Ognuno di loro si sente dio. Malgrado non arrivino al metro e mezzo di altezza e abbiano la pelle liscia dei bambini. Perché sono bambini. Napoli e l’Italia scoprono il pericolo delle baby gang nel momento in cui il potere militare della camorra è al minimo storico, smantellata dall’azione costante e martellante delle forze dell’ordine e della magistratura. E forse non è un caso.
«È come quando raschi un tumore – spiega un investigatore – e poi si presentano le infezioni. La criminalità organizzata è il cancro, e l’abbiamo estirpato quasi ovunque. Le bande giovanili sono le infezioni».
Non c’è giorno che il capoluogo campano non si trovi a fare i conti con pestaggi e denunce. Un lungo bollettino di guerra in cui l’arruolamento è al ribasso. Più sei piccolo, più è facile entrare a far parte di queste particelle impazzite. Giusto qualche numero degli ultimi due mesi.
12 Novembre: un ragazzo di 15 anni viene accoltellato in Villa Comunale. Una gang di una decina di giovanissimi lo circonda; uno di questi, un 17enne, lo ferisce più volte con un coltello. Due settimane dopo sarà fermato dalla polizia municipale.
10 Dicembre: Un ragazzo di 15 anni si trova in via Merliani, quartiere Vomero, per una passeggiata del sabato sera, con la sorella e due altri amici. Arriva un gruppo di giovani con il volto coperto da cappelli e scaldacollo. Gli intimano di andare via da quella zona. Il quindicenne tenta di reagire, specie dopo gli insulti rivolti a sua sorella, e viene accoltellato al petto.
17 Dicembre: piazza Vanvitelli, quartiere Vomero; due giovani di 18 e 16 anni accoltellati da un branco individuato nei giorni scorsi dai carabinieri. Motivo dell’aggressione: uno sguardo di troppo. Sedici i denunciati, giunti al Vomero a bordo di sette scooter. Le coltellate inferte sarebbero state letali, secondo i medici, se appena più profonde. Uno degli aggressori, al gip che lo interroga, ripete il solito ritornello che è la base sub-ideologica delle baby gang. «Odiamo i ragazzi dei quartieri ricchi, siamo poveri e nessuno si preoccupa di noi». Come se fosse una giustificazione.
18 Dicembre: Arturo, 17 anni, nella centralissima via Foria viene accerchiato da un gruppo di minorenni. I ragazzini lo prendono di mira: spintoni, risate, insulti. Poi le coltellate al petto e alla gola che lo lasciano in una pozza di sangue. Nei giorni successivi subisce il distacco della pleura. Poi le sue condizioni migliorano, e lunedì scorso è tornato a scuola. Per lui i giovani di Napoli si mobilitano con un corteo che ha visto centinaia di presenze. Tre i minorenni indagati.
6 Gennaio: ancora coltelli in azione in via Carducci, quartiere Chiaia. Due giovani di 19 e 18 anni vengono feriti da una gang di una decina di ragazzini dopo un diverbio per futili motivi.
12 Gennaio: una quindicina di giovanissimi accerchiano tre ragazzini in attesa del bus all’esterno della stazione della metropolitana di Chiaiano, periferia nord della città. Due riescono a fuggire, il terzo – Gaetano, 15 anni – finisce a terra, sommerso da calci e pugni. Subisce l’asportazione della milza.
13 Gennaio: Ciro, un 15enne, è coi cuginetti nella zona del rione Alto. Una decina di coetanei li accerchiano. Non li fanno passare. Uno del gruppetto sferra un pugno in faccia a Ciro rompendogli il naso.
Qualche giorno fa, è arrivato il ministro dell’Interno Marco Minniti a presiedere il comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica. Ha promesso l’invio di 100 uomini delle forze dell’ordine nei prossimi giorni ma, a conti fatti, la sostanza non cambierà di molto. Tra Napoli città e la provincia, ogni turno conterà circa 10 agenti in più. Poco, troppo poco per poter imprimere una svolta a un fenomeno che ha radici antiche. Le baby gang di oggi sono i «muschilli» di ieri, ma geneticamente modificati. Gli «scugnizzi», descritti anche da Giancarlo Siani, il giornalista del quotidiano «Il Mattino» ammazzato dai clan il 23 settembre del 1985, non sono i baby camorristi di oggi. Che scrivono su Facebook di «farsi la galera a testa alta» oppure di bagnarsi nelle acque dove «gli altri affogano». Erano un’altra cosa. Spacciavano la droga per conto della camorra, che se ne serviva per aggirare i controlli delle forze dell’ordine. Quelli di oggi puntano a invece diventare i capi della camorra, e non è importante che sia una camorra di un rione, di un singola strada, di un piccolo vicoletto. Si atteggiano come i boss di «Gomorra», e ci sarà un motivo per cui il questore di Napoli, Antonio De Iesu, ha denunciato l’effetto negativo che la fiction Sky ha sui minori a Napoli. Non una voce isolata, prima lo avevano sostenuto – quasi con le stesse parole – il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri e il procuratore aggiunto di Napoli, Giuseppe Borrelli.
Vivono la realtà come in un videogioco, i baby criminali. Con l’unica differenza che non ci sono stelline da accumulare per guadagnare vite extra.
Simone Di Meo è l’autore di “Gotham city. Viaggio segreto nella camorra dei bambini” (Piemme)