L’artrite reumatoide è una malattia in crescita nel nostro Paese: colpisce quasi 400.000 italiani, di cui il 75 per cento donne, come raccontate nelle vostre storie, che stiamo raccogliendo qui sul nostro sito. Per chi ne soffre, finalmente è arrivata una buona notizia: d’ora in poi anche i pazienti italiani potranno utilizzare Baricitinib e Tofacitinib, principi attivi contenuti in un farmaco in compresse che blocca l’infiammazione e il danno articolare nelle forme moderate e gravi. Si tratta di un importante passo avanti nelle cure realizzato anche grazie all’intervento dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, che ha approvato la commercializzazione del nuovo farmaco a totale carico del Sistema sanitario nazionale.
I nuovi farmaci sono in compresse e più efficaci
Per le associazioni pazienti è un cambiamento positivo. I principi attivi sono indicati nelle forme medio-gravi della malattia, come i farmaci biologici. Ma rispetto a questi ultimi, si assumono per via orale anziché per via sottocutanea o endovenosa. Non è però l’unica novità: hanno anche un meccanismo di azione diverso. «Il principio attivo è composto da “piccole molecole”», spiega Oscar Massimiliano Epis, direttore del Centro di reumatologia dell’ospedale Niguarda di Milano. «Questo fa sì che riesca a insinuarsi meglio nelle zone aggredite dalla malattia e “spegnere” in contemporanea l’effetto di più di una citochina, cioè le sostanze con azione infiammatoria. A differenza dei farmaci biologici tradizionali che invece agiscono su una singola citochina».
Quando e dove si prescrivono e quanto costano
Come i biologici tradizionali, anche questi nuovi principi attivi vengono prescritti in “seconda battuta”. Il Servizio sanitario nazionale chiede infatti che venga prima effettuato un tentativo con i farmaci che fanno parte della famiglia dei DMARDs tradizionali, come il metotrexate. In otto casi su dieci, questi medicinali sono più che sufficienti a tenere a bada la malattia. Se non funzionano, è inutile aspettare. Baricitinib e Tofacitinib però ad oggi sono ancora in una fase di transizione. Sono infatti già disponibili in Italia, ma è in discussione il loro prezzo di vendita. Di certo, saranno meno dispendiosi dei biologici tradizionali che costano in media 10-12.000 euro all’anno per ogni paziente. «I farmaci possono essere già prescritti e distribuiti senza costi per il paziente, direttamente in alcuni centri di reumatologia; nei prossimi mesi sarà possibile ottenerli in tutte le strutture abilitate alla prescrizione dei farmaci biologici», chiarisce il dottor Epis.
A chi SONO indicati
Attenzione però. Questi farmaci non mandano in “solaio” i farmaci biologici. «Noi abbiamo già una decina di pazienti che stanno seguendo la terapia orale», aggiunge il dottor Epis. «Sono principi attivi troppo recenti per poter capire le differenze nel tempo rispetto ai tradizionali e quali categorie di pazienti potranno beneficiarne maggiormente. Per questo, al momento la scelta va fatta considerando il paziente non solo dal punto di vista della malattia, ma anche dello stato di salute in generale e dello stile di vita». Baricitinib e tofacitinib hanno dalla loro un minore rischio di infezioni, che è la grande incognita dei farmaci biologici. Dunque, vanno bene a chi ha un organismo delicato e che facilmente si ammala. Sono adatti anche a chi è agofobico, cioè non sopporta la vista degli aghi.
A chi NON sono indicati
Non sono indicati invece per chi sta già assumendo più farmaci per altre malattie, come nel caso degli anziani, oppure ha una vita particolarmente impegnata dal punto di vista lavorativo. Qui vanno meglio i tradizionali biologici, che si assumono una sola volta ogni due-tre settimane. Ma non sono le uniche valutazioni da fare. «Con Baricitinib la prescrizione è di una compressa giornaliera e con tofacitinib due», sottolinea il dottor Epis. «Questo da una parte aumenta la libertà del paziente perché si gestisce da sé, ma dall’altra può essere pericoloso perché è alto il rischio di non rispettare le cure. Il reumatologo deve allora essere anche un po’ psicologo e cercare di capire se si può fidare, oppure se è il caso di continuare con la via tradizionale».
Il rischio se non si segue la cura
Il rischio per chi non segue le cure è alto. Peggiorano sempre di più lo stato di infiammazione e il danno alle articolazioni, fino a compromettere anche in modo pesante la capacità di movimento. Ma non solo. Alcune ricerche hanno visto che nella zona malata si formano nuovi vasi sanguigni ricchissimi di sostanze infiammatorie, le stesse coinvolte nell’infarto e nell’ictus. Ed è per questa ragione che, tra chi non si cura oppure si cura male, è alto il rischio di malattie cardiovascolari.