Il video della campagna “Free rope” realizzata per Apmarr dall’agenzia creativa Lorenzo Marini Group, rappresenta i lacci di dolore invisibili che inchiodano le persone con malattie reumatiche e impediscono loro, molto spesso, di fare i gesti di tutti i giorni
Venti minuti per alzarsi dal letto, un’ora per prepararsi, qualcuno che ti aiuti a mettere le calze e a pettinarti, un taxi basso perché altrimenti non ce la fai, il parcheggio che dev’essere vicino, l’autobus che deve avere la pedana. E poi la giornata al lavoro, se riesci ad andarci, e se ce l’hai ancora. Gli sguardi dei colleghi che non capiscono la tua lentezza, la fatica a stare in piedi, ma anche quella a stare seduta. E al rientro, le difficoltà a maneggiare pentole e cucchiai, scolare la pasta, aprire una bottiglia, usare le mollette per i panni, stirare, sollevare la cesta del bucato o il secchio pieno d’acqua. Ci fermiamo qui ma la lista sarebbe davvero lunga. Così lunga come la giornata di chi ha una malattia reumatica cronica severa, come l’artrite reumatoide, che dovrebbe essere – secondo le stime – di almeno 26 ore. Parliamo anche di artrosi, la patologia più diffusa, ma pure di fibromialgia, spondilite anchilosante, lupus. Malattie che riguardano più di 5 milioni di persone in Italia, di cui 700 mila con patologia severa e che – per motivi ancora in parte sconosciuti – colpiscono soprattutto le donne, per di più in età lavorativa, e non risparmiano l’età pediatrica.
La diagnosi precoce è fondamentale
Donne che molto spesso devono assentarsi dal lavoro o lo perdono, alimentando così lo stigma intorno alla loro malattia: spesso diagnosticata con ritardi anche fino a 10 anni, mal compresa e mal digerita dagli stessi familiari o colleghi, che masticano rancore e ostilità per poi sputare insulti e diffidenza. In vista della Giornata mondiale delle Malattie Reumatiche del 12 ottobre, Antonella Celano, presidente di Apmarr (l’Associazione nazionale persone con malattie reumatologiche e rare) lancia la 5a edizione della campagna per la sensibilizzazione sulla diagnosi precoce #diamoduemani21. Importante perché su queste persone grava ancora oggi lo stigma sociale: «Bisogna parlare di più delle malattie reumatiche, farle conoscere e far capire che, se prese in tempo, si possono trattare. Non siamo pazienti di serie B né nella diagnosi, né nell’aspirazione di poter condurre una vita normale». Certo la pandemia ha declassato tutte le patologie ma oggi – rileva la presidente – «ci si occupa solo di Covid e poche altre patologie. I malati reumatici sono pazienti cronici complessi, che necessitano di una presa in carico vera, rimasta finora sulla carta. Anche per loro la diagnosi precoce è fondamentale per evitare aggravamenti che in molti casi sono rapidi».
Lo studio: più i pazienti sanno, più le cure funzionano
Per capire come il paziente reumatico viva la propria condizione, e dall’altra parte aiutarlo a comunicarla agli altri, Apmarr ha commissionato una ricerca, che è stata condotta dall’EngageMinds HUB, Centro di ricerca in psicologia della salute dell’Università Cattolica, su un campione di 450 pazienti. I risultati vengono presentati l’11 ottobre al convegno nazionale “L’assistenza territoriale integrata in reumatologia”, occasione per fare il punto sulle cure. Abbiamo raggiunto la dottoressa Guendalina Graffigna, professore Ordinario dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttrice di EngageMinds HUB, che ha coordinato la ricerca. «Chi soffre di queste patologie deve essere consapevole della propria condizione, sapere quali sono gli specialisti più indicati per occuparsene, qual è il livello delle terapie, la qualità di vita che può raggiungere e le prospettive future. La ricerca dimostra che più una persona è “ingaggiata” (si definisce “livello di engagement”), più l’aderenza alle cure e la soddisfazione aumentano. Conoscere queste malattie è fondamentale non solo per chi ne soffre ma anche per chi vive con loro. Bisogna far capire a tutti che i malati reumatici non sono persone da rottamare o da curare, ma possono diventare co-piloti della propria vita, insieme ai medici».
Le denunce: attese troppo lunghe
Questo vuol dire anche collaborare con il medico di famiglia, il primo anello della catena, il fulcro intorno a cui ruota tutta la possibile riforma del Sistema Sanitario Nazionale, centrata sulla medicina di territorio tra ambulatori di medicina generale e altri presidi da rivitalizzare, come i consultori. «Secondo il 50% del campione – spiega la ricercatrice – i rapporti con i medici di medicina generale e gli specialisti sono buoni ma quando si passa ai rapporti con il sistema sanitario il discorso cambia. Qui sono molte le persone intervistate che denunciano carenze organizzative e strutturali, quando per esempio devono prenotare una visita specialistica e si trovano di fronte lunghi tempi di attesa». L’accesso alle cure rimane un altro ostacolo per il 43% del campione sia in termini di opportunità di scelta dello specialista, sia per l’impossibilità di scegliere giorni e orari per una prima visita o per una di controllo.
… e Sanità digitale solo sulla carta
Quanto alla Sanità digitale, che aiuterebbe soprattutto questi pazienti, spesso in difficoltà a spostarsi, non sembra essere mai decollata e lo denuncia anche Antonella Celano: «Servirebbe alfabetizzare la popolazione e avere sistemi e piattaforme interconnessi e omogenei in tutta Italia. Il semplice fascicolo sanitario elettronico in alcune regioni non funziona. Spesso gli specialisti non possono consultare online la tua storia clinica, un’assurdità. Così come non risulta sufficientemente elevata la possibilità di effettuare online la prenotazione della visita di controllo, che pure viene vista come una modalità auspicabile da molti pazienti».