Al rientro dalle vacanze e in queste settimane di rientro nei luoghi di lavoro c’è chi si è sottoposto al tampone in via cautelativa. Alcuni sono risultati positivi al coronavirus pur non avendo sintomi di malattia. Anche se si è asintomatici si è tenuti a stare a casa in quarantena. Ma in questo caso, è legittima la richiesta da parte del datore di lavoro di lavorare da casa?
Gli asintomatici non sono tenuti a lavorare da casa
Gli asintomatici sono una percentuale alta dei contagiati. Basti pensare che, secondo l’Istituto superiore di sanità, negli ultimi 30 giorni oltre il 65% dei 20.000 nuovi contagiati è risultato asintomatico. Però gli esperti dell’Inps (che per chiarire il tema ha pubblicato a giugno il messaggio n. 2584) confermano che la quarantena prevista per chi risulta positivo al coronavirus è equiparata alla malattia. Lo prevede il decreto legge 18 del 17 marzo 2020, all’art. 26. Una norma che si applica anche a chi è asintomatico e ha un certificato rilasciato dal medico di base per via telematica. «Si tratta di una casistica che andrebbe regolamentata con accordi precisi» spiega l’avvocato civilista Caterina Scaduti. «Ma la norma tutela anche il datore di lavoro che, in caso di peggioramento improvviso del paziente asintomatico, potrebbe essere ritenuto responsabile». Sempre in base ai regolamenti, per terminare l’isolamento domiciliare devono passare almeno 14 giorni, al termine dei quali servono due tamponi con esito negativo a distanza di 24 ore l’uno dall’altro.
E se i figli sono in quarantena?
Se un figlio con meno di 14 anni in quarantena dopo un contatto sospetto con un compagno di scuola positivo, uno dei due genitori può chiedere di lavorare in smart working oppure di avere un congedo straordinario retribuito al 50%. Lo prevede il decreto 111 del 2020, appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale.