“Leonardo, io non sono scemo”. Inizia così il racconto di “Matte”, un ragazzino di 14 anni con autismo al fratello, che ha deciso di rendere pubblica la storia affidandola a Facebook per lanciare un appello contro il bullismo. Il suo, infatti, è solo uno dei numerosi casi di discriminazione, quando non di insulti veri e propri, nei confronti di chi ha disabilità come l’autismo e non solo. Di recente aveva fatto discutere ed era diventato “virale” anche il caso di un bambino (autistico pure lui) al cui compleanno non si era presentato neppure un compagno, senza avvisare.
Ma come vivono a scuola i ragazzi e bambini con disabilità o autismo? Chi li segue o dovrebbe farlo?
“Matte” e i bulli di Livorno
“Matte” frequenta un istituto superiore di Livorno. Chiede di andare in bagno (“senza insegnante di sostegno” scrive il fratello su Facebook), ma all’uscita si imbatte in tre studenti di 18, 19 e 20 anni ai quali chiede quanti anni abbiano. Ma prima ancora che possa finire la domanda i ragazzi “cominciano a offenderlo in modi che non sto a scrivere, con parole che nemmeno un carcerato si sognerebbe di pronunciare. Offese condite con buona dose di spintoni” racconta il fratello a cui “Matte” si rivolge per dirgli: “Leonardo, io non sono scemo”.
È proprio Leonardo, sui social, a faticare a trovare le parole per descrivere la situazione, tanto da concludere così: “Quello che chiedo è un aiuto. Un aiuto morale, un aiuto a provare a capire che il mondo è diverso, un aiuto a cominciare ad assumersi le proprie colpe perché Matteo è una persona. E di certo migliore di voi”.
Autismo, disabilità e bullismo a scuola
In Italia, secondo un recente rapporto Istat sull’Integrazione degli alunni con disabilità nelle scuole primarie e secondarie di primo grado gli alunni con disabilità sono stimati al 3,1%, pari a 86.985 nella primaria e 66.863 nella secondaria di primo grado (dunque alle medie). Come riporta l’Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici, di questi la maggior parte (41,9% nella scuola primaria e il 49,8% alle medie) ha una disabilità intellettiva, mentre i disturbi dello sviluppo e del linguaggio interessano rispettivamente il 26% e il 21,4%. Ben più alti sono invece i numeri riportati dall’Ospedale Bambin Gesù di Roma, che alla vigilia della Giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo (2 aprile) indicava in 500.000 le famiglie coinvolte in Italia.
Come sono seguiti a scuola i bambini con autismo?
“In Italia non ci sono scuole speciali per le persone con autismo, come invece accade all’estero dove si seguono percorsi differenziati a seconda della gravità della situazione. Gli studenti autistici stanno in classe con i coetanei, c’è un’integrazione completa” spiega a Donna Moderna il prof. Carlo Lenti, Direttore della Cattedra di Neuropsichiatria Infantile e UONPIA Università di Milano, esperto di autismo presso l’Ospedale San Paolo del capoluogo lombardo.
“Il motivo sta nel fatto che è stata dimostrata l’utilità delle scuole normali per questi bambini. Certo, hanno bisogno di essere seguiti da insegnanti di sostegno. I casi di bullismo nascono, invece, da un problema di tipo culturale: in generale c’è poca attenzione nei confronti di questi bambini e ci sono fattori diseducativi nelle famiglie” aggiunge l’esperto.
Come va inquadrato l’episodio di Livorno?
“Nel caso specifico di Livorno io ho avuto contatti con la famiglia: la loro versione è differente rispetto a quella della scuola e spiace che si siano rivolti ai social piuttosto che alle istituzioni. In quella scuola è appena cambiato il dirigente, può essere che ci sia stata qualche difficoltà nell’avvio dell’anno scolastico, ma senza voler entrare nel merito, penso che forse sia mancato un percorso di accompagnamento per il ragazzino, che era nuovo nella scuola. Forse il fatto che comunque parli, a differenza di altri giovani con problemi di autismo, può aver contribuito a sottovalutare le situazione e a non mettere in campo azioni per prevenire eventuali comportamenti scorretti nei suoi confronti” dice il vicesindaco di Livorno, con delega alla Scuola, Stella Sorgente.
“Forse sarebbe bastato, almeno a inizio anno, accompagnarlo in bagno, ma non mi sento di arrivare a conclusioni, perché la scuola, essendo superiore, è di competenza provinciale. Di certo posso dire che le istituzioni fanno tutto il possibile e spesso si scontrano con problemi economici nel fornire supporti a studenti con bisogni speciali” aggiunge il vicesindaco della città toscana.
Quali difficoltà a scuola per un ragazzo autistico?
“Un bambino o un ragazzo autistico dovrebbe essere seguito da un insegnante di sostegno con una preparazione specifica. In Italia ce ne sono, ma bisogna sempre vedere se poi, nelle singole realtà, c’è la disponibilità reale di personale. Le difficoltà sono legate, come sempre, ai costi, ma da un punto di vista didattico uno studente autistico segue lo stesso tipo di lezioni dei compagni di classe” spiega il prof. Lenti.
“Vanno sempre distinti i singoli casi, perché lo spettro dei disturbi autistici è molto ampio: si va dal ritardo, anche grave, a situazioni di paranormalità fino anche ai ‘superdotati’. Ci sono, ad esempio, ragazzi e adulti che possono avere competenze musicali e pittoriche fuori dal comune, che gli permettono magari di riprodurre su tela paesaggi che hanno visto una sola volta con una capacità sorprendente” – racconta l’esperto – “Da un punto di vista didattico non hanno problemi di memoria, quanto piuttosto di integrazione delle informazioni nell’ambito della consapevolezza cognitiva: insomma, magari ricordano, anche più degli altri, ma spesso non parlano. Non va dimenticato, infatti, che parliamo di soggetti che hanno maggiori difficoltà nelle relazioni sociali e nelle interazioni con gli altri” dice l’esperto.
Che aiuto offrono scuola e Comuni?
Il Ministero dell’Istruzione (MIUR) indica alcune linee guida per favorire l’integrazione dei soggetti con disabilità come gli autistici, che vanno dai docenti di sostegno, al finanziamento di progetti e attività per l’integrazione, alle iniziative di formazione del personale docente di sostegno e curriculare, del personale amministrativo, tecnico e ausiliare.
Ad essere coinvolti, però, sono anche altri soggetti, come la famiglia, le Asl e altre istituzioni, come le Province o i Comuni: “Le ore di sostegno sono garantite dallo Stato, mentre a livello locale esistono quelle di cosiddetta ‘educativa scolastica’: si tratta di un’assistenza scolastica, aggiuntiva al sostegno e che non ha scopi didattici, quanto piuttosto l’obiettivo di fornire un percorso di accompagnamento dei soggetti verso una sempre maggiore autonomia, dunque ha una valenza sociale” spiega il vicesindaco di Livorno, Stella Sorgente.
“Le ore di sostegno pososno essere al massimo 18 alla settimana, ma spesso le famiglie ci chiedono altre ore di ‘educativa’, fino a un massimo di 12 per integrare. Dalla scuola dell’infanzia fino alle medie la competenza è comunale, poi diventa provinciale. Oltre alla difficoltà, a volte, di reperire i fondi, va detto che i due servizi non si potrebbero sovrapporre, come invece chiedono le famiglie per arrivare a coprire l’intera giornata scolastica dei bambini o dei ragazzi” spiega Sorgente, che aggiunge: “Per questo le Amministrazioni, come nel nostro caso, mettono in campo una serie di progetti. Noi abbiamo il ‘Tutti uguali, tutti diversi’, che mette insieme tutte le associazioni che si occupano di disabilità e di soggetti con bisogni speciali, che seguono progetti con finanziamenti regionali e comunali. Ma si tratta di iniziative locali”.
Cosa sono i PEI?
Per i bambini con disabilità il MIUR individua, infatti, la possibilità di mettere a punto un Piano Educativo Individualizzato (PEI). “Poiché l’alunno con disabilità segue dei percorsi di apprendimento personalizzati e/o individualizzati, i reali compiti del docente di classe vanno necessariamente definiti nel quadro di un Piano Educativo Individualizzato. La precisa formulazione degli obiettivi da parte di ciascun insegnante garantisce la chiara definizione delle attività anche per l’alunno con disabilità e nei confronti della famiglia e degli altri soggetti coinvolti in eventuali forme di supporto logistico/organizzativo” spiega il Ministero dell’Istruzione.
Il PEI viene realizzato dai vari enti coinvolti, dalla scuola alla Asl, coinvolgendo le famiglie. Prevede interventi educativi e didattici mirati, percorsi di lavoro con attività specifiche, il ricorso a metodologie materiali e tecnologie ad hoc, criteri di valutazione differenti e forme di integrazione tra scuola e ambiente extrascolastico.
Non sempre, però, tutto ciò è possibile, proprio per problemi di bilancio o mancanza di personale specializzato. Queste limitazioni a volte condizionano anche le attività all’esterno delle aule.
E le gite scolastiche?
Anche in questo caso dovrebbe prevalere la scelta di organizzare un viaggio di istruzione (o altre iniziative come le uscite a teatro, ecc), tenendo conto delle esigenze di tutti gli alunni e studenti, non solo di quelle didattiche. “La sorveglianza può essere affidata all’insegnante di sostegno ma anche ad un altro docente, ad un operatore di assistenza, ad un collaboratore scolastico, ad un compagno (nelle scuole superiori), ad un parente o ad altre figure, professionali o volontarie, ritenute idonee e, ovviamente, disponibili” dice il MIUR. Nella realtà, i costi, la sicurezza, i tempi e le distanze e la disponibilità di personale condizionano le scelte.
Aveva fatto discutere il caso di un bambino di Fasano, sempre nel livornese, che due anni fa non aveva partecipato alla gita scolastica coi compagni, rimanendo in classe da solo con l’insegnante di sostegno. In quel caso la dirigente scolastica si era scusata, parlando di dimenticanza e spiegando che la gita non era ritenuta adatta al bambino. La sua storia aveva fatto, ancora una volta, il giro del web, sollevando indignazione, ma si era trattato solo di un caso, che dimostra come le difficoltà quotidiane, per chi ha disabilità, non manchino.