo quando sto bene, e non farlo sfuggire di mano perché domani non so quanto me la farai pagare. Sì, con te non si può scherzare, non hai affatto humour ed io devo essere sempre vigile.
Ecco, sediamoci, parliamone, con tutta calma e non mi guardare minacciosa. Ora anche tu mi devi qualcosa, visto che ti ho dato il mio dolore, ti ho dato le mani tutte le volte che non sono riuscita ad afferrare una bottiglia d’acqua o a scrivere il mio nome, ti ho dato le mie ginocchia, i miei piedi, le mie caviglie tutte le volte che me li hai chiesti. Scendiamo a patti: io buona buona prenderò i farmaci, accettando anche di intossicarmi con gli effetti collaterali. Per te mi priverò anche di parte delle mie difese immunitarie, diventerò più vulnerabile ma tu, tu cerca di non approfittarne. Io cercherò di nutrirmi bene, di fare un’attività fisica dolce, ma tu dovrai essere mansueta, metterti da parte. Devi andare a dormire. Cerca di assopirti. Ti fa bene il riposo, come fa bene a me. Anche tu hai qualcosa da imparare da me: la lealtà, quindi non imbrogliarmi, non barare.
In fin dei conti conviene anche a te proseguire il gioco. Se mi stronchi, il gioco finisce.
Ah, un’ultima cosa. Sei passata sulla mia vita e su quella degli altri come un uragano, e su altre vite passerai ma prima o poi qualcuno ti ucciderà. Anche tu non sei infallibile».
Testimonianza di Gabriella Caruso, 60 anni, ammalata di artrite reumatoide
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