Ci sono Audrey, Manu, Hélène e Angélique, le 4 assistenti sociali protagoniste di “Le invisibili”, il film francese campione d’incassi: per aiutare le donne senzatetto, ospiti di un centro che sta per chiudere, si inventano piani geniali, mentono e ci mettono il cuore. A fare da contraltare, le operatrici integerrime di “L’amore strappato”, la fiction con Sabrina Ferilli ed Enzo Decaro che su Canale 5 ha raccontato la storia vera di Angela Lucanto, una bambina allontanata dalla famiglia per un errore giudiziario: ci sono voluti 10 anni per riportarla ai suoi veri genitori.ù
Ecco 2 modi opposti, sul grande e piccolo schermo, per parlare di una professione che finisce spesso al centro delle polemiche e delle cronache. Di ieri e di oggi, come dimostra l’inchiesta “Veleno” (pubblicata ora da Einaudi), in cui il giornalista Pablo Trincia ripercorre la vicenda che negli anni ’90 sconvolse la provincia di Modena, dove 16 bimbi furono tolti alle famiglie, accusate di riti satanici e pedofilia: imputazioni che, durante il processo, crollarono come un castello di sabbia. Ma chi sono davvero gli assistenti sociali? Missionari sempre in trincea oppure operatori a cui è facile contestare errori e mancanza di umanità? I numeri possono aiutare a fare chiarezza.
Si occupano di doposcuola, anziani, tossicodipendenze
Gianmario Gazzi è presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli assistenti sociali. Nonostante sottolinei più volte le difficoltà della professione, rivela che è un mestiere in crescita: «Nel 2011 eravamo 38.000, ora siamo 44.000, tutti con un titolo di laurea. Il 90% sono donne. La maggior parte lavora negli enti locali e si occupa dei servizi sul territorio, come i progetti di doposcuola per ragazzi difficili o i centri anziani, e ora si concentrerà anche sul Patto d’inclusione (il percorso per il contrasto alla povertà, ndr) previsto dal reddito di cittadinanza».
Molti assistenti operano nella sanità per il contrasto alle dipendenze e solo 1.500 sono impiegati nei tribunali. «È un lavoro legato a doppio filo con la società» aggiunge Gazzi. «Negli ultimi anni seguiamo sempre più famiglie in difficoltà economiche, anziani e immigrati. E i problemi non mancano: secondo una nostra indagine, 8 professionisti su 10 hanno ricevuto minacce durante il lavoro, mentre il 15% ha subito aggressioni fisiche. Solo 1 caso su 10, però, viene denunciato».
I minorenni allontanati sono la metà rispetto agli altri Paesi europei
Da dove nasce la diffidenza tra cittadini e operatori? Marco Giordano, docente di Servizio sociale all’università Federico II di Napoli e presidente della onlus Progetto Famiglia, prova dare una spiegazione nel libro “Gli assistenti sociali non rubano più i bambini?“ (ed. Punto Famiglia). «Il titolo del mio saggio ricalca un pregiudizio storico sulla professione. In realtà, a occuparsi di bambini è la minoranza degli assistenti, e ogni decisione viene presa con i giudici e le forze dell’ordine. Gli allontanamenti d’urgenza sono poco più di 6.000, circa un quinto del totale. Secondo i dati del Ministero del Lavoro (fermi al 2014), i ragazzini italiani tolti a madri e padri per “inadeguatezza genitoriale”, problemi abitativi o di tossicodipendenza in famiglia, sono meno di 30.000, la metà rispetto alla media degli altri Paesi europei: in Inghilterra arrivano a 70.000, in Germania a 130.000.
Eppure il singolo caso eclatante fa più rumore del tanto lavoro quotidiano. Certo, gli errori possono accadere e la causa principale è la mancanza di organico. La legge dice che servirebbe un operatore ogni 5.000 abitanti: in molte zone del Nord è così, mentre al Centro e al Sud spesso ce n’è uno ogni 30.000 cittadini. In alcune aree gli assistenti lavorano solo 6 ore a settimana, per mancanza di fondi, o con una popolazione di 40.000 persone. Quindi, al di là delle intenzioni, si opera male, di fretta, magari senza la possibilità di conoscere alla perfezione il singolo caso. Non solo: non si può fare prevenzione, ma si riesce ad arrivare quando i problemi sono all’apice e bisogna intervenire all’istante. In Campania, Puglia e Lazio, per esempio, i bimbi che vivono in casa famiglia sono diminuiti di un terzo, ma non perché il quadro sociale sia migliorato: perché ci sono meno minorenni seguiti dai servizi sociali».
