Scaffali vuoti o semivuoti, carrelli pieni, ma soprattutto di farina, pasta, pane e olio d’oliva. È quello che si è visto negli ultimi giorni e nelle ultime ore nei supermercati italiani: immagini che non si osservavano dal primo lockdown per la pandemia Covid e che forse non si sono neppure mai registrate. La psicosi della guerra in Ucraina ha portato anche a questo. Ma davvero bisogna correre a fare scorte di generi di prima necessità?
L'”economia di guerra” ha gettato nel panico
A influire sul timore di non trovare alcuni alimenti sono state anche alcune espressioni circolate nelle ultime ore, come «economia di guerra», pronunciata dal premier Mario Draghi, che però ha assicurato che non è il momento né di razionamenti né di limitazioni agli acquisti.
Alcuni distributori hanno razionato ma lo scopo è evitare i rialzi
È pur vero che in alcuni punti vendita, come all’Unicoop Firenze è stata presa una decisione drastica: «Per evitare che alcuni negozianti facessero incetta di farina, zucchero e olio di semi» è stato «stabilito che non si possano acquistare più di 4 pezzi per cliente». La stessa Coop, però, ha anche chiarito che «non c’è al momento alcun rischio di mancanza di prodotti».
In Italia buttiamo via 31 kg di prodotti alimentari all’anno
Ma davvero c’è il rischio di veder scarseggiare alcuni prodotti? «La psicosi degli acquisti è pericolosa per se stessi e per gli altri, in un Paese come l’Italia dove in media nella spazzatura finiscono quasi 31 chili all’anno di prodotti alimentari per persona, per una valore complessivo di quasi 7,4 miliardi euro» spiega Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti, secondo cui non c’è alcun pericolo di scarsità di beni come farina o pasta. L’unico rischio reale è quello della speculazione, che porta a un aumento dei prezzi ingiustificato.
Non serve fare scorte di farina e pasta
«La farina da noi non manca e non arriva dalla Russia: tre quarti del grano duro lo produciamo direttamente noi e in parte lo destiniamo all’esportazione, anche in Russia. Basti pensare che siamo leader mondiali nella produzione, con 3,5 milioni di tonnellate, delle quali ben 1,9 milioni destinate proprio alla vendita fuori dall’Italia. L’approvvigionamento interno è garantito» spiegano ancora da Coldiretti.
Siamo noi a esportare il grano in Russia, non il contrario
Con 1,2 milioni di ettari, «la filiera del grano duro copre il 62% del fabbisogno totale, ben oltre il quantitativo necessario a soddisfare il fabbisogno interno. Inoltre è facile immaginare un taglio ai 27 milioni di euro di pasta esportati in Russia nel 2021» conferma l’organizzazione, che consiglia piuttosto di «programmare e diversificare gli acquisti privilegiando prodotti freschi e di stagione Made in Italy, la cui offerta è destinata a salire con l’arrivo della primavera» anche per sostenere l’economia e il lavoro in Italia.
L’unico prodotto a rischio è l’olio di semi di girasole
Se la pasta e il pane non sono dunque un problema, Coldiretti spiega che «casomai potrà esserci un minor quantitativo di altri prodotti, come l’olio di semi di girasole, che per l’80% proviene dall’Ucraina, anche se loro hanno fatto sapere di avere scorte per cinque anni. In ogni caso, ci sono validissime alternative, come l’olio d’oliva».
L’allarme sulla carne è infondato
Per quanto riguarda la carne, anche in questo caso gli scaffali si sono svuotati in poche ore, dopo l’allarme lanciato da Federalimentare, secondo cui l’autonomia della filiera dei mangimi è di appena 30 giorni, che arrivano a 40 per quella delle farine. Secondo il presidente, Ivano Vacondio, se dovessero scarseggiare le materie prima potrebbe scattare l’allarme anche per il 70% dell’industria alimentare.
L’allarme semmai riguarda i mangimi ma non nell’immediato
«Ma in questo caso non correremmo il rischio di veder mancare la carne nei supermercati – spiega ancora Coldiretti – A parte il fatto che il consumo di carne è in diminuzione da qualche tempo, la criticità riguarderebbe eventualmente l’approvvigionamento di mangimi per gli animali». Questi, infatti, sono costituiti soprattutto da cereali, molti dei quali importanti, come il mais, dall’est. È vero che gli Usa si sono offerti di esportarne, ma la maggior parte del mais americano è Ogm e questo rappresenta un limite per le leggi europee più restrittive in materia. «Si tratterebbe, comunque, di un eventuale problematica che potrebbe sorgere più in là nel tempo, se la crisi dovesse proseguire a lungo come non ci auguriamo e potrebbe avere effetti sui prezzi» spiega Bazzana Coldiretti.
Il vero problema sono i rincari per le speculazioni
«La maggior parte della carne che importiamo proviene dalla Francia, quindi non ci sono problemi nelle forniture. Casomai potrebbe accadere che, se scarseggiassero i mangimi, gli allevatori sarebbero costretti ad abbattere gli animali, quindi a macellarne in maggior quantità. Ma paradossalmente la maggior offerta farebbe diminuire i prezzi: i rincari sono frutto di speculazioni» spiega Coldiretti. D’altro canto, secondo Union Food, in un anno il carrello della spesa ha già fatto registrare un aumento dell’80%, complici anche i cambiamenti climatici e gli effetti che questi hanno sulle coltivazioni (siccità o alluvioni con danni ai raccolti), la speculazione internazionale e la corsa all’accumulo di beni essenziali da parte di alcuni Stati. Un fenomeno simile a quanto si è registrato anche con i carburanti. Di fronte alla minaccia di una difficoltà nelle forniture, che al momento non è reale, i listini alle pompe di benzina e diesel sono aumentati. A confermarlo è stato anche il ministro Cingolani.
I rialzi della benzina sono una «truffa colossale»
«Una colossale truffa a spese delle imprese e dei cittadini». Così il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha definito l’aumento dei carburanti, ritenuto «ingiustificato, non esiste motivazione tecnica di questi rialzi. La crescita non è correlata alla realtà dei fatti, è una spirale speculativa, su cui guadagnano in pochi». Sta di fatto che negli ultimi giorni tutti abbiamo visto il prezzo crescere e raggiungere la soglia dei 2,2 euro al litro con punte di 2,23.
La benzina è aumentata solo in Italia
Basta dare un’occhiata ai prezzi nel resto d’Europa, però, per capire che il motivo non è da ricondurre al conflitto. In Spagna il costo della verde è di 1,73 euro al litro, in Austria a 1,61, in Slovenia a 1,50, a Cipro a 1,43, in Bulgaria a 1,33. Ancora più basso è a Malta (1,31 €/lt.), mentre il prezzo più basso si registra in Polonia. A pesare sono anche Iva e accise, tanto che il Governo starebbe pensando a una “sterilizzazione dell’lva” sui carburanti, perlomeno per la quota dovuta agli aumenti più recenti. Si tratterebbe di ridurla dall’attuale 22% al 5%, insieme a un taglio delle accise, con la cosiddetta “accise mobile”: la chiedono i gestori di Faib Confesercenti, Fegica Cisl, Figisc/Anisa Confcommercio e si tratta di una diminuzione di questa voce, per compensare le maggiori entrate dell’Iva derivanti dall’aumento dei prezzi.