Nessun cambio nel piano vaccinale e nessuna sospensione nelle somministrazioni del vaccino AstraZeneca, che però ora viene “raccomandato” agli over 60. La novità è arrivata dopo il pronunciamento dell’Ema, l’agenzia europea del farmaco, la cui direttrice Emer Cooke ha ribadito che «I benefici superano di gran lunga i rischi». La presidente del Prac, la commissione per la valutazione del rischio dell’Agenzia europea, Sabine Straus, ha parlato di eventi collaterali «molto rari» e di una «probabile causalità» tra la somministrazione del siero anglo-svedese e casi di trombosi.
«Al momento non ci sono elementi per non considerare la somministrazione di AstraZeneca in chi ha ricevuto la prima dose di questo vaccino, pur essendoci un numero limitato di soggetti che hanno ricevuto una seconda dose» ha chiarito Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità.
Il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha firmato una circolare che lo raccomanda agli over 60, sull’esempio di quanto deciso anche da Spagna e Germania (in Francia agli over 55), ma il Direttore generale della Prevenzione del ministero, Gianni Rezza, ha precisato che «AstraZeneca può essere somministrato a chiunque dai 18 anni in su. Noi diamo un’indicazione per un uso preferenziale, ma se una persona di 40 anni volesse vaccinarsi con AstraZeneca potrebbe farlo».
Proprio alle donne, specie se sottoposte a terapie ormonali che potrebbero aumentare il rischio di trombosi, si rivolge però il virologo Andrea Crisanti: il vaccino AstraZeneca è «tra i più sicuri al mondo»: «Il rischio di un evento trombotico per chi ne soffre è 100 volte superiore se si prende un aereo che se si fa il vaccino».
Prima dose: ci sono categorie a rischio?
«No, le persone a rischio di trombofilia per il vaccino AstraZeneca sono le stesse che rischierebbero viaggiando in aereo su lunghe tratte. Ma la probabilità di un evento avverso andando in aereo è 2 su 10mila, circa 100 volte superiore rispetto a quella che si corre ricevendo il vaccino» spiega Crisanti.
Le donne possono essere più a rischio?
«No. Se ci fosse una situazione di particolare rischio, non si deve necessariamente procedere con il vaccino AstraZeneca, ma i numeri ci dicono che è un rischio bassissimo» spiega il direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’Azienda ospedaliera di Padova e docente di Microbiologia dell’ateneo cittadino.
Potendo, sarebbe meglio scegliere Johnson&Johnson?
«No. Ora tutti stanno aspettando, con un’attesa quasi messianica, questo vaccino monodose, del quale però non abbiamo molti dati. Se io dovessi consigliare un vaccino, oggi indicherei AstraZeneca, perché abbiamo tutti i dati delle somministrazioni effettuate finora, che sono moltissime e che ci vengono soprattutto dal Regno Unito, dove a fronte di 20 milioni di vaccinazioni ci sono stati casi 76 casi ufficiali di trombosi rare e 19 decessi. La frequenza di complicazioni è di 1 su 2,5 milioni, mentre di J&J non abbiamo ancora nulla perché sono state vaccinate poche decine di migliaia di persone» aggiunge il virologo.
Perché si è deciso il cambio di età?
Se inizialmente AstraZeneca è stato indicato per le fasce d’età più giovani e comunque negli under 65, adesso invece viene raccomandato agli over 60. Perché? Non si rischia di creare ulteriore confusione?
«La confusione è dovuta a due motivi: da un lato non si è stati chiari all’inizio, quando si detto che, una volta autorizzato dall’Ema e dalle altre autorità regolatorie, il vaccino era da ritenersi sicuro al 100%. Il problema è che un vaccino approvato in procedura di emergenza va incontro a un riposizionamento fisiologico, perché man mano che si somministra si analizzano i dati “reali”. Dall’altro il limite riguarda proprio i test di sperimentazione, che sono condotti su un campione di persone limitato e che non può contemplare tutta la diversità genetica degli individui e tutte le condizioni patologiche di una popolazione totale. La maggior parte dei vaccini viene somministrata a persone che stanno bene, in particolare in bambini o ragazzini. In questo caso, invece, oltre alla diversità di risposta individuale si deve tener conto del fatto che il vaccino è somministrato in persone adulte che hanno condizioni di salute molto diverse le une dalle altre, che si accumulano con l’invecchiamento: è una quantità di variabili che nessun trial di 6 mesi potrebbe mai contemplare» dice il virologo.
«Detto questo è comunque un vaccino sicuro e, se un soggetto rientra in una categoria a rischio, si evita di fargli correre questo rischio – seppure bassissimo e ipotetico – optando per altre soluzioni» aggiunge Crisanti.
Cosa fare in caso di dubbi o patologie?
«Il consiglio è di rivolgersi al proprio medico di fiducia. È chiaro, per esempio, che se ci si trova di fronte a una donna che magari ha patologie o è in sovrappeso e segue anche una terapia steroidea, si potrebbe considerare l’ipotesi di fare una valutazione più approfondita sullo stato di coagulazione del sangue ed eventualmente optare per un altro vaccino, come Pfizer o Moderna, ma si tratta di casi molto limitati» chiarisce Crisanti.
Si può fare il richiamo con un altro vaccino?
«Teoricamente sì, però si aprirebbe un enorme ventaglio di variabili. Questi vaccini inducono un’immunità che non è illimitata. Ad oggi si sta cercando di valutarne proprio la durata, tramite l’osservazione sui vaccinati, che sono monitorati. Ma questi hanno ricevuto vaccini diversi che prevedono protocolli diversi, quindi “mischiando” si rischia di inficiare i dati sulla durata della risposta immunitaria di ciascun siero, che invece ha un’importanza fondamentale per il futuro» conclude Crisanti.