Dove sono finite le badanti? Molte oggi sono disoccupate perché in tante famiglie i nonni non ci sono più. I nostri anziani over 80 nel 2020 sono morti quasi in 500mila, 76mila in più rispetto ai cinque anni precedenti. Ma il lavoro è mancato anche perché molti uffici hanno organizzato le attività in remoto, insomma da casa. E così in tanti ci siamo arrangiati a gestire i nostri genitori. Secondo i dati ufficiali, quasi 4 badanti su 10 hanno perso il lavoro, il 38 per cento. Giusto per capire, agli inizi del Duemila erano disoccupate il 4,5 per cento, quasi 10 volte di meno. Questo sempre in base ai dati Inps. La realtà vera però non emerge (e sicuramente i numeri sono più alti) perché sono almeno 600mila su un milione quelle impegnate senza contratto, in nero.
Il 2020 delle badanti
Accanto a chi si ritrova in difficoltà per la chiusura di attività commerciali e aziende, ci sono insomma anche loro, queste figure ormai preziosissime in quasi tutte le case, perno su cui ruotano equilibri familiari e non solo. Eppure assenti dal dibattito pubblico e dall’agenda di governo. A queste donne (perché il 92 per cento sono appunto donne) è dedicata la ricerca “Badanti dopo la pandemia”, realizzata dall’ARS (Associazione per la Ricerca Sociale) con la collaborazione di Acli Lombardia nell’ambito del progetto Time to care finanziato da Fondazione Cariplo. Un report importante – l’ultimo di una serie di pubblicazioni sul tema iniziate nel 2008 – che fotografa la condizione delle famiglie in un’Italia che invecchia sempre di più, ma soprattutto è utile per studiare soluzioni per il futuro. Francesca Pozzoli, ricercatrice sociale che ha lavorato al report, ci aiuta a capire meglio cos’è successo in questo 2020: «Da una parte, tra febbraio e marzo il lockdown ha portato in chiaro una parte dei rapporti di lavoro, alcune famiglie cioè hanno regolarizzato le badanti probabilmente per ovviare ai vincoli di spostamento, in assenza di giustificati motivi lavorativi. Allo stesso tempo, però, soprattutto nella seconda metà dell’anno, molti rapporti si sono chiusi, per il telelavoro o per la paura del contagio da parte delle famiglie».
Il ricambio è bloccato
Eppure in Italia gli ultra 65enni aumentano di 200mila persone all’anno. E 2 milioni e 600 mila sono gli anziani con limitazioni funzionali, che hanno quindi bisogno di una qualche forma di aiuto, quale ad esempio quello offerto dalle badanti. Un’offerta ampia per un lavoro che dovrebbe quindi essere garantito per il futuro. «Il problema è che assistiamo a un ricambio bloccato. Le possibilità di accedere in modo regolare al nostro paese sono infatti venute meno, da diverso tempo. È da più di sei anni che non viene emanato un decreto flussi che consenta l’ingresso regolare di stranieri nei principali settori dell’economia, compreso il lavoro domestico. Abbiamo bisogno di almeno 10.000 assistenti familiari extracomunitarie in ingresso ogni anno. L’assenza di questa possibilità spinge ad arrangiarsi: chi può va verso il mercato sommerso, chi non può si addossa gli oneri della cura, scelta sempre meno sostenibile negli anni vista la rarefazione delle risorse familiari».
Anche le badanti invecchiano
Anche in questo mercato, insomma, non c’è ricambio. Tant’è che le badanti a disposizione invecchiano, come noi e i nostri nonni. «Nei primi anni Duemila l’età media era di 41 anni, oggi di 49» spiega la ricercatrice. «Insieme all’età è inoltre aumentato considerevolmente il numero medio di anni trascorsi in Italia: 14, mentre nel 2006 la media era di 4. E anche se la convivenza in generale è in netto calo, alcune badanti continuano, come in passato, a co-risiedere con la persona assistita. Sono soprattutto le donne dell’Est Europa, tra le prime arrivate, le badanti più anziane. L’abbiamo chiamata una “simbiosi tra coppie di anziani”: persone assistite -generalmente ultraottantenni – da una parte e badanti sempre più anziane dall’altra. Il rischio è quello di una dipendenza reciproca che toglie spazio a progetti di autonomia e anche di riqualificazione professionale per le badanti». Dal 2007 però – anno della crisi – è aumentato (seppur di poco) il numero delle italiane: lavorano a ore, non conviventi, e hanno probabilmente trovato in questa occupazione una soluzione alternativa all’impiego che non c’è più.
Chi sono oggi le badanti (anche uomini)
Accanto alle italiane e alle donne dell’Est Europa (il 53 per cento), aumentano le asiatiche e le africane, e diminuiscono le donne del Sudamerica, spinte in Europa anni fa anche dalla possibilità di ricongiungersi ai mariti. A sorpresa, però, aumentano gli uomini che scelgono questo lavoro, passati dal 2,8 per cento del 2006 al 9,6 per cento di oggi. Triplicati, insomma, e soprattutto dell’Europa dell’Est. «Colpisce che chi si dedica a questo lavoro oggi voglia aggiornarsi e formarsi molto più che in passato. E soprattutto il lavoro di cura viene svolto oggi meno per rassegnazione e più per scelta. Di fronte alla possibilità di cambiare lavoro, la maggior parte delle badanti sceglierebbe infatti di rimanere nel settore, magari spostandosi in ospedale o in casa di riposo». Ma colpisce anche che, tra le persone intervistate, la maggior parte si dichiari soddisfatta del proprio lavoro.
La badante del futuro
Quello che prima era un lavoro d’emergenza, adesso è cercato e anche più strutturato. «Occorre che l’offerta privata si fonda con quella pubblica e che questo lavoro così “individuale” sia sempre più condiviso, cioè integrato con i servizi residenziali, domiciliari, i centri diurni, gli ambulatori: per esempio l’operatore che si occupa dell’assistenza domiciliare potrebbe fare da regista con la badante, coordinandosi con i vari servizi del territorio. Gli sportelli delle badanti, diffusi soprattutto in alcune regioni, potrebbero diventare il punto di riferimento per le famiglie e, per chi vuole lavorare, lo stimolo a emergere dal nero e a formarsi. Nuove soluzioni potrebbero venire anche dalla badante di condominio, e da modelli di lavoro somministrato – forniti per esempio dalle cooperative – fino a oggi poco praticati». Il lavoro privato di cura insomma continuerà a mantenere una natura individuale e irregolare senza interventi centrali e coordinati che agiscano su fattori-chiave per l’emersione e la qualificazione: la riapertura di una immigrazione per motivi di lavoro; incentivi alla regolarizzazione attraverso un diverso sistema fiscale e una riforma dell’assistenza domiciliare pubblica, che va potenziata, estesa, collegata al lavoro privato di cura.