In situazioni di reale pericolo la decisione viene presa senza consultare il giudice
Dall’altra parte della “barricata”, al fianco delle famiglie vittime di errori o di interventi al limite della legalità, c’è Cristina Franceschini, avvocato e fondatrice della onlus Finalmente liberi, nata proprio per far conoscere le criticità della giustizia minorile. «È vero che le storie problematiche rappresentano solo una parte del lavoro degli assistenti sociali, ma certe falle vanno risolte perché possono segnare per sempre l’esistenza di un bambino. Lo scoglio maggiore riguarda certamente l’allontanamento d’urgenza: secondo l’articolo 403 del Codice civile, si esegue quando il minorenne si trova in una situazione di grave pericolo. Viene effettuato dai servizi sociali, che successivamente devono avvisare il giudice. In genere la situazione grave arriva ai servizi su segnalazione dei parenti o della scuola. Ma bastano poche persone, ovvero gli operatori e il loro dirigente, per valutare la gravità? Ho seguito la vicenda di una bimba allontanata per dei lividi sospetti sul corpo. Poi si è scoperto che se li era causati a scuola, ma intanto ha passato diverso tempo lontano dai suoi affetti. C’erano delle criticità in casa e i genitori si volevano separare, ma nulla di così pericoloso: non sarebbe stato meglio indagare prima con calma e attenzione? Anche negli allontanamenti ordinari, le decisioni vengono prese da un’équipe di diversi professionisti, giudice compreso, ma la valutazione dei servizi sociali ha un forte ruolo. E quando leggo i loro rapporti noto molte impressioni soggettive, non indicatori oggettivi. Per esempio, nelle valutazioni si parla spesso di “inadeguatezza genitoriale”, ma cosa significa in concreto? Un conto è un genitore tossicodipendente, un altro è una mamma single che ha perso il lavoro. Invece di usare soldi pubblici solo per le case famiglia, io stanzierei dei fondi anche per pagare le bollette e le rette scolastiche del bambino».
Manca una banca dati aggiornata con la rendicontazione dei progetti
Secondo l’avvocato Franceschini servirebbe una banca dati che raccolga tutte le pratiche degli assistenti sociali, con la rendicontazione dei progetti e delle spese: quella redatta dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza non è sempre aggiornata. «Il fine non è punitivo, anzi: le buone pratiche vanno sottolineate e copiate» dice. Sulla stessa linea è il docente Marco Giordano. «La trasparenza è sacra e bisogna spingere le buone prassi. Alcuni Comuni, per esempio, hanno istituito delle équipe di operatori specializzati nelle situazioni critiche: hanno un occhio più competente e possono suggerire come intervenire nei casi estremamente difficili».
I numeri
90% Gli assistenti sociali donna in Italia, sul totale. 30.000 I ragazzini italiani tolti alle loro famiglie (di cui 6.000 quelli d’urgenza). 180 I casi, in media, che un operatore tratta in un anno. 15% La percentuale di assistenti sociali che ha subito aggressioni fisiche (Fonti: ministero del Lavoro, Ordine degli assistenti sociali).
La testimonianza di un’operatrice
Rosella Quattrocchi vive a Modena, ha 47 anni e da 20 fa l’assistente sociale, come racconta nel romanzo “Il cacciatore di orchi” (Il Ciliegio). «Lavoro in Comune e mi occupo di famiglie e minori: aiuto i genitori per l’affido dei figli, i bulli e loro vittime, gli studenti che lasciano la scuola. Svolgo il mestiere che ho sempre sognato ma sono una pecora nera: nei colleghi serpeggia il malcontento perché è un impiego che ti prosciuga. Ho effettuato solo 3 allontanamenti forzati: 2 casi di maltrattamenti e un piccolo vittima di abusi sessuali. Tutti mi hanno tolto il sonno. Vorrei avere il doppio delle risorse. Le dicerie su di noi le conosco bene, la gente ha paura, ci vede come dei controllori, ma siamo dalla loro parte».